Il Tribunale gli riconosce un risarcimento del danno patrimoniale per oltre 10mila euro.
La Corte d’Appello e la Cassazione viceversa, annullano il provvedimento in quanto il tradimento non si era sostanziato in comportamenti pubblici lesivi della dignità personale del coniuge.

Fino a poco tempo or sono, la giurisprudenza era costante nell’escludere qualsiasi diritto al risarcimento del danno a seguito della violazione del dovere della reciproca fedeltà.
Ricordiamo che nel Codice Civile (art.li 243 e 148 c.c.) è prevista una serie di norme che riguardano le obbligazioni derivanti dal matrimonio, che succintamente possono ricondursi nell’obbligo di fedeltà, di assistenza morale e materiale, nell’obbligo di collaborazione nell’interesse familiare, di coabitazione, di contribuire ai bisogni familiari secondo le capacità economiche e nell’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole.
La violazione anche di uno solo di tali doveri posti a carico di entrambi i coniugi e connessi al rapporto negoziale relativo al matrimonio (alla fine sempre di un contratto sia pure con particolare caratteristiche si tratta), possono comportare la pronuncia di addebito della separazione.

IL TRADIMENTO

Per ciò che riguarda l’obbligo ed il correlato diritto alla fedeltà, questi trovano il proprio fondamento nella comunione spirituale e materiale del rapporto coniugale.
Perché si possa parlare di violazione della fedeltà coniugale non necessita l’esistenza di un adulterio conclamato, né, secondo la giurisprudenza, la prova di rapporti sessuali extraconiugali, mentre è invece sufficiente la sussistenza di una relazione, magari anche solo platonica, ma con caratteristiche di continuità tali da incidere in maniera rilevante nel rapporto di fiducia vicendevole e della stima reciproca.
In ogni caso la Cassazione ha chiarito ormai  in modo costante che è necessario accertare in concreto, ai fini della addebitabilità della separazione, se l’infedeltà di uno dei coniugi sia stata effettivamente la  causa o la concausa della frattura del rapporto coniugale, non potendosi porre a base di un eventuale addebito un comportamento isolato, che non risulta aver spiegato reale incidenza sull’unità familiare o sulla prosecuzione della convivenza, ovvero allorché il matrimonio era già naufragato per altra ragione.
Una volta che il Presidente alla prima udienza abbia statuito che i coniugi possano vivere separati, l’obbligo di fedeltà, così come gli altri, viene a non essere più rilevante, contrariamente ad un vecchio indirizzo giurisprudenziale.

IL RISTORO DEI DANNI

Fino a poco tempo or sono, era pacifico che la violazione dell’obbligo di fedeltà non comportasse il diritto del risarcimento dei danni, trattandosi in questo caso di un pregiudizio di carattere etico, potendo essere la relativa violazione, motivo di addebito della separazione, ma non del risarcimento del danno.
Tale orientamento era anche basato sul fatto che diversamente, se si fosse accettata la tesi opposta, qualsiasi processo di separazione si sarebbe dovuto prolungare a dismisura in una interminabile istruttoria necessaria per dimostrare (o tentare di dimostrare) il tradimento dell’uno o dell’altro coniuge.
Tale mancanza della “ giusta punizione” appariva incomprensibile a chi rivoltosi all’avvocato per ottenere la separazione, non poteva fare a meno di rilevare il danno in termini concreti derivanti dal fallimento del matrimonio imputabile all’altro coniuge, sia perché è difficile ricostituire una famiglia in età non più giovanile (solo l’8% delle coppie separate si risposa) sia perché la crisi del matrimonio imputabile all’altro coniuge si concretizza sempre in un fallimento personale e nella sensazione di aver gettato al vento una parte della propria vita.
Dunque il colpevole andava punito.

IL RIPENSAMENTO DELLA CASSAZIONE

Recentemente la Cassazione ha mostrato un parziale ripensamento  a fronte delle continue richieste e ricorsi che pervenivano sollecitando un cambiamento di opinione.
In sostanza la giurisprudenza ammette attualmente una domanda risarcitoria (ex multis Cass. n. 18853/11), ma con due notevoli limitazioni.
Da un lato che il tradimento sia stato la sola causa del fallimento dell’unione, ipotesi estremamente difficile da dimostrare laddove quasi sempre la violazione dell’obbligo di fedeltà fa seguito ad una serie di contrasti preesistenti, (per tale motivo quasi sempre i giudici dei tribunali rigettano le domande di prove avanzate dai legali sul punto).
In secondo luogo se si riesce a superare il primo step, è necessario dimostrare che non si è trattato di un semplice tradimento, bensì che questo abbia comportato la lesione dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. In sostanza si deve trattare di un comportamento che ha leso la reputazione, l’onore e la dignità della persona danneggiata e ciò solo per il carattere plateale, ostentato pubblicamente, in modo da configurare le caratteristiche delle ingiurie nei confronti del soggetto leso.

NON BASTA LA DEPRESSIONE

La circostanza che sussista dunque un danno non è considerato di per sé decisiva ai fini del risarcimento del danno, in quanto evidentemente un pregiudizio psichico sussiste in tutti i fallimenti dei rapporti matrimoniali, e soprattutto in quelli nei quali la crisi dell’unione deriva proprio dal tradimento inaspettato.
Nel caso richiamato (Cass. n. 755 del 19.01.2015) la Corte Suprema ha ribaltato in tale ottica la decisione del Tribunale siciliano, (forse in meridione vi è maggiore sensibilità dei magistrati per i tradimenti coniugali).
Il marito aveva ottenuto la condanna della moglie, (pur collocataria della prole e titolare del mantenimento per i figli) al risarcimento dei danni in circa 10mila euro oltre interessi, per essere caduto in uno stato di depressione fino a giungere ad un  disturbo della personalità.
La Cassazione annullava però tale risarcimento, in quanto pur essendo stato dimostrato che il tradimento era stato la causa unica e principale del fallimento dell’unione, e pur essendo risultato che il tradimento aveva effettivamente portato un pregiudizio psicofisico al marito, tuttavia mancava l’elemento preponderante che facesse ritenere come la relazione extraconiugale si fosse sostanziata in comportamenti pubblici lesivi della dignità personale del coniuge, garantita costituzionalmente.
Dunque poiché era mancato il “pubblico scandalo”, ossia l’esistenza di comportamenti pubblici, esterni, lesivi della dignità personale del coniuge, non poteva essere risarcito alcunché al coniuge presuntivamente danneggiato.

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