Nelle ultime settimane si è molto discusso di iniziative di indagine di alcune Procure: il rinvio degli atti processuali dall’ufficio del P.M. ad un altro e ad un altro ancora ha suscitato perplessità soprattutto in merito alla competenza del Pubblico Ministero. E da più parti si è chiesto: “ma se quella Procura era incompetente ad indagare, come ha potuto iniziare un’indagine?”

Va detto subito che in nessuna pagina del Codice di Procedura Penale è prevista la competenza del Pubblico Ministero. Di competenza si parla soltanto a riguardo del giudice: art. 51 c.p.p. prevede che funzioni inquirenti sono esercitate dai magistrati della Procura della Repubblica PRESSO il tribunale. Nel momento in cui, nel corso di un’indagine preliminare, si deve verificare la competenza, questa verifica spetta al giudice il quale è, come si usa dire, “giudice della propria competenza”.
Per tenere il discorso nei limiti che si sono dati all’inizio e venire quindi alla competenza del territorio, ricordiamo che per l’art. 8 c.p.p. essa è determinata del luogo in cui il reato è stato consumato; se si tratta di reato permanente è competente il giudica del luogo in cui ha avuto inizio l’azione. Naturalmente il Codice prevede delle ipotesi subordinate, e le indica nell’art. 9, ove si stabilisce che se non vi sono gli elementi per individuare la competenza così come prevista dall’art. 8, sarà competente il giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione delittuosa. In mancanza di questo dato, la competenza apparterrà al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell’imputato e, se per dannata ipotesi neppure questi parametri possono valere, sarà competente il giudice del luogo dove ha sede l’ufficio del P.M. che per primo ha iscritto la notizia di reato nel relativo registro tenuto presso ogni ufficio di procura.
Va anche detto, però, che non è mai possibile prevedere la codificazione di tutti i casi della vita e così entra in questo discorso anche l’interpretazione della giurisprudenza: per esempio, nell’ipotesi in cui un P.M. proceda per reato di associazione per delinquere (art. 416 c.p.), per individuare il giudice competente per territorio bisognerà far riferimento al luogo in cui l’associazione è nata e dove si sono svolte le attività di programmazione delinquenziale e non al luogo in cui sono stati commessi i singoli reati riferibili all’associazione, regola che varrà soltanto se la prova di quella “nascita associativa” non vi fosse: in tal caso, cioè, varrà il criterio subordinato del luogo di commissione del primo reato.
Dunque, competenza e riferimento al giudice e non al Pubblico Ministero: ma che cosa è possibile fare nel caso in cui le indagini siano iniziate e portate avanti dal un Pubblico Ministero che “ siede” presso un giudice territorialmente incompetente? L’art. 22 c.p.p. prevede che nel momento in cui il giudice per le indagini preliminari, interessato per qualunque ragione dal “suo” P.M. , riconosca la propria incompetenza per qualsiasi causa, lo pronuncia con ordinanza e restituisce gli atti al Pubblico Ministero. Lo stesso articolo prevede però al comma successivo che quella ordinanza produce effetti solo limitatamente al provvedimento richiesto; quindi il P.M. rimane libero di proseguire le sue indagini, a meno che il provvedimento che aveva chiesto al giudice non venga da lui ritenuto irrinunciabile: in tal caso dovrà trasmettere gli atti all’ufficio di Procura presso il giudice indicato come competente.
E’ infine possibile da parte dell’indagato, il quale ritenga che il reato appartenga alla competenza di un giudice diverso da quello presso il quale esercita la sue funzioni il P.M. che sta indagando, di chiedergli la trasmissione degli atti all’ufficio di Procura presso il giudice che l’indagato ritenga competente, e se il P.M. non lo fa la richiesta può essere riproposta al Procuratore Generale.
I rimedi dunque ad una patologia dell’indagine preliminare vi sono, e sono previsti sia dal codice che dall’interpretazione giurisprudenziale: ma restano evidentemente spazi di praticabilità ove possono collocarsi uffici di Procura che ritengano di poter procedere – specialmente ipotizzando un reato associativo – a prescindere dai parametri di cui finora si è visto. Senza minimamente dubitare dell’etica e della professionalità di quegli uffici di Procura, si deve constatare che eventualità del genere non farebbero brillare di luce splendente quei magistrati del pubblico ministero che indagassero su reati per i quali il “loro” giudice è incompetente, e quei giudici per le indagini preliminari che prima emettessero provvedimenti basati sulla tacita affermazione della propria competenza – per esempio territoriale – e successivamente con altro provvedimento si dichiarassero incompetenti – per esempio territorialmente -.
Una piccola ipotesi che possa prevedere un tentativo, se non di soluzione, di alleggerimento di queste situazioni potrebbe trovarsi nella modifica dell’art. 22 c.p.p., nel senso di prevedere, anche nel caso di cui al primo comma (“il giudice, se riconosce la propria incompetenza, pronuncia ordinanza e dispone la restituzione degli atti al Pubblico Ministero”) il potere di ordinare fin da quel momento la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso il giudice competente.
E’ una ipotesi, naturalmente, ma è soprattutto un invito a discuterne.

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