Se Procopio non avesse scritto in un moto di resipiscenza Le Storie Segrete, fatti e misfatti della corte di Costantinopoli sarebbero caduti nell’oblio. Eppure il cortigiano del generale Belisario aveva esaltato, nelle storie ufficiali, le guerre vittoriose di Giustiniano nell’estremo tentativo di ricostruire l’unità dell’Impero romano.

Nella coscienza dello storico di Cesarea forse scaturì un moto di ribellione contro il legislatore dell’antichità, custode di un diritto antico, perfettamente astratto, ma incapace di incidere cuore dei giusti. Da una parte la forma perfetta della società cristallizzata in codici e norme, dall’altra l’arbitrio del potere che disintegra il suddito depredato dalle sue ricchezze con tasse inique, requisizioni, spoliazioni. Giustiniano abolì le magistrature esistenti e le leggi che tutelavano la proprietà e la libertà. L’esproprio dilagò sopprimendo la convivenza civile impoverendo le campagne con un esodo biblico che influì sulle future generazioni verso un cupo feudalesimo. “L’imperatore – sottolinea Procopio – amministrava la giustizia non secondo le leggi che promulgava ma in base alle prospettive di guadagno che gli apparissero più splendidi e rilevanti”.

Non sappiamo se la versione di Procopio sia veritiera, sebbene ben argomentata. Le Storie Segrete vanno considerate per quel che sono. Lo scetticismo e il senso critico sono gli ingredienti per valutare i fatti e capire il mondo. Sono forse questi gli ingredienti del libero pensiero? Sicuramente Vico e i secolo dei Lumi hanno sviluppato regole più raffinate di analisi ma resta integra la lezione di Procopio voce critica e cronista di un antico regime.

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