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Nella legislazione tributaria una particolare attenzione va data alle norme che prescrivono le sanzioni per le violazioni.

La legislazione tributaria conosce un sistema sanzionatorio molto severo al fine di soddisfare una tecnica legislativa definita di general-prevenzione, ovvero, la conoscenza della grave sanzione da infliggere dovrebbe costituire già di per se un deterrente alle violazioni delle norme.

In realtà questo principio, che nei legislatori del passato era ben presente in tutta la legislazione, oggi, alla luce di quello che è il risultato della nostra società e del nostro costume si presenta soltanto come la più amara delle bugie di stato.

In materia di Irpef, Irpeg ed IVA le sanzioni per le omesse dichiarazioni ovvero per quelle infedeli prevedono una “multa” che può oscillare, secondo la tecnica legislativa, tra un minimo ed un massimo; nel caso al nostro esame oscillano tra il 100% dell’imposta evasa ed il 200% dell’imposta evasa; in alcuni casi la sanzione è prevista per equivalente.
Nel primo meccanismo sanzionatorio, significa che se un imprenditore individuale evade 1.000,00 euro di tasse, questi dovrà versare all’erario l’imposta a suo tempo evasa pari a € 1.000,00 ed una sanzione che potrà variare tra i 1.000,00 ed i 2.000,00 €.

Le norme in questione hanno un senso là dove il senso civico dell’imprenditore non gli permette di dormire la notte sapendo di non aver potuto o voluto pagare l’imposta (in quest’ultimo caso, a volte al fine di dare la precedenza ad altre tipologie di esposizione finanziaria, per esempio gli stipendi dei dipendenti).

In un Paese dove, al contrario, la pressione fiscale è al di sopra di ogni ragionevole percentuale di partecipazione agli utili, l’evasione e/o l’elusione fiscale, per forza di cose, è diventata la regola commerciale per eccellenza.
Come dare torto ad un piccolo imprenditore, ad un piccolo commerciante, un artigiano o ad un professionista che per ogni € 1.000,00 incassati dovrebbe accantonare la somma di € 750,00 a titolo di: Irpef, Irap, Iva, Previdenza, Tassa Smaltimento Rifiuti Solidi Urbani, ICI, tassa di proprietà del veicolo, tassa di occupazione di suolo pubblico, tassa pubblicitaria, tassa e marche bollo per il rilascio delle varie autorizzazioni amministrative di volta in volta necessarie per l’esercizio dell’attività etc. etc.
A queste imposte e tributi devono necessariamente essere sommate le aliquote d’imposte e tasse che quotidianamente ognuno di noi paga sull’energia, benzina, sigarette, pane, acqua, etc. etc.

A fronte di questa situazione, il legislatore prevede delle misure di sanzioni per le violazioni che esorbitano da ogni ragionevole tecnica legislativa.

A ciò bisogna aggiungere anche un altro dato: i diritti di riscossione dovuti alle società (partecipate dal Ministero delle Finanze e dall’INPS) deputate alla formazione dei ruoli esattoriali per la riscossione delle somme, ovvero la magica unica ed insostituibile EQUITALIA.

Mi chiedo francamente se il legislatore nella previsione dell’importo sanzionatorio abbia tenuto conto del seguente dato: infliggere una sanzione che oscilla tra il 100% ed il 200% dell’imposta evasa, non consente più al piccolo imprenditore/artigiano/professionista la prosecuzione dell’attività d’impresa o artigianale o professionale. L’imprenditore che cade nelle maglie di un accertamento tributario si vedrà notificare cartelle esattoriali per importi economici che non potrà in alcun modo soddisfare.

Pensate ad un imprenditore che ha un volume d’affari di € 100.000,00 annui, (che, credetemi non sono poi così tanti, perché significa avere un reddito di meno € 2.000,00 al mese con un rischio d’impresa che non giustifica) il quale si vede notificare un accertamento tributario per una dichiarazione infedele del 2005, con un accertamento di differenza d’imposta per 20.000,00. Ebbene dal sistema sanzionatorio si genera un debito d’impresa complessivo di circa € 45.000,00.
In buona sostanza, gli eventuali utili di gestioni dell’anno 2011 dovrebbero essere interamente accantonati al fine di soddisfare la presunta pretesa erariale.

Tenete anche presente i tempi di reazione dell’Agenzia delle Entrate. L’Agenzia delle Entrate se la prende molto comoda. Infatti, hanno tempo per verificare la rispondenza delle dichiarazioni presentate fino al quarto anno successivo alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi. Nella tabella sottostante avete un quadro della situazione, qualora non vi siano anche ipotesi di reato contestate al contribuente in questo caso i termini sono raddoppiati.

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Ovviamente l’imprenditore che vi è visto notificare l’atto di accertamento impugna innanzi le Commissione Tributarie gli atti impositivi cercando di rimandare il momento del pagamento il più lontano possibile.

I tempi di reazione delle Commissioni Tributarie possono arrivare anche fino a 5 anni dalla notifica dell’avviso di accertamento, nelle più rosee delle previsioni. Questo significa che lo Stato, qualora avesse avuto ragione per gli accertamenti eseguiti, incasserà le somme dovute per l’anno 2005 non prima del 2020.

Il sistema tributario ha generato soltanto un enorme debito tributario che non potrà più essere colmato.

Nel 2020 l’imprenditore che ha generato quel debito tributario nel 2005 al 99% non sarà più in esercizio con la sua attività imprenditoriale.

Un discorso a parte meritano gli Industriali e le grandi Società (Holding, Banche, Assicurazioni, Aziende di Stato).

Il condono fiscale e l’integrale revisione e riforma del sistema fiscale italiano è un dovere del legislatore verso i cittadini, verso l’economia ma sopratutto verso le generazioni future.

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