La Suprema Corte, sezione lavoro, con la sentenza n. 14688/2012, in ossequio all’orientamento maggioritario già espresso dalla giurisprudenza di legittimità, ha riconosciuto il diritto del datore di lavoro a compensare il credito retributivo del prestatore con il proprio controcredito risarcitorio derivante da inadempimento.

Con specifico riguardo ad un rapporto di agenzia, in accoglimento dell’appello proposto dal preponente avverso la pronuncia della Corte territoriale, il Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto legittima la trattenuta operata unilateralmente sulle competenze di fine rapporto spettanti all’agente, affermando l’inapplicabilità, in tali casi, delle regole stabilite in materia di compensazione propria ex art. 1241 c.c..

Sulla scia di quanto già analogamente statuito in materia di lavoro subordinato, la Suprema Corte ha quindi ribadito la peculiarità della disciplina operante nell’ipotesi in cui i contrapposti crediti abbiano origine da un unico rapporto – di lavoro – dovendosi attuare in tal caso non una compensazione in senso tecnico, che presuppone l’autonomia dei rapporti ai quali i debiti delle parti si riferiscono, bensì una compensazione “atecnica”, quale mero accertamento contabile di dare ed avere (cfr. Cass. n. 9904/2003) .
In tal caso, deve escludersi l’applicabilità della disciplina prevista per la compensazione in senso tecnico, che tiene conto delle caratteristiche dei crediti, anche in relazione alla – totale o parziale – impignorabilità dei medesimi, al fine di evitare che l’operatività della compensazione si risolva in una perdita di tutela per i creditori. Pertanto, qualora le contrapposte pretese derivino da una medesima fonte, non si applica il limite del quinto alla compensabilità dei crediti di lavoro di cui al combinato disposto ex artt. 1246 n. 3 c.c. e 545 c.p.c., essendone invero ammessa l’assoggettabilità per intero a compensazione.

A tale riguardo, la Suprema Corte ha anche chiarito come l’identità del rapporto, ai fini dell’applicazione della disciplina in questione, non sia esclusa dal fatto che uno dei crediti sia di natura risarcitoria derivando da inadempimento.
Come precisato dagli Ermellini, neppure può essere di ostacolo all’operatività dell’istituto della compensazione atecnica la circostanza per cui il credito vantato dal datore richieda un accertamento giudiziale, rappresentando anzi il contesto giudiziario la sede più opportuna per la verifica del dare ed avere; nè è necessaria la proposizione di un’apposita domanda riconvenzionale o di un’apposita eccezione di compensazione, che postulano, invece, l’autonomia dei rapporti cui i crediti si riferiscono.

Sulla base di tali principi, già in precedenza era stata esclusa l’operatività del limite del quinto nel caso di compensazione, invocata dal datore, del credito risarcitorio per danni da prestazione lavorativa non diligente con il credito retributivo vantato dal prestatore (Cass. n. 4873/1995) ed è stata altresì ammessa la compensazione integrale tra i crediti risarcitori vantati da una banca derivanti dal comportamento illecito di un suo dipendente e le somme accantonate in favore di quest’ultimo a titolo di t.f.r. (cfr. Cass. n. 28855/2008), inerendo le reciproche pretese al medesimo rapporto di lavoro tra le parti.

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