In un caso recente, la moglie afflitta da una malattia invalidante grave (sclerosi multipla di grado avanzato), si trovava a subire la relazione extra coniugale del marito.
Questi abbandonava la casa coniugale instaurando un rapporto di convivenza con la ex collaboratrice domestica della famiglia.

A fronte delle rimostranze della donna, il marito assumeva atteggiamenti arroganti e sprezzanti, mostrando una particolare insensibilità.
Promosso il processo di separazione dei coniugi, e giunto alla Corte di Appello di Roma, questa doveva decidere oltre che sull’assegno di mantenimento, sulla delicata questione della restituzione della casa al marito.
Infatti l’alloggio ove i coniugi abitavano risultava della moglie solo per la nuda proprietà, mentre l’usufrutto (incautamente concesso), spettava al marito, il quale dunque avrebbe avuto diritto al rilascio dell’immobile.
La moglie invalida faceva rilevare come il proprio stato psicofisico rendesse estremamente ingiusto il rilascio dell’immobile, pur conoscendo perfettamente l’orientamento giurisprudenziale della Cassazione, che escludeva l’emanazione del provvedimento di assegnazione della casa, se non in presenza di figli minori o maggiorenni non autonomi, ipotesi che nella fattispecie non sussisteva.

La decisione salomonica della Corte di Appello

La Corte di Appello di Roma per non violare il principio giurisprudenziale che vietava di assegnare l’immobile in assenza di prole, emetteva una sentenza con la quale condannava il marito a versare un assegno di mantenimento di mille500 euro alla moglie fino al rilascio della casa coniugale.
Una volta rilasciata la casa però l’assegno si sarebbe automaticamente raddoppiato arrivando a 3mila euro al mese, tenuto conto del rilevante reddito del marito, pensionato e già dipendente di un’impresa, unico usufruttuario dell’ex casa coniugale e proprietario di un altro alloggio.
Infatti secondo il giudice di secondo grado, andava tenuto conto del fatto che con l’acquisizione della casa, il reddito del marito sarebbe aumentato, apparendo così equo raddoppiare il mantenimento, considerando la grave malattia della moglie e la necessità di reperire altro alloggio, che doveva essere adeguato all’infermità.

La questione di costituzionalità della mancata assegnazione della casa coniugale in situazione di grave disagio

Proponevano ricorso alla Corte di Cassazione entrambi i coniugi: il marito lamentando l’entità dell’assegno, e la moglie lamentando la mancata assegnazione della casa coniugale anche sotto il profilo della legittimità costituzionale.
Tuttavia la Corte Suprema rigettava entrambi i ricorsi.
Il primo in quanto non vi era dubbio che il marito aveva posto in essere comportamenti gravemente contrari ai doveri matrimoniali che avevano costituito causa esclusiva della intollerabilità della convivenza e che avevano portato alla separazione.
Quanto all’entità dell’assegno, legittimamente la Corte di Appello aveva raddoppiato l’assegno, tenendo conto non solo della grave malattia e della necessità di reperire un altro alloggio per la moglie, ma anche dell’aumento del patrimonio con l’acquisizione del valore locativo dell’immobile, già costituente casa coniugale.
Per ciò che invece riguardava l’eccezione proposta dalla moglie, anche sotto il profilo dell’illegittimità costituzionale della norma che esclude il diritto di un coniuge così gravemente malato a rimanere nella casa ove è sempre vissuto, pur non essendo la separazione a lei imputabile, la Cassazione (sentenza 23239 del 18 Febbraio 2013) risolveva in modo eccessivamente superficiale la questione, dichiarando semplicemente che, sul punto già si era formata una giurisprudenza assolutamente costante, non apparendo rilevante nella specie la questione di legittimità costituzionale dell’art. 155 quater c.c., laddove già la giurisprudenza aveva chiarito come non si potesse comprimere il diritto di proprietà, se non nelle sola ipotesi di tutelare la prole.

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