Dopo la nascita del figlio la moglie si era astenuta dall’ intrattenere qualsiasi rapporto sessuale con il marito.
Questi aveva iniziato una relazione extra coniugale con un’altra donna.
La moglie offesa si   rivolgeva al Tribunale richiedendo l’addebito della separazione al coniuge traditore.
Tuttavia il Tribunale non solo rigettava la domanda di addebito, ma condannava la donna al pagamento di parte delle spese processuali.

E’ singolare come la questione dei rapporti sessuali un tempo rimanesse nell’ambito ristretto personale  tra i coniugi, mentre ormai costituisce un motivo sempre più sbandierato davanti ai Tribunali per tentare di accollare la responsabilità del fallimento dell’unione all’uno o all’altro e non mancano i casi in cui vi sono donne che richiedono l’addebito al marito per il mancato appagamento dei doveri coniugali.

La questione che era stata posta all’attenzione del Tribunale di Pescara è abbastanza frequente e riguardava il caso di una donna, la quale dopo la nascita del figlio, non appariva più disponibile o almeno disponibile nei termini che richiedeva il marito, al punto che questi riteneva opportuno sostituire il partner durante il rapporto matrimoniale.

LA MANCANZA DI DISPONIBILITA’
Dall’esperienza professionale emerge che, le lamentele relativamente ai rapporti sessuali sono senza dubbio frequenti, ma difficilmente la cosiddetta “comunione materiale” come la definisce il codice, costituisce il motivo reale della separazione.
Infatti se emergono problemi sottostanti di caduta di stima, di affetto, insomma se tra i coniugi manca un’intesa psichica, certamente sparisce anche il desiderio di un incontro fisico con l’altro partner.
In altre situazioni viceversa il calo di desiderio appare come un fatto naturale ed i contrasti derivano dalla scarsa disponibilità di ciascuno nel comprendere le esigenze dell’altro.
E’ regola di comune esperienza infatti che, mentre in un uomo, a causa della presenza del testosterone a qualunque età, il desiderio sessuale si mantiene più o meno costante,  nella donna la situazione è del tutto differente ed anche a causa dei cambiamenti ormonali in lei tipici, il desiderio sessuale, e cioè l’interesse ad un incontro fisico con un altro uomo, va scemando in funzione dei cambiamenti fisiologici, come appunto talvolta dopo la nascita di un bambino o molto spesso dopo la  menopausa.
Una simpatica analogia di due noti psicologi australiani, marito e moglie, Allan e Barbara Pease, paragona la differente situazione dei sessi, ai due tipi di forni che normalmente utilizziamo in cucina.
Mentre la donna è paragonata al forno tradizionale, nel quale l’accensione ed il riscaldamento è molto graduale fino all’acme e successivamente il raffreddamento è altrettanto graduale, l’uomo viene paragonato ad un forno a microonde, sempre ed immediatamente operativo, dove il raggiungimento della massima temperatura è istantaneo, ma arrivati a cottura, il raffreddamento è altrettanto subitaneo.

LE RECENTI SENTENZE DELLA CORTE SUPREMA
Non sappiamo se la Corte tenga conto, nel giudicare i casi, della differente fisiologia tra i due sessi.
E’ un fatto comunque che, ormai dato l’enorme numero di domande di addebito,  la giurisprudenza, ma anche tutti i tribunali, si sono orientati nel rigettare una buona parte delle pretese, non ammettendo neanche i mezzi istruttori ed evitando di “affaticare” il processo, nel presupposto che la violazione dei doveri coniugali  scaturenti dal matrimonio, ai sensi dell’art. 143 del codice civile, deve essere dimostrata non solo come fatto storico, ma anche come unico e determinante motivo della crisi coniugale.
In altre parole chi pretende di addebitare la separazione all’altro coniuge, deve dimostrare non solo la violazione o l’omissione, ma anche che il comportamento negativo è stato l’unico evento che ha portato all’intollerabilità dell’ulteriore convenienza.
Ciò  in quanto, se il matrimonio deve ritenersi già fallito per altri motivi, la violazione denunciata appare irrilevante, non essendo questa la causa ab origine del fallimento dell’unione e quindi non può essere pronunciato l’addebito della separazione.
Poiché nella pratica l’intollerabilità della convivenza deriva in genere da una serie di fatti vicendevolmente opposti tra le parti, difficilmente è possibile dimostrare che uno specifico episodio (nel nostro caso l’infedeltà) sia l’unico che ha portato al fallimento dell’unione.
Tanto più quando invece emerge che, precedentemente alla violazione che si  imputa, sussistevano già diverse e precedenti cause di intollerabilità della convivenza, al punto da inibire la pronuncia dell’addebito.
Tra l’altro stante la reticenza attuale dei Tribunali di pronunciare l’addebito, in molti hanno ritenuto che andrebbe rivista tutta la normativa, escludendo semplicemente l’istituto dalla normativa relativa alla separazione dei coniugi, così come del resto era nel progetto originario della legge del 1975.

IL RIFIUTO DI INTRATTENERE RAPPORTI SESSUALI
Tornando al nostro caso, nel corso del processo emergeva  che effettivamente, dopo la nascita del figlio, la moglie  aveva negato ogni disponibilità sessuale, al punto che il marito dichiarava di essere andato via da casa, proprio in quanto la situazione familiare non era più sopportabile e quindi aveva dato corso ad una nuova relazione.
Viceversa il coniuge tradito rilevava come il rapporto extraconiugale peraltro ammesso, comportasse ipso jure, il diritto alla pronuncia di addebito, non essendo giustificato tale comportamento solo per la reticenza della moglie sul piano fisico.
Il Tribunale, ribadiva  tuttavia che l’addebito della responsabilità quale causa della separazione, presuppone non solo la violazione dei doveri coniugali derivanti dal matrimonio, ma anche la prova, a carico del coniuge che richiede la pronuncia dell’addebito, del rapporto di esclusiva causalità di tale violazione ai fini dell’intollerabilità della convivenza.
Ritenendo che tale prova non fosse stata fornita dalla moglie, ma che al contrario in base alle acquisizioni istruttorie potesse escludersi che la relazione extra coniugale del marito fosse la causa esclusiva della rottura del vincolo coniugale, il Tribunale rigettava la domanda di addebito e per di più condannava la donna parzialmente al pagamento delle spese processuali, stante il mancato accoglimento della domanda.

LA CONFERMA DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Appello adita rigettava l’impugnazione della donna, talché questa ricorreva alla Corte Suprema, la quale con la sentenza 5/02/2014 n. 22539 (che peraltro faceva seguito ad orientamenti analoghi della stessa Cassazione, per es.   n. 8862/12 e n. 21245/109) dava nuovamente torto alla ricorrente.
Precisava in sostanza la Cassazione come, seppur l’obbligo di fedeltà coniugale costituisce l’oggetto di una norma di condotta imperativa, la violazione può portare all’addebito della separazione, solo allorché manchi un  nesso di casualità tra l’infedeltà e la crisi coniugale.
Tuttavia, ove il fallimento dell’unione debba farsi risalire a precedenti situazioni di intollerabilità vicendevole, l’abbandono della casa o la relazione extra coniugale, che di norma porterebbero alla impossibilità della convivenza, non danno luogo ad una situazione tale da portare all’addebito.
Ciò per di più   risultando  provato come vi fosse un comportamento dell’altro coniuge che, in precedenza aveva già comportato il fallimento dell’unione.
In senso analogo ricordiamo che lo stesso principio era stato pronunciato dalla Corte Suprema allorché l’unione era fallita, non per eventi successivi, bensì per il rifiuto della moglie di avere figli.
La Cassazione anche in questo caso, riteneva che vi fosse una proporzionalità tra l’omissione dei doveri coniugali da parte della donna, rispetto il comportamento infedele del marito.

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