La giurisprudenza ormai assolutamente consolidata della Corte di Cassazione subordina il provvedimento di assegnazione della casa coniugale solo alla presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente e conviventi con i genitori.

In assenza di tale presupposto la casa in comproprietà o in proprietà esclusiva non può essere assegnata mai, neanche in sostituzione o quale componente dell’assegno di mantenimento.
Senza il provvedimento di assegnazione, l’abitazione è soggetta alle norme ordinarie in tema di diritto di proprietà e di scioglimento della comunione se l’immobile è in comproprietà.
Dunque il proprietario avrà diritto ad ottenere la restituzione dell’immobile o potrà farlo vendere, in caso di comproprietà, con divisione del ricavato.

UNA SOLUZIONE CON MOLTE ZONE D’OMBRA

Su questo principio la Cassazione è ormai irremovibile (ricordiamo anche di recente n. 387 del 13.01.2012 e in senso analogo, Trib. di Milano n. 12263 dell’8/11/2012).
Tale orientamento fatto proprio dalla Suprema Corte, al quale quindi si devono attenere i giudici di merito, lascia tuttavia perplessi allorché ci si trovi in presenza di situazioni per le quali l’applicazione rigorosa della norma, porta ad evidenti ingiustizie sostanziali.
Già in altre occasioni, si era accennato all’ipotesi estremamente comune in cui in età avanzata il marito proprietario esclusivo dell’immobile decida di iniziare una relazione con una giovane straniera e abbandoni la moglie dopo 30 o 40 anni di matrimonio.
In tale situazione, poiché normalmente i figli sono autonomi e non più conviventi nell’alloggio coniugale, la casa deve tornare al legittimo proprietario e cioè al marito colpevole del fallimento dell’unione, (se la casa è in comproprietà, va sciolta la comunione, venduto l’immobile e distribuito il danaro).
In tali fattispecie, che cominciano a diventare estremamente frequenti, il Tribunale può agire sulla definizione dell’assegno di mantenimento a carico del marito, (sempreché la donna non abbia un adeguato reddito proprio), ma nulla può fare per permettere alla moglie, incolpevole del fallimento del matrimonio, di rimanere nella casa ove è sempre vissuta, dal matrimonio in poi, con ciò pregiudicandole la serenità alla quale avrebbe avuto diritto.
Non è difficile cogliere in simili provvedimenti un’ingiustizia sostanziale in danno di una donna in età avanzata, per di più incolpevole della crisi coniugale e privata ingiustamente dell’alloggio di una vita. Tutto questo a fronte  dell’incapacità della Cassazione di adattarsi a criteri più consoni alla tutela del coniuge più debole.

L’INTERPRETAZIONE DEI GIUDICI DI MERITO

Rendendosi conto dell’ingiustizia sostanziale di estromettere da casa un soggetto  anziano ed incolpevole, talvolta sono rinvenibili nei Tribunali sentenze o comunque provvedimenti presidenziali che si discostano dall’orientamento della Suprema Corte, attribuendo egualmente la casa al coniuge più debole, incolpevole del fallimento dell’unione, compensando semmai la perdita dell’alloggio con la riduzione dell’assegno di mantenimento a carico del marito o agendo su altri parametri economici.
Tali decisioni tuttavia sono destinate, mediante l’appello e poi, nel caso, con ricorso alla Corte Suprema, ad essere annullate in quanto palesemente in contrasto con quanto prevede la Cassazione.
La stessa situazione si verifica (casi ormai frequentissimi), allorché, dopo l’assegnazione della casa, e la successiva intervenuta autonomia economica dei figli, decorsi numerosi anni, il marito proprietario della casa, si rivolga nuovamente al Tribunale con il procedimento di modifica delle condizioni della separazione o del divorzio, chiedendo la revoca del provvedimento di assegnazione nella casa alla moglie e la restituzione dell’immobile a sé stesso.
Per compensare simili ingiustizie la giurisprudenza ha creato un palliativo sostenendo che, in tali fattispecie vi sarebbe un arricchimento del marito, il quale torna in possesso dell’immobile; quindi legittimamente viene determinato un assegno di mantenimento in favore della moglie estromessa, mantenimento che prima non c’era, o aumentato quello preesistente, stante la disparità dei redditi.
Tale soluzione tuttavia non risolve il problema che rimane quello di una donna anziana sola ed incolpevole, gettata fuori dalla casa ove era vissuta per 30-40 anni, al di là dell’entità del mantenimento.

DUE CASI IDENTICI DECISI IN MODO OPPOSTO

Nella mia esperienza professionale, raramente mi sono imbattuto in provvedimenti che si discostassero da tale orientamento della Corte Suprema.
Talvolta però i giudici, anche nella stessa situazione, pervengono a decisioni difformi, se non opposte.
In entrambi i casi, decisi recentemente dal Tribunale di Roma, si era in presenza di coniugi anziani intorno ai 70 anni (come non c’è limite di età per sposarsi altrettanto dicasi per separarsi !).
I mariti erano afflitti da vari malanni, (come succede agli uomini a quell’età), ma entrambi laureati.
Le mogli benestanti.
In sede di separazione entrambi i coniugi richiedevano l’assegnazione della abitazione familiare.
In tutte e due le fattispecie, il marito, pur non avendo alcun diritto di proprietà sul bene (nel primo caso l’immobile era di proprietà del figlio della coppia che appoggiava la madre e, nel secondo della moglie stessa)   si era impossessato dell’alloggio, rendendo impossibile alla moglie di poter continuare la convivenza quantomeno per il timore di molestie, di violenze o di atti aggressivi durante il corso della causa.
In entrambi i processi il marito chiedeva accollarsi alla moglie  (benestante) un assegno di mantenimento in proprio favore.

LA DECISIONE DELLA PRIMA CAUSA

Evidenziata tale situazione e l’estromissione ingiusta dalla casa, la prima moglie richiedeva al Tribunale l’assegnazione dell’alloggio.
Il Tribunale, (sent. n. 9200 del 2012),  tuttavia non accoglieva tale richiesta ed in applicazione dei principi giurisprudenziali statuiva che, mancando il presupposto dell’esistenza dei figli minori o maggiorenni non autonomi, pur apparendo ingiusto che la  moglie fosse costretta a locare altro alloggio per le molestie ed il pericolo di una convivenza con un soggetto poco affidabile, tuttavia non fosse possibile emettere alcun provvedimento che garantisse all’anziana donna la prosecuzione nell’occupazione della casa.
Naturalmente, applicandosi la normativa generale in tema di tutela della proprietà, si sarebbe potuto agire separatamente con un’altra causa per rivendicare la proprietà, il possesso e quindi ottenere la restituzione del bene.
Dunque per la liberazione della casa non restava al proprietario che proporre una lunga e successiva causa autonoma per far valere il proprio diritto sull’alloggio rimanendo in tutto questo frattempo la moglie ospite di amici.

APPARTAMENTO DI VALORE: ASSEGNAZIONE NO, ORDINE DI RILASCIO SI’

Nell’altro caso speculare, questa volta si trattava di un appartamento di ingentissimo valore al centro della capitale.
Di fronte alla richiesta contrapposta dei coniugi di assegnazione della casa (ognuno dei due nei pretendeva l’assegnazione), il Tribunale assumeva una decisione del tutto opposta, in aperto contrasto con l’orientamento della Cassazione.
Anche in questo caso il marito si era inserito all’interno dell’immobile con abbandono forzoso da parte della moglie timorosa di eventuali  reazioni dell’ex coniuge.
Si evidenziava anche in questo caso l’autonomia economica del marito laureato, la sua propensione all’alcolismo ed il possesso di una pistola. L’anziana moglie rilevava inoltre che, se non le avessero concesso l’assegnazione dell’immobile di sua proprietà, il marito sarebbe rimasto ingiustamente all’interno dell’alloggio e per poterlo liberare (così come nel primo caso sopra detto), l’interessata avrebbe dovuto affrontare un lungo processo separato, rivendicando i propri diritti di proprietà e chiedendo al giudice il provvedimento di rilascio che avrebbe ottenuto, però a distanza di anni.
Il Tribunale in modo innovativo risolveva il problema in questa maniera: da un lato dichiarava l’impossibilità di assegnare l’immobile all’uno o all’altro in assenza di figli, ma dall’altro ordinava il rilascio immediato dell’alloggio al marito, statuendo tuttavia a carico della donna   un assegno per la partecipazione al mantenimento del coniuge estromesso.
Il marito, sicuro, stante le rassicurazioni del proprio legale, che sarebbe rimasto nell’alloggio e deluso dalla decisione imprevedibile, nel frattempo ricorreva alla Corte di Appello reclamando il provvedimento del Presidente e rilevando che sostanzialmente era stato adottato uno stratagemma giuridico.
Ciò in quanto ordinare il rilascio dell’immobile in favore del proprietario, altro non significava che consegnare il bene alla donna, e cioè assegnarle l’alloggio, il che era espressamente vietato dalla Suprema Corte, in assenza di figli.
La Corte di Appello confermava invece la liceità del cavilloso  provvedimento del Tribunale, costringendo in questo caso, a differenza dell’altro, l’uomo al rilascio dell’alloggio (Decreto del 12/12/2011 a definizione del procedimento R.G. 55477/11).
Per la cronaca in entrambi i casi decisi in modo opposto, il nostro studio assisteva la donna.

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