In una delle prime puntate di questa rubrica accennammo all’esistenza delle cosiddette “black list”, ovvero le “liste nere”. Nulla di fatale, per carità. Molto preoccupante, tuttavia, senz’altro sì.
Le “black list” sono quello strumento che i distributori usano per segnalare le librerie che non saldano le fatture del venduto. Ci sono librerie che per ragioni proprie o a causa della congiuntura economica drammatica sono in arretrato di mesi o di anni nel pagamento delle fatture. L’inserimento nella “black list” ha due effetti immediati: da un lato si segnala all’editore che quella libreria non riceverà più in vendita i suoi volumi poiché non è in grado di pagare le fatture; dall’altro si blocca con decorrenza immediata la fornitura di libri al libraio.

L’ingresso nella “black list” non è detto che sia senza ritorno e non è neppure detto che ferisca in qualche modo l’amor proprio e professionale del libraio. Vi sono librai che consapevolmente scelgono di pagare solo le fatture dei grandi fornitori – i soliti noti, i potenti senza i cui libri in vetrina si chiude immediatamente bottega – arrecando così un danno ingente ai piccoli e medi editori di cui pure hanno venduto dei volumi. Il danno immediato in effetti è quello che questo comportamento arreca al distributore, che si trova comunque nell’obbligo contrattuale di saldare il venduto all’editore, incluso il venduto che i librai non saldano; in tal modo, si arricchiscono le banche, che non ne hanno bisogno… In seconda battuta però l’effetto negativo colpisce anche l’editore, che con l’inserimento del libraio nella “lista nera” perde un punto vendita, magari l’unico o uno dei pochi in quella città. Gli effetti negativi per l’editore sono non solo d’ordine economico, ma anche d’immagine, sia rispetto al pubblico dei lettori che rispetto agli autori in catalogo e ai potenziali autori, che normalmente ignorano in quale condizione drammatica viva l’editoria italiana e pretendono una distribuzione capillare, senza tenere conto dei meccanismi farraginosi che stritolano il settore.

In qualità d’editore m’è capitato, anche nel recente passato, d’accordare credito a librerie che non lavoravano con il nostro distributore ma che erano condotte da librai che consideravo amici. Il risultato è che di fronte alla scelta se pagare un piccolo editore amico o un grande editore potente, il libraio propende sempre per la seconda opzione. Infischiandosene dell’amicizia personale e, non di rado, scomparendo letteralmente. In questi casi, l’unica soluzione consiste nella causa legale, con tempi e costi italiani. Ma, al di là del danno economico, che per un editore piccolo è ingente anche per cifre non cospicue, rimane il segno dello sgarbo umano, la sensazione netta e forte di aver subito un abuso o addirittura un furto. Questo è ancora più pesante e porta a pensare, a volte seriamente, che la filiera editoriale ormai sia veramente malata e irrecuperabile, in linea, perfettamente, con il sistema Italia. Poi magari si recupera l’ottimismo e si procede con l’arricchire gli avvocati.

L’Italia è il secondo Paese europeo, dopo la Bosnia Erzegovina, per cause civili intentate. Ignoro quante siano quelle che riguardano il mondo dell’editoria. Ma temo, con l’aria che tira e con le persone che girano, che siano non poche e in esponenziale aumento. Come le righe delle pagine di cui si compongono, ahinoi, le “black list”…

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