Ci si è tanto scandalizzati per la frase del ministro del lavoro e delle politiche sociali italiano, Giuliano POLETTI:
“meglio giocare a calcetto, che mandare curriculum”.

Ma il fatto è che, ormai, ci si sveglia ogni giorno con scenari nuovi e sempre più inquietanti.
Apprendiamo, come rimarcato anche in un recente servizio televisivo, che è talmente bassa la richiesta di lavoratori in Italia (riflettendo, peraltro, sia pure con maggiore accentuazione, un fenomeno internazionale), in particolar modo con riferimento ai giovani, grazie all’uso, ormai dilagante, dei robot, allo sfruttamento sempre più spregiudicato dei nuovi schiavi, e alla disponibilità dei lavoratori assunti  a svolgere gratuitamente gli straordinari, per scongiurare lo spauracchio dell’inserimento tra gli esuberi, che converrebbe dichiararsi pronti a LAVORARE GRATIS, con formazione anche di gruppi, non trascurando la diffusione pubblicitaria ecc., per tentare, così, se ci fosse una nutrita partecipazione in tal senso, di dare una spallata all’intero sistema dell’organizzazione del lavoro, che dovrebbe provocare uno scompiglio tale, da rimettere in discussione tutto l’apparato dei rapporti tra lavoratori e datori di lavoro.
Questo mi sembra paradossale, è un’idea forse provocatoria, ma è certo un indice della tremenda situazione in cui ci troviamo.
Pensiamo, tanto per fare un esempio di portata abbastanza diffusa, alle agevolazioni delle banche ai clienti che operano prevalentemente on line o attraverso il bancomat, anziché rivolgendosi allo sportello.
Un direttore di banca in vena di sincerità, una volta, in risposta a mie domande in proposito, mi disse, anziché portarmi per i vicoli, come spesso fanno: “è perché le banche vogliono ridurre drasticamente quello che costa di più, e cioè il personale”.
“E’ una vera cattiveria – osservai – licenziare impiegati, spesso con famiglia, e non assumere, dando così il primato alle macchine sugli uomini”.
“Ma la banca non è cattiva – replicò il mio contraddittore – è che se non fai così, sei fuori mercato, rispetto agli altri, e come è intuitivo, il rimedio sarebbe peggiore del danno”.
Non fa una piega.
E allora, come se ne esce?

Nessuna soluzione proposta appare praticabile; anzi, a quanto pare, nessuna soluzione appare proponibile.
Non entro nei dettagli per brevità, ma se ne può discutere in qualsiasi sede; anzi se ne dovrebbe discutere.
Basti qui osservare che nessun politico o contro-politico, in qualsiasi circostanza o occasione, ne parla mai; un modo empirico ma molto efficace di tastare il polso all’inghippo inestricabile nel quale siamo, o ci siamo più o meno consapevolmente, incastrati.
E allora?
Il mio angoscioso e angosciato, ma, ahimè, realistico, pensiero, dal mio punto di vista, peraltro più volte testato e confrontato, è che sempre di più ci avviciniamo ad una “VERA” guerra mondiale, non nucleare (credo), perché questo significherebbe la distruzione totale, che nessuno può avere in programma, tuttavia di enorme portata distruttiva.

Di cause di guerra occasionali e scatenanti ce ne sono a iosa, in giro per il Mondo, basta scegliere.
Ma la causa remota, anche a volerla, in un certo senso, rendere più palese e dominante con riferimento ai conflitti umanitari di portata internazionale, all’emigrazione, alla Turchia, ecc. ecc. è senz’altro riposta nell’ORGANIZZAZIONE ormai esausta, opprimente e non più gestibile, del LAVORO.
Che cosa accadrebbe?
Distruzioni varie e pesanti di VITE UMANE e BENI MATERIALI, con realtà esistenziali e territoriali da rimettere in piedi.
Questo sì TONIFICHEREBBE il mondo del lavoro, il mercato, la solidarietà universale, le coscienze.
In poche parole, riprenderebbe vitalità, progettualità e speranza, l’intero Pianeta.
La massiccia distruzione di macchine, collegamenti informatici ecc. richiederebbe, inoltre, tempi non brevi di ricostruzione, durante i quali, le mentalità stesse, i sistemi e gli interessi, potrebbero cambiare.
Non sono io il primo ad affermare questo.
Una certa fetta della moderna sociologia, sia pure con le comprensibili reticenze e resistenze, lo sostiene.
E’ dura lo so, ma come sconfiggere la realtà dei fatti?

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