Renata Polverini non sapeva. Non sapeva quanti fossero i soldi destinati al suo consiglio regionale. Non sapeva come questi venissero spesi. Non sapeva come erano giustificati. Insomma, non sapeva.
“Sarebbe come” ci informa “ se Monti doveva sapere di Lusi”. (a dire il vero lci sarebbe stato meglio un congiuntivo – “dovesse” – al posto dell’indicativo “doveva”, ma la frase testuale è questa e viste le circostanze non si può pretendere che si sappia sull’uso dei congiuntivi, n.d.d.).
La profondità di questa affermazione è segnalata dalla difficoltà di individuarne il recondito significato. Poteva forse intendere “mica mi posso occupare di tutto io!”. Ma, dato per comune sentire che il controllo è una delle funzioni primarie di un presidente specie se di ente pubblico, questa interpretazione sarebbe accettabile se la Polverini avesse dovuto controllare un numero sterminato di giunte e uno ancora maggiore di consigli. Ma la giunta era una sola, così come il consiglio e l’impegno per il loro controllo era certamente nelle capacità di una gagliarda e tosta come Renata.


L’interpretazione più probabile è dunque che: “de minimis non curat praetor” come direbbe un brocardo latino, la cui traduzione per quanti non sono obbligati a sapere (appunto) la lingua, suona così: il giudice non si occupa delle minutaglie. Epperò, cara Renata, che il suo consiglio si sia aumentato i denari a propria disposizione, dal milione di euro previsti nell’era Marrazzo, agli attuali quattordici milioni, non è minutaglia, non sono “pinzellacchere” direbbe Totò. E’ un aumento del 1.300 per cento in poco più di due anni.
Certo gli elettori (i suoi, intendo) non pretendevano che lei sapesse se gli uscieri facessero la cresta sugli orari di lavoro e nemmeno se la spesa per la carta igienica fosse proporzionata alle esigenze fisiologiche dei dipendenti della Regione ma, probabilmente, si sarebbero aspettati che pretendesse, lei per prima, di sapere come venivano spesi quei tredici milioni in più che si erano concessi i suoi consiglieri. E invece, no. Renata non sapeva. Non sapeva nemmeno che quell’abnorme aumento si era verificato.

Noi, che ci sforziamo, non sempre con successo, di astenerci dalle osservazioni ovvie e rozze, non diciamo che Renata però sapeva aumentare l’addizionale IRPEF, sapeva ridurre i posti letto negli ospedali, sapeva eliminare servizi essenziali per i cittadini a causa della scarsità di pubbliche risorse proprio mentre aumentavano di tredici milioni i soldi a disposizione del suo consiglio regionale. Noi, ormai convinti, o meglio, vinti dal suo non sapere, abbiamo solo fatto un sobbalzo sulla sedia proprio al momento delle sue annunciate dimissioni, quando Renata d’improvviso, sa.   “So molte cose su tutti i consiglieri” afferma corrucciata la nostra novella Giovanna d’Arco “che fin’ora non potevo dire, ma ora finalmente, sì”.
Avrà suscitato lo stupore degli elettori (i suoi, intendo) che si saranno certamente chiesti perché quando era nel pieno dei poteri non ha denunciato, combattuto e fermato il malaffare dei consiglieri e ora, che quei poteri stanno per scemare grandemente, ne fa parola. Mah.
Se non temessi di arrecare un insulto al sommo poeta oserei parafrasare: “Allor che potea non seppe, or che non puote, sa”.

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