Attualmente le disposizioni in tema di assegnazione della casa familiare e prescrizione in tema di residenza, sono contenute nel nuovo art. 337 sexies c.c. introdotto dal D.lgs n.154/2013, riprendendo quelle che erano le precedenti disposizioni, tra l’altro contenute nella legge introduttiva dell’affidamento condiviso n. 54/06.

I PRESUPPOSTI PER L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA

Il godimento della casa familiare, secondo quanto statuisce il codice, equiparando le normative in tema di separazione, divorzio e convivenza, è attribuito tenendo conto prioritariamente dell’interesse dei figli.
Su tale norme di base, la giurisprudenza ha consolidato il principio in modo univoco per cui, il coniuge che ottenga il collocamento del figlio minorenne o maggiorenne non autonomo, abbia contestualmente il diritto al provvedimento di assegnazione della casa familiare.
Per compensare in un certo senso la perdita della casa in danno dell’altro coniuge ove, questi sia il proprietario o il comproprietario, il codice statuisce che “dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori considerato l’eventuale titolo di proprietà”.
Quindi, in sostanza, perché il Tribunale possa provvedere all’assegnazione della casa coniugale sono necessari tre presupposti:
1) da un lato che sussistano figli minori o maggiorenni non autonomi;
2) in secondo luogo che il collocamento dei figli avvenga in favore di uno dei genitori ai quali andrà assegnata la casa;
3) infine che la casa di cui si chiede l’assegnazione sia quella familiare, cioè quella occupata dai genitori prima del provvedimento giudiziale.

LA PERDITA DELLA CASA IN DANNO DEL PROPRIETARIO

Dati i valori attuali degli immobili, la possibile esistenza di un mutuo che ancora deve essere pagato, la necessità di trovare un altro alloggio, è facile comprendere quale trauma subisca il marito (in genere il soggetto estromesso) e perchè la problematica dell’assegnazione dell’alloggio sia uno dei punti più controversi nelle cause di separazione, divorzio o crisi della convivenza.
Tra l’altro va rilevato, che nell’assegnazione della casa il giudice non tiene affatto conto della responsabilità nel fallimento dell’unione.
Talchè come è noto, anche la donna responsabile del fallimento dell’unione, per esempio per una relazione extra-coniugale, ottiene ugualmente l’assegnazione della casa ove i figli vengano con lei collocati.
Ciò comporta situazioni di profondo contrasto sul piano etico, di cui si è parlato anche in precedenza in altri articoli, portando a decisioni apparentemente ingiuste, che tuttavia sono ritenute legittime dalla Corte Suprema, laddove dovendosi scegliere per il minor male, (pregiudicare i diritti del coniuge colpevole o pregiudicare il diritto dei figli a rimanere nella casa coniugale con la madre), si preferisce danneggiare il coniuge proprietario, pur incolpevole.
E’ quindi comprensibile che il marito, al di là della colpevolezza del fallimento dell’unione, tenti di recuperare l’immobile prima che questo venga assegnato alla propria ex compagna.

I TENTATIVI DI RECUPERARE L’IMMOBILE

Il pregiudizio dunque rilevantissimo che rischia di subire il marito, fa si che spesso vengano posti in essere comportamenti al limite della legittimità, finalizzati, in vista di una prossima separazione, al recupero dell’immobile.
Capita frequentemente che il marito, conscio della crisi coniugale e del rischio di essere estromesso dalla casa, cerchi di convincere la moglie a vendere l’appartamento da comprarne due di minori dimensioni, ovvero tenti di vendere il proprio immobile prima della comparizione dei coniugi avanti al Presidente o ancora contragga volutamente mutui bancari con iscrizione ipotecaria sul bene o prestiti con privati, conscio che non vi farà fronte dopo il provvedimento del giudice di assegnazione, lasciando quindi che la casa venga venduta all’asta dall’Istituto finanziatore.
Per sopperire ad ipotesi di questo genere, dopo l’udienza presidenziale espressamente l’art. 337 sexies prevede che, il provvedimento di assegnazione, e quello eventualmente di revoca, siano trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell’art.2643 c.c.
E’ di estrema importanza quindi che, una volta ottenuto il provvedimento di assegnazione questo venga trascritto tempestivamente alla Conservatoria dei R.R.I.I. anche per inibire manovre artatamente finalizzate a pregiudicare il diritto della moglie e dei figli ad occupare la casa.
Ipotesi di questo genere capitano frequentemente fino a scene a limite della farsa, allorchè il marito, conscio della prossima perdita incarica l’agenzia di vendere l’immobile, fissando le visite dei possibili acquirenti mentre la moglie si trova a lavoro e questa viene a conoscenza dei tentativi di vendita, solo allorchè trova dei possibili acquirenti che girano per casa.

CESSAZIONE DEL DIRITTO AL GODIMENTO DELLA CASA

La normativa statuisce che il diritto sulla casa familiare viene comunque meno nei casi in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare nell’alloggio, contragga nuovo matrimonio o conviva more uxorio con altro soggetto. Singolarmente la normativa non chiarisce che fine fanno i figli, ove l’assegnazione venga revocata, allorchè questi siano in tenera età e debbano rimanere con la mamma.

COSA SI INTENDE PER CASA CONIUGALE

Talvolta l’assegnazione della casa viene richiesta senza che essa costituisca realmente l’abitazione coniugale.
In altri casi accade che l’immobile venga occupato strumentalmente medio tempore proprio al fine di ottenere l’assegnazione all’udienza Presidenziale.
A noi è capitato talvolta di assistere a strumentali occupazioni di un alloggio da parte della moglie, occupazioni artatamente preordinate proprio al fine di giungere all’udienza con un immobile configurato come “ casa coniugale” occupato e con il trasferimento anagrafico effettuato.
In altri casi allorchè ancora non era stata emessa la sentenza della Corte Costituzionale equiparando il rapporto di convivenza a quello di matrimonio sotto il profilo del diritto all’ assegnazione della casa anche per i conviventi, ci è capitato il caso di una donna che convinceva il convivente a contrarre matrimonio, solo al fine di presentare 30 giorni dopo la domanda di separazione e impossessarsi dell’alloggio.

LA FUTURA CASA FAMILIARE 

Un altro caso interessante è quello esaminato dalla Corte di Cassazione con la recente sent. n.22581 del 04/11/2015 allorchè non era stata attribuita l’assegnazione della casa coniugale alla donna, in quanto, pur avendola acquistata entrambi i coniugi, con denaro comune, ancora l’alloggio non era stata materialmente occupato e il marito aveva abbandonato la famiglia proprio il giorno prima del trasferimento alla nuova abitazione.
Il Tribunale interpretava la norma in senso rigido, ritenendo che, per casa coniugale doveva intendersi solo quella effettivamente occupata dai coniugi e non quella che si sarebbe dovuta occupare.
 La Corte d’Appello confermava la sentenza del Tribunale, talchè la moglie si rivolgeva alla Corte Suprema evidenziando l’artata manovra del marito, che aveva impedito l’occupazione dell’immobile in vista della prossima separazione.
Tuttavia anche la Cassazione optava per la linea rigida precisando che la domanda di assegnazione della casa di esclusiva proprietà del marito, la quale indubbiamente non era mai stata adibita ad abitazione del nucleo familiare, legittimamente non era stata accolta dal Tribunale e dalla Corte d’Appello.
Ciò in quanto la giurisprudenza di legittimità, ha sempre stabilito che l’assegnazione prevista della normativa richiamata, risponda all’esigenza di conservare l’habitat domestico inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si articola la vita familiare.
Tale situazione riguarda soltanto gli immobili che hanno costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza e non possono proiettarsi ad immobili che pur essendo destinati all’abitazione della famiglia, di fatto non lo sono stati, sia pure per una manovra artata del coniuge.

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