Attualmente quasi un matrimonio su due fallisce in Italia ed altrettanto dicasi per i rapporti di convivenza che, da qualche tempo, hanno superato statisticamente i rapporti coniugali.
Ogni anno, poco meno di duecentomila persone si separano e difficilmente riescono a ricostituire un rapporto sentimentale stabile.

Il fenomeno delle crisi dei rapporti matrimoniali e di convivenza in realtà è anche più vasto di quello che ci dicono i rapporti dell’Istat, anche perché il numero tiene conto solo delle separazioni formalizzate davanti al Tribunale, e non dei  matrimoni falliti de facto, nei quali i coniugi per i più disparati motivi (rinvio della separazione ad estinzione del mutuo, alla adolescenza di figli, volontà di non esteriorizzare il fallimento dell’unione, etc.),  preferiscono vivere da separati in casa mantenendo un’immagine di facciata di “normalità”.

SEPARAZIONE UN EVENTO PROBABILE

E’ un fenomeno talmente massiccio e rientrante ormai nella normalità, fino al punto che il legislatore, nel recente decreto legge n. 132/2014, convertito nella legge n. 162/2014, in alcuni casi delega l’accertamento della separazione semplicemente all’impiegato comunale, e in altri casi (art. 6 del decreto) delega gli avvocati con il sistema della negoziazione assistita, a stipulare gli accordi di separazione senza neanche la presenza del giudice che ascolti preventivamente gli interessati.
A prescindere dalla inopportunità di escludere il giudice dall’obbligo di parlare con gli interessati e dagli accordi di separazione, non vi è comunque dubbio che il sentire comune considera ormai la separazione ed il divorzio come un fatto banale, frequente o meglio probabile, equiparandolo ad un mero atto notorio da redigere nel Municipio di zona.
Questa facilità di sciogliere il vincolo coniugale da un lato comporta una minore sacralità del vincolo, che un tempo si considerava a vita, mentre ora i nubendi sanno benissimo di avere un 50% di probabilità che le cose vadano bene, dall’altro la vastità del fenomeno ha modificato il concetto di famiglia, facendo sì che i bambini si debbano abituare alle famiglie allargate, le scuole debbano preparare la pagella in duplice esemplare per madre e padre, aumentino i corsi di recupero per i figli che statisticamente dopo la separazione o il divorzio dei genitori peggiorano drasticamente il rendimento a scuola, e così via.

L’ETA’ IN CUI CI SI SEPARA

Un tempo c’era la certezza che, superata una certa durata del matrimonio, il rapporto diveniva sicuro. Ora non più.
La famosa crisi del settimo anno che colpiva sistematicamente i matrimoni in Italia infatti non sembra più essere un punto fermo.
Se si esaminano i dati relativi all’età dei soggetti coinvolti nelle  separazioni, si vede che se queste sono distribuite con prevalenza nei primi anni di matrimonio, comunque il fenomeno riguarda  un arco temporale abbastanza vasto, incluse le età più avanzate ad opera spesso delle sollecitazioni di molte straniere nei confronti di  uomini in età non più giovanile.
In  media comunque, secondo l’Istat,  la separazione viene chiesta dopo sedici o più anni di matrimonio.
Per inciso, i matrimoni che hanno più probabilità di successo sono quelli celebrati in chiesa rispetto a quelli con rito civile, forse attribuendosi una maggiore sacralità all’evento rispetto ad un’obbligazione di tipo civilistico.
Nel corso del 2012 l’età media dei coniugi che hanno chiesto la separazione era di 47 anni per gli uomini e 44 per le donne.
Si può dire dunque che la crisi coniugale colpisce soprattutto i coniugi (ed anche i conviventi) ultraquarantenni.

RICERCA DI UN NUOVO COMPAGNO

Ovviamente poiché ogni interessato, dopo la crisi coniugale e la formalizzazione della separazione,  o del divorzio, tende a ricostruire un  menage (in due si vive meglio che da soli), la ricerca di un partner adeguato, costituisce dopo un periodo più o meno lungo successivo alla separazione, la naturale conseguenza del fallimento dell’unione precedente.
Tuttavia singolarmente sotto questo profilo vi è un grosso divario fra ciò che avviene in campo maschile da ciò che avviene in campo femminile.
Infatti sempre attenendoci ai dati statistici, le celebrazioni di matrimoni in cui è la sposa a stipulare una seconda unione, costituiscono soltanto il 4% del totale.
E’ come dire che, con molta difficoltà le donne divorziate riescono a trovare un uomo adeguato alle aspettative ai fini del matrimonio e soltanto quelle che si separano intorno ai 30 anni.
Ciò naturalmente non significa affatto che le donne separate e divorziate non abbiano un compagno, (in genere tutte provvedono in tal senso),  quanto piuttosto che il nuovo partner non è ritenuto all’altezza delle aspettative per condurre una vita comune.
E’ frequente il caso del partner ritenuto ottimo per una vacanza, una cena od un rapporto fisico, ma non certo idoneo per farlo entrare nelle propria casa, al fine di ricostituire un rapporto more uxorio stabile.
La mancanza di stima, la scarsa affidabilità o comunque la non adeguatezza alle proprie aspettative, limita fortemente da parte della donna (che poi è sempre il soggetto che decide con chi mettersi e quando separarsi), la costituzione di un rapporto di convivenza stabile e duraturo.

DAL TRAUMA DELLA SEPARAZIONE ALLA RICERCA DI UN PARTNER

Tale difficoltà nel trovare un compagno deriva non infrequentemente dal clima di sospetto nei confronti dell’altro sesso, a causa delle battaglie che si sono sostenute per la separazione.
Spesso la separazione viene vissuta in modo traumatico soprattutto allorché non si addivenga subito ad un accordo e non si riesca a definire in modo concordato il fallimento dell’unione.
Così talvolta non si evitano lunghi e sgradevolissimi  contrasti circa i rapporti personali intercorsi durante il rapporto di coniugio, contrasti che, finiti in un’aula di giustizia e messi alla mercè di testimoni e consulenti, finiscono con l’amplificarsi a dismisura in un carosello di accuse e contro accuse e di pretese al di fuori di ogni ragionevolezza, per il principio che, per ottenere qualche risultato è sempre bene richiedere almeno dieci volte tanto, il tutto ovviamente con gravissimo pregiudizio sia per i contendenti,  ma ovviamente soprattutto per i figli, che vengono strumentalizzati quali chiavi di volta per ottenere l’assegnazione della  casa ed un mantenimento nella misura più elevata possibile.
A ciò si aggiunga che, pur di mettere in cattiva luce e prevalere sull’avversario (cioè l’ex compagno o compagna) si innesta, con l’ausilio dei propri legali, un meccanismo perverso, sfruttando tutte le memorie più intime dell’ex vita coniugale, in una rincorsa al massacro, che lascia delle ferite personali, rimarginabili (e non sempre) solo dopo molti anni.
Dunque è molto difficile ricostituire un nuovo menage, nel ricordo del trauma di ciò che era avvenuto negli anni passati, eventi percepiti generalmente in modo molto più penoso dalla donna più sensibile rispetto all’uomo.

LO SFACELO ECONOMICO PER L’UOMO

Sicuramente però il maschio separato è la parte che esce maggiormente penalizzata dai provvedimenti previsti dalla legge.
Per l’uomo la separazione è sicuramente un disastro economico e personale epocale.
I figli vengono collocati presso la madre  nel 90% dei casi, residua a favore del padre il mero diritto di visita, ma la vera catastrofe giunge con i provvedimenti sulla ex casa coniugale che viene assegnata alla moglie con quanto in essa contenuto e con conseguente estromissione del marito.
Il quadro si completa tragicamente con l’obbligo di partecipare al mantenimento della prole e, ove la moglie non sia autonoma economicamente, anche con un mantenimento per questa. Ne deriva un taglio su redditi normali, che incide sul trattamento retributivo in una percentuale che va dal 30% al 50%.
In una situazione di simile “povertà” per l’uomo una eventuale nuova compagna viene vista con sospetto (pagare un mantenimento passi, ma pagarne due…).
Ciò anche se la ricostruzione di un nuovo menage può costituire un’ancora di salvezza nella speranza di rinvenire un nuovo alloggio (visto che il precedente lo ha perso).

LA DONNA SEPARATA: SINGLE A LUNGO

Da quanto detto apparentemente l’altro soggetto della separazione dovrebbe uscire dallo scontro a testa alta, ma non è così.
Se la donna dalla separazione ottiene risultati tangibili, quali il collocamento ed il mantenimento per i figli e l’assegnazione della casa coniugale, cioè il diritto di abitarla gratuitamente, anche se questa è intestata e cointestata al marito (e con i costi  delle abitazioni in Italia si tratta di un notevolissimo  vantaggio), tuttavia il contestuale diritto ad avere con sé i figli rappresenta anche un limite rilevante.
Ciò in quanto la madre viene coinvolta al 100% nella cura della prole e per questo è fortemente limitata nella possibilità di creare un nuovo menage, o anche semplicemente nel frequentare altre amicizie.

LA CONCORRENZA DELLE STRANIERE

Per gli uomini, più liberi da impegni familiari, è più facile frequentare un altro partner ed anzi sotto questo profilo va detto che gran parte dei matrimoni contratti da un coniuge maschio divorziato riguarda donne più giovani di nazionalità estera (21.000 celebrazioni nel 2009).
Nel nord est italiano, i secondi matrimoni degli uomini  divorziati (spesso in età superiore ai 50 anni) con giovani straniere, superano il 20% delle unioni totali e la fanno da padrone in tal senso le giovani rumene, e poi in modo decrescente le ucraine e le brasiliane.
Va però ricordato, parlando di compagne extracomunitarie, sotto questo profilo che molte unioni di fatto non risultano e non sono seguite da un matrimonio, in quanto la legge n. 94 del 2009, impone allo straniero che vuole contrarre matrimonio in Italia, l’obbligo di esibire oltre ai tradizionali documenti anche quello attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano, attestazione che non tutte sono in grado di ottenere, pur mantenendo un rapporto more uxorio con i divorziati italiani.

LA DIFFICILE RICERCA DEL PRINCIPE AZZURRO

Il problema di trovare un uomo adeguato alle proprie aspettative è molto sentito dalle donne separate, almeno a giudicare dagli innumerevoli siti e blog presenti in rete sull’argomento.
La maggiore difficoltà per le donne, deriva da tutta una serie di circostanze, alcune oggettive ed altre derivanti da una diversa programmazione mentale di un sesso rispetto all’altro.
Sotto un profilo oggettivo vi è da considerare che la donna è molto più svantaggiata nel ricercare un partner dopo il divorzio, in quanto si trova, come si accennava, sia vincolata dai figli (solo un fine settimana su due questi vanno dal marito lasciando all’interessata la possibilità di frequentare altre persone), sia sotto il profilo legislativo, ove la normativa vigente vieta di instaurare un rapporto con il nuovo partner all’interno della casa coniugale a lei assegnata (ex art. 337 sexies c.c.).
Le limitazioni maggiori però derivano dalla mentalità femminile che ha una griglia di ricerca molto più stretta di quella del maschio nei confronti dell’altro sesso.
Infatti la donna per costituire una famiglia, necessita di un compagno affidabile dal suo punto di vista, cioè solido e serio al quale affidarsi.
Inoltre la forbice di ricerca è molto più stretta, laddove, mentre un uomo ultra quarantenne può tranquillamente instaurare un rapporto sentimentale con una donna matura, ma anche con una ragazza molto più giovane, non altrettanto avviene per la donna, la quale normalmente, proprio perché cerca un soggetto sufficientemente protettivo, deve scartare necessariamente tutti coloro che sono più giovani in modo rilevante.

LA SEPARAZIONE VA PRIMA MEDITATA

L’errore in cui spesso incorrono le donne nel richiedere la separazione è quello di immaginare che, al di fuori del matrimonio, la situazione sia rimasta la stessa da loro conosciuta da giovani, vale a dire un certo numero di pretendenti tra cui scegliere possibilmente il migliore.
Nella realtà la situazione è totalmente diversa, in quanto tutte le coppie si sono formate, secondo l’Istat, in vista di un rapporto definitivo tra i 25 ed i 32 anni, ed i matrimoni o le unioni vengono contratti intorno a quell’età.
Di contro le separazioni dei coniugi avvengono, come abbiamo visto, dopo oltre dieci anni di matrimonio, ed in genere tra i 40 ed i 50 anni.
A questa età gli unici uomini disponibili sul mercato sono quelli già separati (circa 100.000 l’anno).
Tuttavia costoro sono proprio quelli che sono stati scartati da altre donne (non si dimentichi, si ripete, che è quasi sempre la donna che impone la separazione) per inaffidabilità, scarsa fedeltà, aggressività, mancanza di volontà lavorativa, incapacità di amministrare il denaro, mancanza di collaborazione ed assistenza (vedansi i dati statistici).
Dunque le donne separate o divorziate finiscono per indirizzare la ricerca su un campione maschile già collaudato, ma ampiamente scartato da altre donne, e cioè pieno di problematiche e scarsamente affidabile.

LA RICERCA TRA I CONIUGATI

Né da altra parte maggior successo, almeno esaminando le statistiche dell’Istat, arriva dai tentativi di trovare il proprio compagno tra gli uomini già sposati, laddove costoro, pur spesso disponibili ad un rapporto fisico, non sono disponibili a mettere a repentaglio la famiglia già costituita, proprio per le caratteristiche di affidabilità che aveva permesso al matrimonio di sopravvivere. Stranamente sotto questo profilo, secondo i dati Istat, le straniere ottengono maggior successo, riuscendo non solo a “rompere” il precedente rapporto, ma a crearsi effettivamente una nuova famiglia.

IL COMPAGNO DEL SABATO SERA

Questa situazione fa sì che le donne separate, pur intrattenendo in genere tutte quante, così come gli uomini, relazioni con l’altro sesso, tuttavia considerano il compagno come una soluzione di ripiego o compromesso, utile per qualche uscita, ma nulla di più (nei paesi anglosassoni talvolta viene indicato il compagno come il “weekend husband”).
E’ nota del resto la battuta di vari film americani secondo la quale è più facile che una donna separata ultraquarantenne muoia in un attentato terroristico piuttosto che trovi marito!

NESSUNO MANTIENE PIU’ LA MOGLIE

Un tempo il matrimonio per la donna significava la sistemazione economica.
Il bersaglio era un marito molto ricco o quantomeno benestante che potesse garantire un’esistenza serena.
Ora che viceversa i matrimoni crollano in una percentuale vicina al 50%, la ricerca del partner non ha alcun significato sotto il profilo della sicurezza economica, anzi vi è una evidente tendenza dei Tribunali ad escludere o a ridurre il mantenimento alle mogli, soprattutto se in età ancora giovanile.
Ciò anche su sollecitazione delle associazioni dei padri separati, che fanno rilevare come, un uomo con uno stipendio normale non riesca più vivere con il 50% della propria retribuzione, dovendo sostenere gli oneri per una nuova casa, ed il minimum per una esistenza dignitosa.
Tra i vari consigli reperiti in internet sui siti femminili in favore delle donne separate, forse il più frequente, oggi è quello di tenersi stretto il posto di lavoro, suggerendo di insegnare alle figlie non tanto come si cucina, o come si sistema la casa, bensì, spronandole ad essere economicamente autonome ed a non commettere mai l’errore di puntare sulla dipendenza economica dal compagno.
Va comunque detto, attingendo alla nostra esperienza professionale che, in caso di separazione da soggetti potenzialmente  facoltosi, (industriali, professionisti, personaggi dal mondo della finanza, dello sport o dello spettacolo), pur applicandosi il principio del diritto al mantenimento adeguato per la moglie “qualora non abbia redditi propri”, o in caso di rilevante differenza tra i due redditi, tuttavia le somme mensili erogate sono ben inferiori a quanto comunemente si pensa, soprattutto allorché venga assegnata la casa coniugale di proprietà dell’altro.
Né mancano i casi inversi (invero ancora rari) nei quali è la donna più solida economicamente a dover versare un mensile al marito.

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