Il lavoratore dipendente utilizza spesso il computer o altre strumentazioni messe a disposizione dal datore di lavoro anche per finalità ricreative. Ciò anche durante l’orario lavorativo, così come nei periodi di pausa. Le moderne tecnologie informatiche e le attuali modalità di svolgimento delle mansioni concettuali consentono infatti di utilizzare il pc a fini lavorativi e, contemporaneamente, in modalità multi tasking, di scaricare file di ogni genere (audio, video, etc.).

I PROCESSI PER UTILIZZO PERSONALE DEL PC
E’ frequente nelle aule di Giustizia affrontare situazioni di sanzioni disciplinari, più o meno gravi, comminate dal datore di lavoro al dipendente che venga scoperto ad utilizzare la strumentazione informatica aziendale per finalità estranee alla prestazione lavorativa, in genere di natura ricreativa e, spesso, anche a sfondo erotico.

IL DIRITTO DEL DATORE DI LAVORO DI VERIFICA
Diffusamente ormai, i datori di lavoro sottopongono a verifiche periodiche il contenuto dei computers aziendali messi a disposizione dei dipendenti, mediante l’utilizzo di specifici programmi, facilmente reperibili, che consentono di risalire al contenuto pregresso delle pagine web visitate. I suddetti softwares consentono di “fotografare” anche le pagine, i siti, i programmi ed i files che il lavoratore ha cancellato o cestinato, nell’errata convinzione che in tal modo non vi si possa risalire. Spesso quindi, l’attività di verifica posta in essere dal datore di lavoro, la quale è da ritenere legittima trattandosi di beni aziendali, conduce a rilevare il quotidiano e diffuso utilizzo del computer per l’invio di mail personali, per l’accesso a social networks, a siti per incontri ed anche a siti pornografici. Si tratta quindi di attività le quali sottraggono il lavoratore dall’esecuzione corretta e leale delle proprie mansioni e che sicuramente sono configurabili quali attività illegittime e, come tali, sanzionabili dal datore di lavoro.

L’ADEGUATEZZA DELLA SANZIONE
La problematica principale attiene tuttavia all’individuazione della gravità della condotta del lavoratore e delle sanzioni disciplinari comminabili, le quali dovranno sempre essere proporzionate alla gravità dei fatti contestati.
In linea di massima, la contrattazione collettiva di vario livello, così come i codici disciplinari, tendono ad escludere la comminabilità della sanzione più grave del licenziamento, ad eccezione ovviamente delle ipotesi più gravi della recidiva o dell’utilizzo del computer per finalità illegali (ad esempio per scaricare o diffondere files pedopornografici). Non mancano però casi nei quali il datore di lavoro, già alla prima contestazione, ritenga gravemente violato il rapporto fiduciario e rescisso il contratto con il  lavoratore, provveda quindi direttamente al licenziamento disciplinare.

LA RESPONSABILITA’ INDIRETTA DEL DATORE DI LAVORO
In un’ipotesi specifica recente, il datore di lavoro, rilevati i fatti suddetti, poi accertati anche giudizialmente, ha contestato al dipendente l’uso improprio degli strumenti di lavoro e in particolare del pc affidatogli, delle reti informatiche e della casella di posta elettronica aziendale e quindi anche la violazione del dovere di obbedienza e la violazione dell’art. 64 della legge n. 633/41 sul diritto d’autore, con esposizione del datore di lavoro alla conseguente responsabilità.

IL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
Si sottolineava anche che, il lavoratore avrebbe così dimostrato di intendere il posto di lavoro e il tempo di lavoro come destinati ad attività di svago piuttosto che di adempimento dell’obbligo della prestazione lavorativa. Il lavoratore aveva poi impugnato giudizialmente il conseguente licenziamento disciplinare rilevando che la contrattazione collettiva escludeva la misura espulsiva nell’ipotesi accertata, prevedendosi sanzioni meno gravi e conservative del posto di lavoro e sostenendo quindi la nullità del licenziamento. Il giudice di primo grado e poi la Corte di Appello avevano accolto i rilievi del dipendente, tutelandone il posto di lavoro e riscontrando altresì l’assenza dei danni lamentati dall’azienda.

IL COMPORTAMENTO CENSURABILE DEL DIPENDENTE
La Corte Suprema ,(Sent. n. 6222 del 14.01.2014), alla quale si era rivolto il datore di lavoro, pur non escludendo la sanzionabilità della condotta imputata al lavoratore, riteneva  illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato al dipendente che, come dimostrato nelle fasi del merito, aveva ripetutamente scaricato sul pc aziendale programmi coperti da copyright non forniti dall’azienda e non necessari. Il lavoratore aveva inoltre utilizzato per innumerevoli volte durante l’orario lavorativo la casella di posta elettronica di dominio aziendale per scopi personali e, a seguito della ctu effettuata sul pc, si era rilevata anche la presenza di materiale pornografico.

IL PRINCIPIO STATUITO DALLA CASSAZIONE
La Suprema Corte tuttavia ha ulteriormente negato la fondatezza delle doglianze dell’azienda. Si è quindi confermato il principio per cui il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo applicabile in relazione ad una determinata infrazione (nel caso specifico l’uso improprio di strumenti aziendali) e le allegazioni della società ricorrente non sono valse a dimostrare la presenza di infrazioni autonome, più gravi e diverse rispetto a quelle previste dal Ccnl.
Quanto alla rilevata presenza di materiale pornografico tale circostanza doveva essere imputata  al lavoratore in maniera specifica, non potendo ora il fatto costituire aggravante della condotta genericamente contestata.

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