Il Congresso di Genova è stato, senza dubbio, uno dei più partecipati e soprattutto uno dei più vivaci degli ultimi anni. Oltre 2000 gli avvocati presenti e di questi solo 1.200 delegati: tutti gli altri c’erano perché hanno ritenuto che l’appuntamento fosse troppo importante per poter mancare.

Vale la pena, allora, chiedersi se si tratta di una vera inversione rispetto alle tendenze soporifere dei Congressi Nazionali dell’ultimo decennio o se, invece, è un fuoco destinato a spegnersi in tempi brevi.
Di sicuro c’è che la situazione complessiva dell’Avvocatura è andata sempre più peggiorando.
La conciliazione obbligatoria per determinati tipi di controversie, all’inizio – come spesso accade – sottovalutata dai più, ha rispettato sostanzialmente la tabella di marcia e la legge, nonostante qualche tentativo di “ribellione” parlamentare, è entrata quasi regolarmente in vigore. Di contro, il mondo ordinistico, fidando su un possibile rinvio, si è fatto trovare sostanzialmente e per lo più impreparato, e solo ora cerca di correre ai ripari.
L’altro grande tema degli ultimi anni, la riforma dell’ordinamento forense, ha subito una sostanziale battuta d’arresto nel trasmigrare dal Senato (dove la legge è stata approvata in prima lettura) alla Camera.
Il che, obbiettivamente, non contribuisce a chiarire il quadro complessivo.
Tempo di bilanci, dunque, soprattutto per quella riforma tanto (forse troppo) attesa dai 240.000 avvocati iscritti negli Albi degli avvocati.
Per una ricostruzione veritiera di quanto è accaduto, partirei proprio dal Congresso di Bologna (ottobre 2008): aleggiava un clima positivo, grandi speranze, forti aspettative.
Il Ministro Alfano, da poco insediato, venne e riscaldò i cuori di tutti: ci promise, se gli fosse stato consegnato un testo condiviso da tutta l’Avvocatura, l’approvazione in tempi brevi della riforma (e considerato che la legge attuale risale ad oltre 70 anni fa, la promessa non era cosa da poco!).
Il Governo lo avrebbe fatto proprio, ci disse quel giovane Ministro, e questo avrebbe sicuramente spianato la strada al progetto, che avrebbe certamente avuto una corsia preferenziale nei lavori parlamentari.
Guadagnò una standing ovation, il Ministro: oltre mille avvocati tutti in piedi ad applaudirlo.
Molto è costato alle rappresentanze dell’Avvocatura (istituzionale, politica e associative) licenziare quel progetto unitario partorito dal cd.“tavolo tecnico” istituito proprio nel Congresso di Bologna e coordinato direttamente dal CNF. Molto, in particolare, è costato all’Associazione Nazionale Forense che, pur tentando di mantenere una posizione in linea con quella degli altri, per non sfatare il mito dell’unità indispensabile, non ha mai rinunciato a portare a quel tavolo tutti i contenuti che considerava, e tuttora considera, innovativi e necessari per una moderna professione forense.
Scontando per questo un isolamento immeritato e ingiustificato che, a distanza di due anni, e alla luce di quello che in questi due anni NON è accaduto, si è rivelata l’unica posizione ragionevole e realista che tutti, indistintamente, avrebbe dovuto tenere.
Il progetto “unitario” fu consegnato al Ministro alla fine del febbraio 2009.
Ma il Governo, contrariamente a quanto era stato promesso, non lo fece affatto proprio, e bisognò rassegnarsi a seguire l’iter di approvazione ordinario: fu affidato per l’approfondimento ad un Comitato Ristretto in Commissione Giustizia al Senato che, in un luglio assolato e bollente, lo licenziò definitivamente (!) rinviandolo a settembre per la sola approvazione.
Senonché il rientro dalle ferie non portò bene: gli stessi senatori che a luglio lo avevano ritenuto interamente condivisibile, si affrettarono (per caso su ispirazione degli uffici legislativi del Ministero della Giustizia?) a presentare circa 300 emendamenti (si, avete letto bene, 300 emendamenti!) che rivedevano, a volte anche profondamente, molte delle norme proposte dall’Avvocatura.
In tre giorni a metà novembre (casualmente proprio i tre giorni che precedettero la Conferenza di Roma di novembre 2009, organizzata dall’OUA…) furono discussi tutti e 300 gli emendamenti, la Commissione Giustizia licenziò il progetto e alla Conferenza di Roma, il giorno dopo, il Ministro della Giustizia, accompagnato da quasi tutti i senatori di maggioranza presenti in Commissione Giustizia, venne ancora una volta a farci visita.
E ancora una volta gli fu tributato un lungo, lunghissimo applauso (non proprio una standing ovation , però: qualcosa iniziava a non tornare e gli avvocati, si sa, sono pignoli…).
Da allora il progetto è stato calendarizzato per la discussione in aula al Senato diverse volte.
Una prima volta, a maggio 2010: bisognava tenere l’aula occupata, in attesa che la Commissione Giustizia del Senato licenziasse il ben più importante ddl intercettazioni.
Furono discussi 10 articoli (su un totale di 65), ne furono approvati solo 4 e gli altri furono accantonati in attesa di poterli discutere meglio.
Poi l’Aula ebbe altro da fare (appunto il ddl intercettazioni) e la riforma della professione forense finì in un cassetto, in attesa di tempi migliori.
Infine, in previsione del Congresso di Genova, la discussione della riforma viene di nuovo calendarizzata (direttamente su sollecitazione del Presidente Schifani, che lo aveva solennemente promesso a Palermo, al Congresso dell’UCPI), poi di nuovo rinviata in Commissione per ulteriori approfondimenti, poi finalmente riportato in aula e approvato in tempo per essere offerto, come risultato tangibile, ai 2000 avvocati presenti a Genova.
Che però, nel frattempo, avevano dovuto subire l’approvazione della conciliazione obbligatoria, senza che i miopi uffici legislativi ministeriali si degnassero di prendere in considerazione i numerosi suggerimenti che non solo dall’avvocatura provenivano, tendenti ad evitare l’intervento della Corte Costituzionale (cosa che, alla prima occasione utile, è stata immediatamente sollecitata direttamente dal TAR).
Tornando alla riforma forense, la legge approvata in Senato cancellerebbe (il condizionale è d’obbligo) le cd. “lenzuolate” di bersaniana memoria , reintroducendo la tariffa minima inderogabile (art.12), confermerebbe l’impianto dell’art.8 sulle specializzazioni (che regola il conseguimento del titolo di specialista con modalità del tutto diverse e contrastanti con quelle nel frattempo indicate in un regolamento dal Consiglio Nazionale Forense), reintrodurrebbe l’esame di Stato esattamente identico a quello di oggi (con la sola abolizione dei codici commentati), introdurrebbe scuole forensi obbligatorie su base biennale (ma se non si è riusciti a garantire formazione continua per sole 50 ore in un triennio agli avvocati iscritti negli albi, come si possono garantire 160 ore di formazione in un biennio al considerevole numero di praticanti avvocati che ogni anno inizia la pratica forense?).
Questo lo stato della riforma forense.

Della conciliazione obbligatoria abbiamo già detto.
Ma contemporaneamente si tenta di smaltire l’arretrato civile con una leggina ad hoc, con la quale si affida ad uno sparuto contingente di 600 magistrati onorari, ultrasessantacinquenni e infrasettantacinquenni, la soluzione del problema: al ritmo di 100 sentenze ciascuno all’anno – una ogni tre giorni – sarebbero necessari 83 anni per smaltire i 5.000.000 di procedimenti arretrati che, secondo il Ministro, affollano gli armadi dei nostri Tribunali).
Intanto, all’attuazione della delega sulla semplificazione dei riti (sempre la finanziaria estiva del 2009) lavorano professori universitari senza che l’Avvocatura sia stata in alcun modo coinvolta (saranno per caso gli stessi professori che partorirono il processo societario, precipitosamente abrogato dopo pochissimi anni perché non riusciva a funzionare?).
La conclusione è una, e una sola: è il momento di dire basta.
L’avvocatura, quella di base, intendo, visti i risultati non esattamente soddisfacenti e positivi dei nostri vertici, deve riappropriarsi di una capacità decisionale alla quale, forse troppo precipitosamente, ha rinunciato negli ultimi anni.
In tempi passati, con grande lungimiranza, gli Avvocati si dotarono di un luogo nel quale, legittimamente, discutere, confrontarsi, decidere.
Quel luogo è il Congresso Nazionale Forense.
Genova 2010 è stata soltanto il primo passo: bisogna continuare.
È tempo di assumersi le proprie responsabilità e di costruire una alternativa, valida, a chi, per troppo tempo e con modalità autoreferenziali, ha preteso di parlare, senza averne davvero il mandato, in nome dell’avvocatura.
Dimenticando che l’avvocatura è fatta soprattutto di uomini e di donne che ogni giorno, silenziosamente, svolgono con passione e dedizione un lavoro difficile, ma continuano a rappresentare, oggi come 100 anni fa, l’ultimo baluardo a difesa dei diritti dei cittadini.

* Segretario Generale ANF

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