BOLOGNA. Dopo quello dedicato a Charles Chaplin, un altro ambizioso progetto di restauro della Cineteca di Bologna tornerà a far vivere un maestro del cinema muto.

E’ il progetto pluriennale dedicato a Keaton, che mette sotto ‘i ferri’ del laboratorio l’Immagine ritrovata l’intera opera di questo simbolo dell’epoca d’oro dei film senza parole di cui domani ricorre il mezzo secolo dalla morte.”E’ un progetto ambizioso – ha detto la curatrice del Progetto Keaton e già responsabile del Progetto Chaplin, Cecilia Cenciarelli – al quale ci siamo avviati con serietà e tantissimo entusiasmo. Considerando un privilegio il potersi addentrare in un universo così ricco e prenderlo da capo”. Il progetto Keaton, che durerà 5 o 6 anni, è nato sulla scia del precedente lavoro dedicato al creatore di Charlot. In particolare al lavoro fatto per le prime produzioni di Chaplin, quelle dal 1914 al ’18. “In questa prima stagione di comiche – ha spiegato Cenciarelli – Chaplin che da lì a poco sarebbe diventato il primo produttore e distributore indipendente della storia del cinema, lavorava per altre case di produzione, la Keyton, la Essanay, la Mutual. Le pellicole erano di proprietà delle case di produzione. E quando i diritti scadevano, diventavano di pubblico dominio”. I film erano così in ‘balia’ degli esercenti che li iniziavano a maneggiare trasformandoli in maniera non più fedele, li proiettavano a una velocità sbagliata, con nuovi accompagnamenti musicali. Le pellicole pensate dall’autore erano così ‘disperse’ in tante versioni una diversa dall’altra. “Per questo, il primo aspetto del lavoro è quello della mappatura di tutte le versioni che ci sono nel mondo. Mesi a cercare, a comparare per capire qual è l’elemento migliore. I film di Keaton – ha detto Cenciarelli – sono tutti in queste condizioni”. Il progetto è nato, infatti, quando coloro che detengono la più importante collezione di pellicole di Keaton, la collezione Rohauer, si sono rivolti alla cineteca per fare sui lavori di Buster Keaton quello che era stato fatto sui primi lavori di Chaplin. Un lavoro – ha sottolineato Cenciarelli – che possono fare solo realtà che, prima che della tecnica del restauro, si occupano di studiare la storia del cinema. Il Progetto Keaton, che la Cineteca realizza in collaborazione con Cohen Film Collection, ha visto i suoi primi frutti in Piazza Maggiore a Bologna la scorsa estate, nell’ambito della 29ma edizione del festival Il Cinema Ritrovato, quando sono stati presentati in anteprima i restauri di One Week e Sherlock Jr. (noto in Italia con il titolo La palla n 13). Per il 2016 i restauri annunciati che verranno presentati alla prossima edizione del festival tra giugno e luglio sono The High Sign (Tiro a segno) del 1921, Cops (Poliziotti) del 1922,  The Paleface (Il visopallido) del 1921, Our Hospitality (La legge dell’ospitalità) del 1923 e  Seven Chances (Le sette probabilità) del 1925.

Cinquant’anni fa, esattamente il 1 febbraio moriva Joseph Frank Kesaton detto “Buster”, ovvero rompicollo, distruttore, indistruttibile, dal soprannome che – narra la leggenda – gli affibbiò Houdini il mago vedendolo uscire indenne da una rovinosa caduta sulle scale di casa. Il piccolo Buster era allora appena un bambino ma il padre, artista di vaudeville e capocomico di una piccola compagnia di teatranti, lo allenava già alla dura scuola del palcoscenico e credeva talmente tanto nel talento del figlio da finire sanzionato dalla città di New York per sfruttamento di minore. Cresciuto da saltimbanco, attore di strada, illusionista (Houdini avrebbe riconosciuto più tardi un altro talento nel bambino Orson Welles), Buster Keaton era nato a Piqua, in Kansas, il 4 ottobre 1895 e appena computi i 20 anni era già riconosciuto come una star dello spettacolo, tanto che nel 1917 si mise in proprio, a New York.  Qui incontrò la prima moglie, Natalie Talmadge, sorella delle due attrici Norma e Constance, e segretaria privata di un divo del cinema comico come  Roscoe “Fatty” Arbukcle. Keaton la sposò nel 1921 e, grazie a lei, ebbe il primo contratto per il cinema (40 dollari a settimana) proprio da Arbuckle. Insieme, i due davano vita a una coppia esplosiva e le gag inventate da Keaton contrapponendo la sua stralunata fisicità a quella imponente e gioviale del suo partner. Fu un successo che diede ottimi esiti anche se il perfezionismo e la vocazione alla regia del più giovane Keaton creò più di un problema, superato grazie all’amicizia fra i due. 18 cortometraggi comici del genere “slapstick”, realizzati tra il 1918 e il 1920 (con una pausa per il servizio militare in Francia) sono l’eredità di questa collaborazione che prepara l’esplosione autonoma del nuovo genio. Sul finire del 1919 il produttore Joseph Schenck (marito di Norma Talmadge) propone a Keaton di mettersi in proprio con la “Buster Keaton Comedies”: dopo la parentesi di un lungometraggio da attore (The Saphead del 1920), la nuova stella è pronta a rifulgere: in tre anni scrive, gira, interpreta 23 cortometraggi (i primi due sono Tiro a segno e Una settimana, quasi contemporanei) che rappresentano anche oggi il gioiello della sua creatività perché, come scrive un critico, sono “dei lungometraggi corti, costruiti su una solida trama e forgiati da una inesauribile voglia di sperimentare”. Così, quando nel 1923, Buster Keaton si propone come regista di lungometraggio ha già assimilato tutti i segreti del mestiere e si conferma una star. E’ il momento della gloria e della felicità con titoli che fanno la storia del cinema da La palla n.13 a Il navigatore, da Io e la boxe a Come vinsi la guerra. Alla fine, mentre già su di lui si allungavano le ombre del cinema sonoro, accettò le regole degli studios (Metro Goldwyn-Mayer) perdendo il controllo sul suo lavoro e cedendo la regia. Era l’inizio della fine: il suo genio viveva di fisicità e visualità, il suo mondo era quello dell’impossibile che diventava reale, della fantasia rovesciata che prendeva corpo nella normalità. Tutte cose che perdevano forza di fronte all’apparente realismo del sonoro e che il pubblico cominciava a trovare “già viste”. Così la sua sorte apparve segnata dalla trasformazione di Hollywood, proprio come era accaduto a divi del calibro di Douglas Fairbanks e maestri come Erich von Stroheim. Abbandonato dalla moglie, precipitato nella depressione e nell’alcool, rischiò la vita in seguito a un attacco di delirium tremens e non recuperò mai fino in fondo la stima di sé. Per molti anni vagò su set altrui, diresse qualche film, lasciò risplendere la sua arte in brevi e folgoranti apparizioni come il pianista triste di Luci della ribalta (Chaplin lo chiamò per solidarietà e tributo a un maestro ormai dimenticato) o il giocatore di Viale del tramonto. Anche il ritorno al cortometraggio comico non diede gli esisti sperati nonostante più di 20 lavori sul finire degli anni Trenta. Ma la sua stagione era irrimediabilmente finita e bisogna aspettare il 1960 perché Hollywood si ricordi di lui con un tardivo Oscar alla carriera. Keaton cerca gloria anche lontano dall’America ed è proprio l’Italia a ricordarsi di lui, con un premio alla Mostra di Venezia per Film del 1964 diretto da Alan Schneider su sceneggiatura di e Samuel Beckett, poi con una serie di film in sé non memorabili da L’incantevole nemica di Claudio Gora e Due marines e un generale di Luigi Scattini in cui, a fianco di

Franco e Ciccio, dice una sola battuta: “Grazie”. La morte lo coglierà sul set di Dolci vizi al foro, nel 1966, dopo una serata al tavolo da gioco, quando era già malato terminale senza saperlo. Ma se ti chiami Keaton, se Samuel Beckett scrive per te l’unica sceneggiatura della sua vita (il surreale Film del 1964), se diventi il sinonimo della malinconia dell’artista di strada che sfiora la gloria e scivola nel baratro, se i cantautori ti dedicano le loro canzoni (Keaton di Guccini-Lolli), allora vuol dire che la tua faccia triste, i tuoi occhi spalancati sul mondo sono più di una meteora: sono l’occhio del cinema che trasforma la realtà. E questo è stato Buster Keaton, un genio che non conosce tramonto, dopo che nella vita è tramontato e sepolto dall’indifferenza del suo tempo.

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