Preceduto  dalla sua fama è finalmente in sala in  Italia il film di Lars Von Trier Nymphomaniac.  Lontano dal furbissimo marketing sono rimasti delusi i critici che si aspettavano  di vedere al cinema, realizzato da un grande regista, un film porno sullo stile dei video accessibili a tutti su internet.  

Sono rimasti delusi anche- e che bella vendetta per le donne –  quelli che si aspettavano  le solite donne da  porno, così orrendamente immerse in una sovrastrutturata  paccottiglia  di oggetti e di  abbigliamento per il richiamo sessuale. Ma la sconfitta per il maschilista  prodotto dell’immaginario non finisce qui. Nell’attuale Primo Volume (il Secondo Volume  è previsto  a fine Aprile)    ci troviamo di fronte a  una adolescente  lontana secoli luce dalle ipersessuate ninfette inventate dal mercato e dalla moda  che nei porno completano l’adescamento imposto dal  mercato.

Limitatamente  conturbante Jo  – Stacy Martin, cioè  Charlotte Gainsbourg che si racconta da  giovane – sottilissima, bianchissima, senza seno, con abiti per lo più sotto al ginocchio, senza un filo di trucco  è quanto di meno sessuato esista in circolazione. E’  il vero archetipo  di  donna   anti felliniana e anti marketing  che il cinema  d’autore abbia mai prodotto. 

L’unica grandissima rimozione  che  attraversa tutto il Primo Volume di Niphomaniac  è quella della gravidanza indesiderata e o di altre malattie. Non  la vediamo mai scartare un preservativo o proteggersi. Né la giovanissima Jo ha mai un sottile timore o sospetto  che quella  disponibilità possa poi  ispirare una violenza maschile.

Questa  ragazza desiderosa di accoppiarsi a ripetizione ha un’altra importante  caratteristica che deve aver irritato la critica maschilista: cerca solo sesso, senza nessun legame, anzi  soprattutto  non cerca una relazione. Il che sovverte radicalmente  il grande stereotipo del  rapporto uomo donna ratificato dall’industria culturale e che ha ovviamente  (a forza di ripeterlo  forse)  il suo bel corrispettivo nella vita reale  e  cioè che le donne se hanno una relazione sessuale poi vogliono  legarsi, in qualche modo.  Questo genera sempre i soliti equivoci noti alle cronache e alle salette degli psicanalisti:  lui se la  porta  a letto e poi scappa per paura che lei voglia sistemarsi, fare carriera, farsi pagare la pizza,  la cena, la vacanza, lo zucchero filato, mettere su famiglia, fare dei figli etc in una sorta di perenne declinazione di prostituzione, presunta o reale che sia.  Per cui tutte le donne dalle unghie a fiori alle labbra  tumefatte dal silicone, volontariamente o per riflesso condizionato, si trasformano in valchirie del sesso e della seduzione per accaparrarsi, colonizzare e finalmente cambiare il poveretto in trappola, che  in genere scappa, non senza prima aver cercato di prendere il prendibile dalla lei, che piangerà abbandonata credendosi  infine brutta e indesiderabile.  In una vertigine di incomprensioni senza fine.

Nyphomaniac è  la più grande obiezione a questo  stereotipo dilagato poi (o forse nato proprio lì)  nell’ immaginario pornografico, dove c’è in genere  una lei che “gode” molto  a subire  una serie di assurdità  sessuali che poi  portano a  grandi orgasmi maschili, tutti filmati nel dettaglio, e generalmente facciali.

Gli uomini  di Von Trier sono vittime della strategia di Jo, a parte Seligman  l’intellettuale (Stellan Skarsgard) al quale la Jo adulta narra la sua vita  monomaniaca, fanno follie per lei, scelte non richieste (esilarante  il tipo che lascia la moglie   – una sorprendente  Uma Thurman – ), aspettano  per ore il loro turno più o meno consapevoli della sovrapposizione con altri  partner sessuali, altri sono penosamente inconsapevoli di tutto. Perché Jo poi sceglie a dadi con chi avere la sua dose di orgasmo, stilando anche una tipologia di risposte, legate a un numero: “ se esce tre, dico che  non può andare avanti così”…Una decostruzione magistrale di un immaginario stereotipato andando direttamente alla fonte e usando, anzi, ribaltando tutti i luoghi comuni e trasformandoli  in una creazione originalissima. A volte noiosa e anti erotica nella sua ripetitività, come noioso e decisamente anti erotico è il racconto pornografico da sempre.

L’altro dettaglio che rende questo film  un grande riscatto femminista sul marketing e sul porno  è che non vi è traccia prostitutiva di nessun genere nella protagonista. Una donna dalle irrefrenabili voglie sessuali  deve sedurre a ogni costo mettendosi  nella posizione di vendita o svendita del corpo,  si  carica di sovrastrutture, oppure – altro classico – cerca di ottenere qualcosa  che altrimenti non  riuscirebbe ad ottenere, oppure non si ama abbastanza, oppure, diciamocelo, è sicuramente una puttana.

Jo  racconta delle gran bugie a tutti. Sicuramente è infelice o forse non si pone il problema (ci fa felici solo l’amore? Sarebbe  allora la domanda che sollecita il regista),   o forse talvolta è disperata,  accumula copule senza coinvolgersi (a parte una volta) spesso  con  (reali?) orgasmi, altre volte con indifferenza. Lo spettatore è totalmente guidato attraverso l’ universo del godimento compulsivo di Jo,  che  fino a ieri  era solo appannaggio  maschile.  Solo ai maschi era dato  di  godere in quel modo. E a questi corrispondevano solo due tipi di donne: prostitute o vittime.

Il film contiene anche un’altra strategia da fine performer. A Von Trier  era ben chiaro sia a causa dell’eccessiva lunghezza, sia a causa delle scene  di sesso che il film sarebbe stato tagliato o censurato, aveva sicuramente chiaro che si sarebbe scatenato un vespaio su questo, e forse  lo deve avere anche divertito che  senza scomporsi o dichiararsi avrebbe  gettato  una luce su  una serie di contraddizioni: se quel corpo voglioso e denudato fosse servito a vendere un’aranciata e comparisse  in tutti i luoghi pubblici, nessuno avrebbe obiettato.  Lo scandalo  invece nasce  proprio dal piacere di una  giovane donna  che semplicemente fa sesso senza avere un fine se non quello di moltiplicare orgasmi. Esattamente come nei film porno, ma sottratti alla logica mercantile a questi sottesa.  

Ovviamente il regista  si pone la questione della morale, del perché questa giovane donna avesse sacrificato tutta la sua vita (rinuncia anche a  una formazione universitaria ) unicamente  per  quell’obiettivo. E’ forse la relazione speciale con  padre  col quale si immagina in una scena – la più forte del film una relazione sessuale  incestuosa-  (un tema  noto a Charlotte  Gainsbourg quando cantò col padre Sèrge  la scandolosa Lemon Incest).  Oppure la  madre anaffettiva ? Oppure  l’amore?  Non si  risolve il tema, almeno nel Primo Volume, ma fa parte della tensione drammaturgica  e dell’interrogazione continua proposta dal film. Una parziale risposta –  laica –  la riceviamo dalla stessa struttura narrativa: come un manuale di matematica. Gli accoppiamenti di Jo sono una moltiplicazione di eventi come  le sequenze numeriche di Fibonacci. Tutto è matematica dall’uomo  del treno che  ha calcolato il tempo del concepimento della moglie e corre a casa, la  scelta a dadi del partner, la lavagna sulla quale si appunta la quantità di uomini in un lasso di tempo. Dove porteranno lo sapremo solo e forse  dal Volume 2 di Nyphomiac, sicuramente è un  suggerimento per orientarci nella continua questione della morale che pervade l’intero film, senza farsene accorgere.

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