Una patrimoniale ordinaria per rendere il sistema più equo. Per alleggerire il carico fiscale su lavoratori e imprese senza mettere a rischio i conti pubblici occorre operare una redistribuzione del prelievo spostando il carico da quanti in questi anni hanno sopportato il maggior peso ai soggetti che hanno tratto i maggiori benefici accumulando ricchezze e patrimoni. Si tratta, dunque, di dare piena attuazione al principio costituzionale della capacità contributiva attraverso una riforma in grado di rendere il sistema più equo e più solidaristico.
La patrimoniale sarebbe anche una efficace risposta fiscale in un periodo caratterizzato da una lunga crisi economica che erode progressivamente la base imponibile dell’Irpef. Alleggerire il prelievo sul lavoro e sulle imprese, spostandolo sul patrimonio aiuterebbe la ripresa economica e porrebbe le basi per attuare interventi di contenimento della pressione fiscale che negli ultimi anni ha raggiunto livelli particolarmente elevati per i contribuenti onesti.

L’80% dell’Irpef proviene dai lavoratori e dai pensionati
La recente indagine di Lef sul reddito delle persone fisiche ha confermato, se ce ne fosse stato bisogno, che l’80/82 % dell’ammontare complessivo dei redditi dichiarati in Italia è costituito dai redditi di lavoro dipendente e da pensione. In concreto, il 75/79 % del gettito Irpef, che costituisce di gran lunga l’imposta più significativa in termini economici, proviene dai lavoratori e dai pensionati. È evidente che, al di là della situazione contingente, dovuta alla gravissima crisi economica in corso, se si intende recuperare la funzione solidaristica dell’imposizione, suggellata dal principio di capacità contributiva [1], è necessario mirare ad un riequilibrio del sistema tributario, attenuando il carico fiscale che grava sull’imposizione diretta (Irpef), in particolare sui redditi di lavoro dipendente e da pensione. Difatti la proliferazione nel tempo di forme di imposizione sostitutiva o a titolo d’imposta (redditi di capitale, dividendi, rendite finanziarie, cedolare secca, numerose forme di forfetizzazione della tassazione e tra poco anche l’Iri ha finito con l’assoggettare alla progressività dell’Irpef e alle salatissime addizionali comunali e regionali quasi esclusivamente i lavoratori dipendenti e i pensionati.
In questa prospettiva è pregiudiziale modificare il metodo di approccio al problema. Pensare di subordinare la riduzione della pressione fiscale che grava sui contribuenti a reddito fisso all’eventuale tesoretto che potrebbe essere generato dalla lotta evasione fiscale vuol dire cercare il facile consenso dei media e, di fatto, rinviare e aggravare il problema. È evidente che l’eventuale maggior gettito da evasione ha carattere contingente, è una variabile legata ai risultati di ciascun anno, della cui stabilità l’erario non può avere certezza. È necessario, invece, da subito realizzare una riforma del sistema che operi un riequilibrio della distribuzione del carico fiscale anche se con tempi di esecuzione spalmati nel tempo. Sul piano generale per riequilibrare l’eccessiva pressione fiscale che grava sull’imposizione diretta non bisogna pensare certamente ad un incremento dell’Iva[2] che finirebbe col gravare ulteriormente sui meno abbienti e che deprimerebbe i consumi, neanche si può pensare di trovare risorse sufficienti nella fantomatica revisione delle tax expeditures, il cui magazzino è stato peraltro già ampiamente saccheggiato in più occasioni per le prime urgenze della crisi[3], piuttosto si può considerare l’introduzione di una imposta patrimoniale personale annuale su tutti i patrimoni (beni reali e finanziari dei contribuenti) superiori ad una certa soglia.

Sette ragioni per una patrimoniale
Ecco sette buone ragioni che giustificano, a parità di gettito, l’introduzione di una imposta patrimoniale ordinaria sulle grandi ricchezze e la riduzione dell’Irpef.

1) L’introduzione di una imposta patrimoniale personale annuale sulle grandi ricchezze (per esempio sui patrimoni superiori a 1 milione di euro), con una o più aliquote di modesto valore, sarebbe perfettamente il linea con il dettato costituzionale[4]. È evidente che chi ha un patrimonio ha una forza economica sensibilmente maggiore di chi non ce l’ha. Una cosa è produrre un reddito annuo di lavoro dipendente di 20.000 euro, altra cosa è avere una rendita annua di 20.000 euro. In concreto l’imposta patrimoniale colpirebbe una specifica manifestazione di capacità contributiva del contribuente: il patrimonio inteso come stock di ricchezza accumulata nel tempo se superiore ad un determinato tetto[5].

2) Il sistema di tassazione in Italia è fortemente sbilanciato sulla imposizione diretta e grava in particolar modo sui lavoratori dipendenti e pensionati che coprono quasi l’80% del gettito Irpef. A parità di gettito un imposta patrimoniale annuale, avrebbe un effetto perequativo e consentirebbe di ridurre l’imposta sul reddito, a benefico soprattutto dei lavoratori, dei pensionati e delle imprese (con la riduzione del cuneo fiscale).

3) L’imposta patrimoniale personale periodica recupererebbe al criterio di progressività della tassazione manifestazioni di ricchezza che ne sono attualmente escluse in sede di imposizione sul reddito (per esempio rendite finanziarie e redditi di capitale in genere, cedolare secca, redditi di natura speculativa, attualmente assoggettati ai tassazione separata o sostitutiva).

4) L’imposta patrimoniale favorirebbe, inoltre, la progressività della imposizione personale anche in considerazione della concentrazione dei grandi patrimoni in un numero limitato di soggetti. Alla fine del 2010 il 10 per cento più ricco delle famiglie italiane deteneva quasi il 45,9 della ricchezza complessiva, mentre la metà più povera delle famiglie italiane deteneva solo il 10 per cento della ricchezza totale [6].

5) L’imposta patrimoniale colpirebbe i redditi evasi investiti in acquisti patrimoniali. La Banca d’Italia ha rilevato che la ricchezza degli italiani si incrementa ogni anno molto di più del reddito che dichiarano all’erario.

6) L’introduzione di una imposta patrimoniale annuale personale (eventualmente tenendo conto anche del contesto familiare per evitare operazioni elusive) comporterebbe la mappatura generale, sistematica e periodica, del patrimonio mobiliare e immobiliare, reale e finanziario, dei contribuenti italiani. Produrrebbe una sensibile riduzione dell’evasione dalle imposte tradizionali, in primis dell’Irpef, poiché ciò che si evade o si consuma o si investe in beni patrimoniali. Di conseguenza determinerebbe l’emersioni di basi imponibili, che, se occultate, sarebbero automaticamente intercettate dall’Amministrazione finanziaria attraverso l’anagrafe patrimoniale.

7) La dichiarazione patrimoniale periodica consentirebbe il riscontro sistematico delle dichiarazioni Isee, presentate dai soggetti che si dichiarano meno abbienti per godere di prestazioni e servizi sociali e assistenziali, anche con riferimento ai valori patrimoniali, con la conseguenza sensibile riduzione delle false dichiarazioni Isee.

 

Note:

[1] La contribuzione fiscale e il principio di capacità contributiva nella Costituzione italiana – L’art. 53, comma 1 della Costituzione, in base al quale “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, in ragione della loro capacità contributiva”, mira a riconoscere pari tutela di rango costituzionale sia all’interesse della collettività al concorso di tutti alle spese pubbliche (funzione solidaristica) sia all’interesse del singolo ad essere tassato nei limiti della propria capacità contributiva (funzione garantistica). La funzione solidaristica , che trova una sua sostanziale esplicazione nel comma 2 dello stesso art. 53 nel quale si afferma che “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”, è insita nello stesso concetto di capacità contributiva ed è espressione in campo tributario dei più generali principi di solidarietà e di uguaglianza sanciti rispettivamente dagli artt. 2 (doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale) e 3 (eguaglianza di diritto e di fatto) della Costituzione. Ai nostri fini è utile sottolineare, che l’affermazione del principio di solidarietà nella contribuzione fiscale ha segnato il definitivo superamento della concezione del rapporto tributario come rapporto di scambio tra il contribuente e l’ente impositore. Autorevole dottrina ha evidenziato come attraverso il principio di capacità contributiva si mira ad attuare una redistribuzione della ricchezza nel corpo sociale, in armonia con quanto disposto dall’art. 2 e dell’art. 3, comma 2 della Costituzione [Micheli, G.A.,98]. Ne consegue che anche con riferimento ai contribuenti-impresa, siano essi soggetti societari o imprenditori individuali, il principio di capacità contributiva non fissa una mera ripartizione dei costi sociali tra i consociati, così da costituire l’imposta un mero costo d’impresa, ma resta espressione della funzione solidaristica della contribuzione fiscale (art. 2 e 53,c. 2,Cost. ) anche a fini redistributivi della ricchezza e in funzione garantista.

[2] Oltretutto esiste già il paventato timore dell’incremento di due punti dell’Iva dal 2013, previsto dal governo Monti per evitare lo sciagurato taglio lineare delle tax expeditures, lasciato in eredità dal Governo Berlusconi – Tremonti, che avrebbe colpito automaticamente non regimi agevolativi, bensì misure fiscali equitative adottate per dare concreta attuazione al principio di capacità contributiva ed ad altri principi di valenza costituzionale, nei casi in cui la disposizione fiscale ordinaria risulta inadeguata o inapplicabile.

[3] Si veda per esempio il riordino della tassazione delle attività finanziaria che ha portato la relativa ritenuta dal 12,5 al 20% (art. 2, dl.138/2011) e la revisione del valore degli immobili iscritti in catasto (Imu art. 13, dl. 201/2011 ). Nello stesso senso va inteso l’incremento della aliquota ordinaria dell’Iva dal 20 al 21%, (dl.138/2011) come contropartita delle attuali aliquote Iva agevolate o ridotte. Ad un ulteriore intervento sulle tax expeditures stava pensando il Governo per evitare l’incremento dell’Iva nel 2013.

[4] La Corte Costituzionale ha delineato un concetto di capacità contributiva intesa come “potenzialità economica”.

[5] Il Governo Monti per evidenti motivi di urgenza ha basato la sua prima manovra fiscale su due misure di natura patrimoniale (reale): – l’IMU, l’imposta di bollo per la tassazione della ricchezza finanziaria, scudo fiscale, immobili esteri. Si tratta di misure che tassano il patrimonio in modo empirico e disomogeneo (IMU sugli immobili non costituenti abitazione principale, per la parte di spettanza statale) oppure in modo marginale e occasionale (imposta di bollo: ricchezza finanziaria, scudo fiscale, etc.).

[6] Dati Banca d’Italia, Indagini campionarie, I bilanci delle famiglie italiane, 25.2012. Le informazioni sulla distribuzione della ricchezza desunte dall’indagine campionaria della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane hanno evidenziato che alla fine del 2010 il 10 per cento più ricco delle famiglie italiane deteneva quasi il 45,9 per cento della ricchezza complessiva, mentre la metà più povera delle famiglie italiane deteneva solo il 10 per cento della ricchezza totale.

(www.fiscoequo.it)

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