Il combinato disposto colpisce ancora. A fare le spese, nel vero senso della parola, della giostra di richiami incrociati di norme e decreti modificati stavolta sono state le lavoratrici autonome che hanno adottato un bambino all’estero. Una in particolare ha presentato ricorso al tribunale di Modena per vedersi riconoscere l’indennità di maternità per intero, invece dei tre mesi corrisposti dall’Inps.

Un coacervo di commi che rimbalzano tra loro ha spinto il tribunale modenese a sollevare la questione di legittimità presso la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 257 depositata il 22 novembre 2012 (leggibile negli allegati), ha dichiarato illegittimo l’articolo 64, comma 2, del Dlgs 151/2001 come integrato dal richiamo al Dm Lavoro del 4 aprile 2002 nella parte in cui limita a tre mesi l’indennità di maternità delle lavoratrici iscritte alla gestione separata che abbiano avuto in affidamento preadottivo un minore.

I fatti – Una libera professionista iscritta alla gestione separata ottiene l’affidamento preadottivo di un bambino straniero nell’aprile 2008 e si vede corrispondere dall’Inps tre mensilità in misura del reddito dichiarato. Solo tre e non cinque come le madri biologiche e come è previsto per le madri adottive dipendenti. A questo punto decide di rivolgersi al giudice del lavoro per accertare il proprio diritto a percepire l’indennità di maternità per le restanti due mensilità e gli interessi legali.

A Modena iniziano a rivedere il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità e i successivi interventi legislativi tra cui la Finanziaria 2008 e osserva come, rispetto all’articolo 67, «alla luce delle modifiche normative riportate, mentre per le lavoratrici dipendenti, siano esse madri biologiche o adottive, è prevista una identica tutela per la maternità che comprende congedo e relativa indennità per cinque mesi, per le lavoratrici autonome e per quelle iscritte alla gestione separata, la tutela assume contenuti diversi a seconda che si tratti di madri biologiche o adottive, in quanto per le prime l’indennità ha durata di cinque mesi, per le seconde è limitata ai tre mesi successivi all’ingresso del minore in famiglia».

Si sottolinea che l’articolo 64 del Dlgs 151/2001 rinvia in modo specifico a due decreti ministeriali, emanati il 4 aprile 2002 e il successivo 12 luglio 2007, per indicare modo e maniera per tutelare le lavoratrici autonome, di fatto prevedendo un regime diverso a seconda che si tratti di madri biologiche o adottive.

La posizione della Corte Costituzionale – Definita inammissibile la questione sull’articolo 67 del Dlgs 151/2001, i giudici di legittimità si soffermano sulla questione dell’articolo 64 comma 2 fino a dichiararlo incostituzionale.

Il pasticciaccio moderno nasce dalla modifica di alcuni articoli (il 22 e il 26) e l’abrogazione dell’articolo 27 del Dlgs 151/2001 con la Finanziaria 2008. Peccato però che nell’impianto iniziale della legge 151 fosse esplicito il richiamo all’affidamento preadottivo (articolo 27) mentre nel testo modificato la specifica si perde. Spiegano i giudici che «si deve escludere che il mancato richiamo dell’affidamento preadottivo sia conseguenza di una scelta del legislatore», anche perché altrimenti questa forma di affidamento non avrebbe copertura legislativa; piuttosto andrebbe considerato il periodo di affidamento preventivo strettamente inerente al provvedimento di adozione e pertanto implicito nella disciplina delle forme di adozione sia nazionale che internazionale. È quindi «manifestamente irragionevole», con riferimento alla stessa categoria di genitori adottivi, una discrasia tra lavoratrici dipendenti e quelle iscritte alla gestione separata. «Ne deriva che la discriminazione riscontrata – sottolinea la Corte Costituzionale – si rivela anche lesiva del principio di parità di trattamento tra le due figure di lavoratrici sopra indicate che, con riguardo ai rapporto con il minore (adottato o affidato in preadozione), nonché alle esigenze che dai rapporti stessi derivano, stante l’identità del bene da tutelare, vengono a trovarsi in posizioni di uguaglianza».

Il caso nella realtà delle adozioni in Italia – Non ci sono studi specifici su quante potrebbero essere le donne che, dal 2008 ad oggi, in quanto iscritte alla gestione separata e madri adottive abbiano usufruito di un’indennità “ridotta”. Vero è che secondo l’ultimo rapporto sulle adozioni internazionali stilato dalla Commissione (vedi tra i documenti allegati), «tra le coppie che hanno adottato nel 2011, il 25,2% dei mariti e il 30,8% delle mogli svolgono una professione di tipo intellettuale a elevata specializzazione. Seguono, per i mariti, le professioni tecniche (21,3%), gli artigiani (17,6%), gli impiegati (14,3%), quindi le professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi (9,7%). Tra le mogli, il 20,9% svolge una professione impiegatizia, il 20,2% una professione tecnica, l’8,2% un’attività commerciale e/o nei servizi. Le casalinghe rappresentano l’11% dei casi».
Le donne che adottano, nella prassi, hanno un livello culturale più alto e hanno un’età media di 40 anni. Quante di loro, fino ad oggi, sono state indennizzate in forma ridotta per un’adozione internazionale? A quante converrebbe intentare un procedimento per farsi riconoscere le due mensilità mancanti?
Corte Costituzionale, sentenza 257 depositata il 22 novembre 2012
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per le adozioni internazionali, relazione per l’anno 2011

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