Tre materie. Se l’Italia fosse uno studente in ansia per l’uscita dei “quadri” di fine anno scolastico sarebbe nel novero di chi ce la fa a ottenere la promozione ma solo per il buon cuore del consiglio di classe. Davanti a lui, un’estate per riparare i debiti, le lacune, in vista di quelli che un tempo erano “gli esami di riparazione”.

Il “però” è che in questa storia non ci guadagna nessuno, nemmeno il professore per le ripetizioni estive. L’Italia rischia una sanzione miliardaria che a conti fatti non ci possiamo permettere.

Bocciata in certificazione energetica – Il primo rimbrotto è arrivato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza 13 giugno 2013 C-345/12. Si censura il mancato obbligo di consegnare un attestato di rendimento energetico in caso di vendita o di locazione di un immobile, «conformemente agli articoli 7 e 10 della direttiva 2002/91/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2002, sul rendimento energetico nell’edilizia» e la mancata notifica alla Commissione europea delle misure di recepimento dell’articolo 9 della direttiva 2002/91. In questo modo l’Italia «è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 7, paragrafi 1 e 2, e 10 di detta direttiva, nonché 15, paragrafo 1, della medesima, letti in combinato disposto con l’articolo 29 della direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell’edilizia».
Sotto la lente della Cgue è finito il decreto legislativo n. 192/2005 che, oltre a non prevedere l’obbligo di consegnare l’attestato di rendimento energetico dell’immobile all’acquirente o al locatore, sorvola sull’obbligo di corredare la certificazione con una sorta di vademecum per il miglioramento della classe energetica, sottolineandone i benefici in termini di costi – benefici: in questo modo si perde lo spirito stesso della direttiva. Il recepimento è stato compiuto dal punto di vista procedurale ma si è perso di vista l’obiettivo.

Rimandata sulle quote latte – Giusto il 20 giugno, con una lettera di messa in mora, la Commissione europea è tornata a bussare alle porte italiane chiedendo il conto. Si tratta di multe pregresse, per le quali in nostro Paese secondo la Commissione Ue non ha ancora attivato i procedimenti per il recupero delle somme dovute dai produttori che hanno superato le quote loro assegnate tra il 1995 e il 2009. La cifra? L’Unione europea ha stimato 1,4 miliardi. La Commissione ha sottolineato «la necessità di rimborsare tale somma al bilancio dello Stato, per evitare che le conseguenze ricadano sui contribuenti italiani».
Al momento, infatti, è lo Stato (i contribuenti italiani tutti, rectius) attraverso anticipazioni di tesoreria ad aver onorato i pagamenti nei confronti di Bruxelles, “dimenticandosi” di procedere nei confronti degli allevatori per il recupero dei soldi versati. «…e io pago!» diceva Totò. Già la Corte dei conti nella relazione di fine anno sottolineavano che il modo di procedere adottato  «consente di mantenere sommerso un debito a carico del bilancio statale. Si pone il problema, per tali partite, – si legge nella relazione – del reperimento delle risorse finanziarie per la loro riconduzione in bilancio, in considerazione della pericolosità finanziaria delle ingenti anticipazioni di tesoreria».  Il monitoraggio della magistratura contabile aveva rilevato un ammanco di 4,4 miliardi per il periodo precedente la campagna 1995-1996, con oneri interamente a carico dell’erario. Successivamente si potrebbero recuperare dai debitori 2.263 milioni.
Ora lo Stato ha due mesi per rispondere alla Commissione Ue: giusto in tempo per presentarsi agli esami di riparazione, appunto.

Si impegna ma non abbastanza sui rifiuti – L’altro capitolo scottante è ancora quello dei rifiuti campani. Per la seconda volta l’Italia è stata deferita davanti alla Corte di giustizia Ue da Bruxelles. Il motivo è ancora il mancato adeguamento alle norme Ue nella gestione dei rifiuti in Campania che potrebbe costarci oltre 25 milioni di euro. Senza mora. Nel caso dovremmo aggiungere qualcosa come 256.819,20 euro al giorno, con la possibilità di ottenere uno sconto per i progressi ottenuti negli ultimi anni «sotto il profilo della raccolta differenziata; l’adozione di un nuovo piano di gestione dei rifiuti in Campania nel gennaio 2012; e un programma di misure destinate a gestire i rifiuti nella regione fino al 2016, quando dovrebbero diventare operativi nuovi impianti di trattamento».
La multa comminata con la prima sentenza del 2010 è ormai assodata ma potremmo evitarci le sanzioni aggiuntive dovute agli interessi di mora. Purché si faccia in fretta e le parole del ministro dell’Ambiente Orlando non diventino quelle di una voce che urla nel deserto: «Non possiamo permetterci di pagare ancora multe. A Bruxelles dobbiamo dire come chiudere il ciclo dei rifiuti».
La lista delle procedure aperte, intanto, resta lunghissima.
Corte di Giustizia, decima sezione, causa C 345 2012, sentenza 13 giugno 2013
Corte di Giustizia, quarta sezione, causa C 297 2008, sentenza 4 marzo 2010

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