Si è ucciso Andrea, a Roma. Aveva 15 anni. Si è impiccato nella sua stanza, con una sciarpa. Andrea si vestiva spesso di rosa.

Alcuni compagni di scuola hanno creato una pagina facebook, ora cancellata, con – come si riporta –   riferimenti alla sua, presunta, omosessualità. Una brutta traduzione virtuale di atteggiamenti di scherno derivati dai travestimenti di Andrea, esibiti a scuola. Il Fatto Quotidiano è giunto subito alla conclusione che Andrea sia stato “Ucciso dalla rete”. Questo era il titolo in prima pagina, come se la Rete fosse una specie di mostro mitologico.

Del ragazzo sappiamo che era assolutamente integrato, capace studente, molto ironico. Sappiamo anche che gli piaceva una ragazza, dettaglio peraltro che non escluderebbe affatto l’ omosessualità. Così come la tendenza al travestimento non la implica affatto.

Di Andrea, perciò, sappiamo poco o nulla. E quello che si sa è molto confuso. Tuttavia nello smarrimento pieno di domande che sempre generano gesti simili, soprattutto se compiuti da giovanissimi, si è inserito, con grandissimo successo, un dibattito sull’omofobia più volto a affermare i diritti LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali) che a capire cosa sia veramente successo, rischiando così che i fatti che emergeranno dalle indagini depotenzino battaglie sacrosante ma da condurre con maggiore intelligenza e lucidità. Sembrerebbe piuttosto che ci si stia appropriando del gesto di Andrea. E siccome per i media c’è bisogno di un colpevole, si è deciso – al posto di Andrea –   non solo che fosse gay, in quanto vestito di rosa, ma che il suo gesto fosse motivato dalle prese in giro dei compagni. Si è deciso che gli “assassini” fossero gli stupidi inventori della pagina facebook e si è quindi concluso che i compagni di scuola sono dei mostri.

Un’appropriazione simbolica della vittima da parte delle associazioni gay, senza possibilità di scampo. Dall’ Huffington Post si convoca una accesa protesta al liceo Cavour, sulla base di semplici lanci d’agenzia, e di conclusioni affrettate. Ovunque si protesta, si insulta, si inveisce, si lanciano orridi anatemi. “E’ ora di dire basta”. Ma basta a che? All’omofobia senz’altro. Ma in questo caso alle battaglie sulle rivendicazioni di genere, condotte in questo modo.

Secondo la crimLuana_De_Vitainologa e psicoterapeuta Luana De Vita “il dato da cui si deve partire è che il ragazzo non ha lasciato alcun biglietto e nessuno può stabilire, oggi, se sia morto perché preso in giro. Era di sicuro platealmente eccentrico, quindi aveva un comportamento tipico di chi vuole attirare l’attenzione, provocare, esibire la propria originalità. Per questo vorrei “assolvere” dalle accuse la professoressa che – a ragione – lo pregava di non andare con le unghie laccate a scuola dove appunto si deve anche insegnare agli adolescenti ad avere comportamenti congrui ai contesti in cui si muovono. In discoteca puoi travestirti, ma non lo devi fare a scuola, a lavoro. Vale ovviamente per le ragazze che non possono andare vestite da cubiste in classe”.

Assolutamente esemplare in questo senso è stata sempre Vladimir Luxuria: in parlamento era in rigoroso tailleur grigio, e una volta fuori dalla politica, si è vestita come voleva: dai tacchi alle piume.

Inoltre, una lettera dei compagni e degli insegnanti del liceo Cavour, divulgate dalla deputata Anna Paola Concia, da sempre in prima linea nelle lotte contro le discriminazioni omofobe, mostra che forse le cose non stanno esattamente come le stanno interpretando i media sull’onda delle indignazioni. Concia, che ha passato due ore con i ragazzi dice di non aver trovato “un contesto ostile alle diversità”. Quei piccoli “ mostri” – arbitrariamente individuati – si sono sentiti in dovere di precisare:

Ai direttori dei giornali.
Scriviamo questa lettera di formale protesta per smentire ciò che è stato pubblicato nell’edizione dei quotidiani nel giorno 22/11/2012 riguardo al suicidio di un nostro compagno di classe.
Noi, gli amici, abbiamo sempre rispettato e stimato la personalità e l’originalità che erano il suo punto di forza. Non era omosessuale, tanto meno dichiarato, innamorato di una ragazza dall’inizio del liceo.
Lo smalto e i vestiti rosa, di cui andava fiero, erano il suo modo di esprimersi.
La pagina facebook, dove erano pubblicate citazioni di A., era stata creata per incorniciare momenti felici perché A. era così: portava il sorriso ovunque andasse; peraltro “la pagina aperta contro di lui da chi lo aveva preso di mira”(citazione dal Messaggero) è un’accusa non fondata.
I professori hanno sempre rispettato il proprio ruolo e non hanno mai espresso giudizi sulla sua persona.
Il Cavour non è mai stato un liceo omofobo in quanto fino a quando i fondi sono stati sufficienti, alcune classi hanno preso parte ad un progetto sulla sessualità organizzato dalla ASL e approvato dal collegio docenti.
Inoltre non si sono verificati episodi manifesti di bullismo nell’istituto negli ultimi anni.
Esprimiamo rammarico per la diffusione di notizie false e desideriamo che non si speculi sul nostro dolore.
E gli insegnanti anche hanno aggiunto:

Noi insegnanti, amici, compagni di classe e genitori che hanno conosciuto e voluto bene ad A., vogliamo dire che all’irreparabile dolore per la sua morte tragica, si unisce un ulteriore motivo di sofferenza, legato al modo in cui la tragedia viene ricostruita, stravolgendo l’immagine di A.
A. era un ragazzo molto più complesso e sfaccettato del profilo che ne viene dipinto: era ironico e autoironico, quindi capace di dare le giuste dimensioni anche alle prese in giro alle quali lo esponeva il suo carattere estroso e originale (e anche il suo gusto per il paradosso e il travestimento, che nelle ricostruzioni giornalistiche è stato confuso con una inesistente omosessualità); era curioso e comunicativo, pieno di vita e creativo, apprezzato a scuola dagli insegnanti; soprattutto era molto amato da tantissimi amici e compagni. Probabilmente nascondeva dietro un’immagine allegra e scanzonata una sofferenza complicata e un profondo e non banale “male di vivere”.
Per questo crediamo che il modo migliore e più rispettoso per ricordarlo e continuare a volergli bene sia quello di lasciare la sua morte al silenzio, alla riflessione e all’affetto di chi gli è stato vicino.
Firmato
Alcuni insegnanti, genitori e compagni di classe.

Diciamo che la complessità di Andrea e la vivida intelligenza ricordata da tutti, non sono affatto onorate dalle reazioni degli adulti al suo gesto. E’ perfino impossibile negare che fosse gay, poiché metterlo in dubbio, verrebbe interpretato come una forma di “rimozione” e di fastidio a voler ammettere l’esistenza e la legittimità di questa realtà.

Prosegue la criminologa De Vita: “di fronte a un suicidio vanno indagate tutte le aree della storia di vita: quella affettiva, familiare, scolastica, lo stato di salute psico-fisico eventuali traumi recenti in tutta la complessità che ne consegue – e certo non partendo da superficiali deduzioni giornalistiche. Lo stesso luogo del suicidio, la modalità, le condizioni di rinvenimento del cadavere possono aiutare a comprendere e confermare le dinamiche dell’evento suicidario: non sappiamo ad esempio se era vestito o spogliato, e come si presentava la scena. Il suicidio di un adolescente è uno choc ma   l’attenzione all’evento andrebbe prestata con una cautela diversa. Il suicidio è la seconda causa di morte tra gli adolescenti di tutto il mondo nella fascia di età tra 15 e i 24 anni, con un rapporto tra maschi e femmine di 3 a 1. E’ un fenomeno che richiede ben altra attenzione proprio per sollecitare maggiore prevenzione. E la “teoria” del branco e dell’omofobia, per quanto possibile ma tutta da indagare e verificare, mi sembra per il momento assolutamente azzardata e comunque sposta l’attenzione dalla realtà drammatica e spesso ignorata del suicidio dei bambini e degli adolescenti. In Italia, ogni anno, muoiono circa 4000 persone suicide. Una piccola cittadina che scompare. Nel mondo ogni giorno si contano tante vittime di suicidio quanto il numero dei morti per l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York.

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