Plus (ma anche bis) dat qui cito dat dicevano gli antichi, che –evidentemente- non conoscevano i tempi (e i modi!) della nostra pubblica amministrazione, quando veste i panni del debitore.
La pubblica amministrazione, infatti, è un debitore “diverso”, è un po’ meno debitore rispetto agli altri soggetti dell’ordinamento. Le imprese e i professionisti, a fronte dell’interesse ad assicurarsi commesse pubbliche, hanno, da sempre, tollerato incredibili ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni. Il fenomeno assume particolare gravità rispetto ai settori della sanità e degli appalti pubblici, nonché, in generale, per le commesse degli enti locali.

La visione delle pubbliche amministrazioni come debitori privilegiati è stata superata solo sul piano puramente teorico, mentre il legislatore, anche in tempi recenti, ha introdotto salvifiche disposizioni per allentare la morsa dei creditori nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Si pensi alla sospensione, stabilita da specifici provvedimenti legislativi, delle azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni sottoposte a piani di rientro dai disavanzi sanitari, dichiaratamente finalizzata a dare respiro ad enti in estrema sofferenza finanziaria.
Gli antichi privilegi dovrebbero, però, essere giunti al capolinea.

Il Consiglio dei Ministri nella seduta n. 75 del 06/04/2013 ha approvato il decreto legge sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. Il problema è ben noto, anche a causa dell’enorme risonanza data ad esso sugli organi di stampa: le pubbliche amministrazioni hanno accumulato debiti nei confronti delle imprese per un ammontare complessivo di circa 180 miliardi di euro e che i tempi medi dei pagamenti si attestano sui 180 giorni, a fronte di una media europea di 65 giorni.
Il dato “grezzo” è, a dir poco, allarmante e suscita immediata indignazione se rapportato all’attuale crisi economica e alla crescita progressiva degli oneri fiscali gravanti sulle imprese che, da un lato, non ottengono il “dovuto” dalle pubbliche amministrazioni, dall’altro si vedono richiedere imperativamente dalle stesse il pagamento tempestivo di tasse, imposte e oneri vari.
Il dato “raffinato” all’esito di un’analisi più profonda mostrerà aspetti ulteriori e una pluralità di prospettive di valutazione della “mossa” del Governo.

Il provvedimento del Governo disciplina le modalità per il pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni nei confronti di imprese e professionisti.
L’avvio della procedura per la riscossione dei crediti delle imprese e dei professionisti nei confronti delle pubbliche amministrazioni è sicuramente da salutare con favore, ma non si tratta – va detto sin d’ora – di una soluzione elaborata autonomamente e spontaneamente dal Governo per i noti problemi della crisi economica, ma un atto dovuto, in ottemperanza a precise indicazioni provenienti dall’Unione europea.

La lotta dell’UE ai ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni è problema antico. Già con una raccomandazione del 12 maggio 1995, relativa al settore degli appalti pubblici, la Commissione europea invitava gli Stati membri “ad adottare i provvedimenti giuridici e pratici necessari per far rispettare i termini di pagamento contrattuali nelle transazioni commerciali e per assicurare migliori termini di pagamento negli appalti pubblici” (art. 1).
Non avendo tale raccomandazione sortito alcun effetto in molti degli Stati membri, il legislatore comunitario pervenne ad emanare la direttiva n. 2000/35/CE del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Il provvedimento ha una maggiore forza cogente e una portata più ampia; riguarda, infatti le transazioni commerciali tout court e non più i soli appalti pubblici e si applica a tutte le transazioni commerciali a prescindere dal fatto che esse siano effettuate tra imprese pubbliche o private o tra imprese e autorità pubbliche, comprendendo nell’ambito di applicazione anche i pagamenti da effettuarsi verso liberi professionisti. A tale direttiva lo Stato italiano ha dato attuazione con il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231.

Negli anni successivi l’UE fornisce sempre più efficaci strumenti per il recupero dei crediti vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni mediante il ricorso alla giustizia[1]. L’acuirsi della crisi economica e il perdurare delle criticità relative ai ritardi dei pagamenti impongono un nuovo intervento dell’UE, mediante la Direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio 2011, nella quale si indicano le modalità per la risoluzione del problema invitando gli Stati membri a legiferare conformemente sul punto. In estrema sintesi, gli strumenti sono: l’indicazione di termini massimi di 30 giorni per i pagamenti da effettuarsi da parte delle pubbliche amministrazioni, una stringente disciplina degli interessi, tutela risarcitoria estesa anche alle spese di recupero crediti, riserva di proprietà per il creditore. Il termine previsto per l’adeguamento da parte degli Stati membri era fissato nel 16 marzo 2013.

Dopo alcune interlocutorie disposizioni inserite nella legislazione finanziaria (d.l. n. 1/2012, conv. in legge n. 27/2012; d.l. n. 52/2012, conv. in legge n. 94/2012; cui si aggiungono due decreti MEF del maggio 2012), dalle quali emerge la comprensibile difficoltà di adeguamento – dovuta alla inconciliabilità tra lo stato attuale della finanza pubblica e il rispetto delle stringenti indicazioni di fonte europea – una prima, debole, risposta del legislatore italiano è intervenuta con il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192.

Il provvedimento interviene in anticipo rispetto alla scadenza fissata dall’UE, proprio “in considerazione della importanza della normativa nonché dell’opportunità peculiare di garantire, in questo momento, le imprese e più specificatamente le piccole e medie imprese”, come si legge nel comunicato stampa del Governo. La “sensibilità” ostentata si rivela demagogica. All’esito della valutazione operata dagli organi dell’UE, che disvelano i nodi irrisolti e soprattutto l’ingiustificata elusione delle prescrizioni europee per edilizia e lavori pubblici, per gli enti locali e l’insufficiente disciplina della trasparenza e dei rimedi giurisdizionali specifici.
L’UE intima all’Italia l’integrale adeguamento alla Direttiva entro il 16 marzo 2013, al fine di evitare la procedura di infrazione e la comminatoria di pesanti sanzioni.

Il Governo si “piega”, approvando – come detto – in data 06/04/2013 il decreto legge sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, con uno stanziamento da 40 miliardi di euro da erogarsi nell’arco dei prossimi 12 mesi.
Il decreto si compone di dodici articoli e si snoda in tre assi fondamentali: l’attenuazione dei vincoli del patto di stabilità interno; la creazione di un fondo “dedicato” per il pagamento dei debiti degli enti locali e delle regioni, con particolare riferimento alla spesa sanitaria; l’incremento delle erogazioni per rimborsi d’imposta.

I pagamenti dei debiti “certi, liquidi e esigibili di parte capitale” contratti dagli enti locali “sono esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno per un importo complessivo di 5.000 milioni di euro”. Per le regioni e le amministrazioni centrali gli importi sono rispettivamente di 1,4 miliardi e 500 milioni di euro.
Per ciò che riguarda il fondo “dedicato”, esso comporta uno stanziamento complessivo di 26 miliardi di euro per il pagamento dei debiti “certi, liquidi ed esigibili” ed è articolato in 3 sezioni: enti locali (2 miliardi nel 2013 e nel 2014); regioni per i debiti diversi da quelli sanitari (3 miliardi nel 2013 e 5 miliardi nel 2014); regioni per i debiti sanitari (fino ad un ammontare complessivo di 14 miliardi di euro nel biennio 2013-2014, di cui 5 miliardi nel 2013).
Il terzo asse – ad applicazione differita – riguarda la previsione di forme di compensazione tra debiti e crediti della PA, con il riconoscimento della possibilità di compensare crediti commerciali certificati con debiti fiscali iscritti a ruolo anche nel caso di debiti fiscali conseguenti ad atti di accertamento con adesione e con l’innalzamento a 700 mila euro della soglia di compensazione tra crediti e debiti fiscali. I contratti di cessione dei crediti, infine, saranno esenti da imposte e tasse.

I meccanismi così sinteticamente descritti prevedono un’intensa attività di ricognizione dei debiti per ciascuna amministrazione. Le amministrazioni dovranno, infatti, individuare i debiti suscettibili di pagamento immediato ai sensi del decreto e richiedere gli spazi finanziari per farvi fronte.
Tutte le amministrazioni pubbliche sono chiamate, quindi, a certificare le somme dovute, previa registrazione sulla piattaforma elettronica gestita dal MEF, entro 20 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento. L’adempimento richiesto non è tra i più agevoli e la procedura prevista è decisamente complessa. Le amministrazioni non sanno – e non saranno in grado di sapere nei tempi previsti dal decreto – quanti debiti hanno e verosimilmente non potranno rispettare i rigorosi adempimenti procedurali. Che sia voluto? Una interpretazione “maligna”, ma ahimé verosimile, porta a ritenere che, tra i ritardi (patologici) nell’attivazione delle procedure e i tempi (fisiologici) stabiliti nel decreto, i creditori dovranno avere ancora molta pazienza.
Ma la complessità e la tempistica degli adempimenti pone in pericolo anche i funzionari responsabili dei servizi interessati, esposti a diverse ed ingenti sanzioni pecuniarie.
Si badi, inoltre, che l’intervento non rappresenta una forma di finanziamento a fondo perduto per le amministrazioni debitrici, ma soltanto una anticipazione, che ciascuna amministrazione dovrà restituire con un piano di ammortamento a rate costanti, con durata massima di 30 anni e a un tasso di interesse agevolato, determinato sulla base del rendimento di mercato dei BTP a 5 anni. Il decreto prevede rimedi coattivi nel caso di mancato pagamento delle rate di ammortamento. Per i Comuni, lo Stato si rivarrà su una quota dell’IMU (e se la aboliscono?); per le Province, sulla quota dell’RC auto da esse riscossa (allora aumenteranno ancora i premi assicurativi?); per le Regioni la disciplina della rivalsa sarà affidata ad apposito contratto, da stipularsi con il MEF.

Per le amministrazioni statali si stabilisce solo che esse debbano stilare un piano di rientro, in mancanza del quale saranno seriamente redarguite e esposte al pubblico ludibrio, dal momento che è previsto solo che il Ministro competente debba stilare apposita relazione sulle cause dell’inadempienza da inviarsi alle competenti Commissioni parlamentari e alla Corte dei conti.
Anche riguardo alle tipologie di spese che possono essere incluse nel programma si riscontrano alcune illogicità.

Se si eccettua la disciplina specifica delle spese sanitarie, il decreto esclude in modo inequivoco dal novero dei debiti degli enti locali ammessi al programma di ripianamento le spese di parte corrente, riservando la corsia preferenziale ai soli debiti di parte capitale. Ciò significa, in via di approssimazione, e per i non “addetti ai lavori”, che sono esclusi i debiti per il funzionamento dei servizi e per le forniture, mentre sono ammessi quelli in senso ampio riguardanti gli investimenti, quindi le opere pubbliche.
La limitazione alle sole spese in conto capitale non è poi riprodotta per i debiti delle Regioni e delle province autonome, mentre per i debiti delle amministrazioni statali, non solo manca la limitazione, ma è altresì precisato che possano essere ammesse tutte le obbligazioni giuridicamente perfezionate relative a somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali. Le amministrazioni statali possono accedere, dunque, alla corsia preferenziale per consulenti e fornitori.
A compensazione della generosità dimostrata e – come enuncia pomposamente il decreto – in considerazione “dell’esigenza di dare prioritario impulso all’economia in attuazione dell’articolo 41 della Costituzione, a tutela del vincolo di destinazione delle risorse, non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento” sulle somme destinate ai pagamenti disciplinati dal decreto. In altri termini, a fronte della promessa di pagare al più presto, ai creditori sono precluse le ordinarie procedure esecutive per la riscossione dei crediti.

Una disciplina specifica è, poi, prevista per i crediti ceduti. La prassi della cessione dei crediti alle banche è un sistema noto e assai diffuso: le banche o gli intermediari finanziari autorizzati, accollandosi il rischio del pagamento, erogano all’impresa una somma inferiore all’importo del credito. Per i debiti ceduti è espressamente prevista la possibilità di adempiere attraverso l’emissione di titoli di Stato. Va apprezzata e condivisa la previsione espressa in base alla quale i crediti ceduti debbano essere postergati rispetto a quelli non ceduti. Verranno pagate, dunque, prima le imprese e poi le banche, le quali, va detto, beneficeranno comunque ampiamente del provvedimento, dato il rilievo quantitativo dei crediti ceduti rispetto al totale. La cessione dei crediti sarà, inoltre, semplificata e detassata.

Ulteriori misure riguardano il versante tributario. È previsto, infatti, un incremento delle erogazioni per i rimborsi di imposta per un importo pari a 6,5 miliardi (2,5 miliardi nel 2013 e 4 miliardi nel 2014).
Differita, per il rinvio operato ad apposito decreto del MEF, l’applicazione della misura più semplice, equa ed ovvia, quella relativa alla compensazione tra i crediti vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni e certificati secondo le procedure previste dal decreto e i debiti fiscali.
In conclusione: qualcosa si è mosso, ma le logiche del privilegio non sembrano nella sostanza abbandonate e i creditori dovranno ancora aspettare.
Per altro, come anticipato, l’input è venuto ab extrinseco, dall’Europa, che è “scesa in campo” in difesa delle legittime (e ragionevoli) pretese dei creditori della pubblica amministrazione. Insomma: più che di un giudice a Berlino, le nostre imprese sembra abbiano bisogno di un avvocato a Bruxelles.


[1] Li elenca il quarto “considerando”della Direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio 2011: “Il ricorso alla giustizia nei casi di ritardi di pagamento è già agevolato dal regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, dal regolamento (CE) n. 805/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, dal regolamento (CE) n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento, e dal regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità”.

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