Le associazioni di volontariato che lavorano nelle carceri da qualche tempo hanno introdotto un’espressione che non ha alcun senso: l’ergastolo ostativo.

Con la definizione di “ergastolo ostativo” si vuole indicare, stigmatizzandola, l’impossibilità di reinserire il detenuto condannato all’ergastolo dal momento che la condanna a vita consentirebbe ai tribunali di sorveglianza (quegli uffici giudiziari ai quali compete la regolamentazione della “vita” dei detenuti condannati a pena definitiva) di negare permessi e lavori all’esterno.
Questa tesi, nonostante continui ad essere materia di discussioni e interventi, è semplicemente falsa.
L’espressione non si può riferire ad una categoria del diritto ma, al limite, della sociologia, se non addirittura una pura invenzione.
L’ergastolo è una pena detentiva prevista dall’articolo 22 del codice penale, il quale recita:
“[I] La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno.
[II] Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto”.
Il carattere afflittivo-retributivo delle pene detentive è stato mitigato dall’articolo 27 della Costituzione che recita:
“[I] La responsabilità penale è personale.
[II] L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

[III] Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
[IV] Non è ammessa la pena di morte”.
È soprattutto il terzo comma che interviene a mitigare la concezione afflittivo-retributiva, laddove attribuisce alla esecuzione della pena il valore prioritario di tendere alla rieducazione del condannato. Rieducazione è l’atto del rieducare, un verbo transitivo il cui significato un semplice dizionario definisce così: ”educare di nuovo, cercando di eliminare gli effetti di un’educazione carente o sbagliata”.
Già l’art. 1 del Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena (R.D. 18 giugno 1931 n. 787) introduceva elementi trattamentali quali il lavoro obbligatorio (comma 1) anche per gli imputati (comma 2), mentre era previsto (comma 4) l’obbligo dei detenuti (condannati ed imputati) di frequentare le scuole istituite. Infine l’ultimo comma permetteva conferenze e proiezioni cinematografiche, col divieto di intervento di persone estranee, eccetto il conferenziere e l’operatore cinematografico. Il Regolamento del 1931 non andava oltre queste timide aperture verso la comunità esterna, mentre l’obbligo del lavoro aveva anch’esso una funzione afflittivo-retributiva derivante dalla rigidità del sistema penitenziario.

LA LEGGE DEL 1975

L’applicazione del precetto costituzionale necessitava di una legge ordinaria che tardò ad essere fatta fino al 1975, in cui fu promulgata la legge n. 354, contenente “Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.”.
La filosofia della legge è indicata già nell’art. 1, che enumera questi principi:
1) Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto delle dignità della persona (comma 1);
2) Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose (comma 2);
3) Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti (comma 6).
Il trattamento penitenziario pone al primo posto il lavoro (art. 20), che è obbligatorio per i condannati e i sottoposti alle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro (comma 3). Lo stesso però è incastonato in una cornice normativa ben diversa:
1)Negli istituti penitenziari devono essere favorite in ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale. A tal fine, possono essere istituite lavorazioni organizzate e gestite direttamente da imprese pubbliche o private e possono essere istituiti corsi di formazione professionale organizzati e svolti da aziende pubbliche, o anche da aziende private convenzionate con la regione (comma 1);
2) Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato (comma 2);
3) L’organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale (comma 5);
4) I detenuti e gli internati che mostrino attitudini artigianali, culturali o artistiche possono essere esonerati dal lavoro ordinario ed essere ammessi ad esercitare per proprio conto, attività artigianali, intellettuali o artistiche (comma 15);
5) I soggetti che non abbiano sufficienti cognizioni tecniche possono essere ammessi a un tirocinio retribuito (comma 16);
6) La durata delle prestazioni lavorative non può superare i limiti stabiliti dalle leggi vigenti in materia di lavoro e, alla stregua di tali leggi, sono garantiti il riposo festivo e la tutela assicurativa e previdenziale. Ai detenuti e agli internati che frequentano i corsi di formazione professionale di cui al comma primo è garantita, nei limiti degli stanziamenti regionali, la tutela assicurativa e ogni altra tutela prevista dalle disposizioni vigenti in ordine a tali corsi (comma 17);
7) Al lavoro all’esterno, si applicano la disciplina generale sul collocamento ordinario ed agricolo e possono iscriversi nelle liste di collocamento, con diritto all’indennità di disoccupazione, certificata dallo stato di detenzione (l’articolo 19, L. 28 febbraio 1987, n. 56) (comma 11);
8) Per tutto quanto non previsto dal presente articolo si applica la disciplina generale sul collocamento (comma 12).
L’ordinamento penitenziario contiene una norma di carattere generale, l’art. 18-ter, introdotto con il D.L. n.152/1991, che titola: “Persone che collaborano con la giustizia”, che recita:
“1.I limiti di pena previsti dalle disposizioni del comma 1 dell’art. 21 (ammissione al lavoro esterno, n.d.r), del comma 4 dell’art. 30-ter (permesso premio, n.d.r) e del comma 2 dell’art. 50 (semilibertà, n.d.r.), concernenti le persone condannate per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’art. 4-bis, non si applicano a coloro che, anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati.
2. Le condotte indicate nel comma 1 sono accertate dal tribunale di sorveglianza, assunte le necessarie informazioni e sentito il pubblico ministero presso il giudice competente per i reati in ordine ai quali è stata prestata la collaborazione.”
Questa norma è stata modificata, per ultimo, dalla legge n.94/2009, art. 2, comma 27.

COSA VUOL DIRE ERGASTOLO OSTATIVO?

Con queste premesse è possibile adesso affrontare l’argomento.
Ostativo è un aggettivo che significa “che costituisce legittimo impedimento al compimento di un atto giuridico” (Salvatore Battagli – Grande Dizionario della lingua italiana – vol. XII, pag. 241). Dunque indica gli ostacoli che si frappongono alla concessione di benefici di leggi al condannato all’ergastolo.
Come si è visto, la pena dell’ergastolo è perpetua, ma non è affatto vero che è impossibile uscire dal carcere vivi.
L’art. 176 c.p. disciplina la concessione della liberazione condizionale al condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, può essere ammesso alla liberazione condizionale, se ha scontato almeno trenta mesi e comunque almeno metà della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i cinque anni. (comma 1).
Il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena (comma 3).
La concessione della liberazione condizionale è subordinata all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle (comma 4).
Acclarato che un condannato all’ergastolo può ottenere la liberazione condizionale dopo 26 anni di carcere va detto che la liberazione anticipata può essere concessa a tutti i condannati, nella misura di 45 giorni ogni semestre di pena scontata, dando prova di partecipazione all’opera di riduzione (art. 54, comma 1 O.P.). per un ergastolo in totale sono 6 anni un mese e un giorno, che dedotti fanno scendere il limite di 26 anni a 19 anni, 10 mesi e 1 giorno.
Il primo termine (26 anni) si riduce sensibilmente per effetto della ‘buona condotta’ (in realtà è questo che si certifica: la buona condotta). La prima condizione ostativa viene superata in questo modo.

L’ORDINAMENTO PENITENZIARIO

Occorre adesso sbrogliare la matassa più imbrogliata, l’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario, che titola: “Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti”. Quindi è una noma che introduce divieti di concessione di benefici, ma non in assoluto, come si vedrà. Per benefici si intendono le misure alternative alla detenzione, salvo la liberazione anticipata, che non è sottoposta a divieti particolari, ma a condizioni di concessione blande.
Va detto che il legislatore moderno non sempre soddisfa le necessità di chiarezza delle norme che produce, mostrando di possedere o esercitare una tecnica legislativa carente o fumosa. L’art. 4-bis non sfugge a questa regola, come si vedrà. Quindi, conviene smontarlo pezzo per pezzo per esaminarlo meglio.
I ‘benefici’ di cui tratta la norma sono: l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata (comma 1, premessa).
Tali benefici possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter della presente legge:
1) delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza,
2) delitto di cui all’articolo 416-bis del codice penale (Associazioni di tipo mafioso anche straniere),
3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste,
4) delitti di cui agli articoli 600 (Riduzione in schiavitù), 600- bis, primo comma (Prostituzione minorile), 600-ter, primo e secondo comma (Pornografia minorile), 601 (Tratta di persone), 602 (Acquisto e alienazione di schiavi), 609-octies(Violenza sessuale di gruppo) [, qualora ricorra anche la condizione di cui al comma 1-quater del presente articolo,] e 630 del codice penale (Sequestro di persona a scopo di estorsione), all’articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri), e all’articolo 74 (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
Sono fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies (“1. Nei confronti delle persone condannate per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, che abbiano prestato, anche dopo la condanna, taluna delle condotte di collaborazione che consentono la concessione delle circostanze attenuanti previste dal codice penale o da disposizioni speciali, la liberazione condizionale, la concessione dei permessi premio e l’ammissione alla misura della detenzione domiciliare”) e 17-bis (norme di attuazione) del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni.

QUANDO POSSONO ESSERE CONCESSI I BENEFICI

Decisamente, non è una norma fatta bene, ma è il destino di tutte le norme che sono aggiunte ad altre precedenti.
Una volta stabiliti quali sono i reati per i quali occorre una attività di collaborazione, si statuiscono i casi in cui i benefici possono essere concessi.
Il comma 1-bis dell’art. 4-bis fornisce una serie di deroghe.
I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno dei delitti ivi previsti:
a) purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva
b) altresì nei casi in cui 1) la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero 2) l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui 3) anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’articolo 62, numero 6 [l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56 (delitto tentato), adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato], anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’articolo 114 (circostanze attenuanti) ovvero dall’articolo 116, secondo comma (Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave), del codice penale.
Dunque, quando la limitata partecipazione al reato accertata nella sentenza di condanna, quando l’accertamento completo dei fatti e delle responsabilità rendono impossibile una collaborazione utile per le giustizia e quando la collaborazione offerta risulti oggettivamente irrilevante ma il condannato abbia provveduto a risarcire il danno causato o siano state applicate le circostanze attenuanti di cui all’art. 114 c.p. o viene diminuita la pena nei confronti che voleva un reato meno grave di quello compiuto di cui all’art. 116 c.p., in tutti questi casi i benefici possono essere concessi, restando escluso solo il caso in cui la collaborazione, pur essendo possibile e fruttuosa, non viene offerta dal condannato, il quale si rifiuta di collaborare.
Il comma 1-ter ipotizza tutti i casi in cui è possibile escludere collegamenti con la criminalità organizzata.
I benefìci di cui al comma 1 possono essere concessi, purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 575 (Omicidio), 600-bis, secondo e terzo comma (Prostituzione minorile – 16 anni di eta’ + 16 anni di età), 600-ter terzo comma (Divulgazione materiale pornografico minorile), 600-quinquies (Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile), 628, terzo comma (Rapina con armi e volto travisato), e 629, secondo comma (Estorsione – bilanciamento circostanze attenuanti e aggravamenti), del codice penale, all’articolo 291-ter (Aggravanti contrabbando tabacchi) del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, all’articolo 73 (Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope) del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, limitatamente alle ipotesi aggravate all’articolo 416, primo (Associazione a delinquere) e terzo comma (Promotori), del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 (Contraffazione marchi ecc.) e 474 (Introduzione prodotti contraffatti) del medesimo codice, e all’articolo 416 (Associazione a delinquere) del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del medesimo codice, dagli articoli 609-bis (Violenza sessuale), 609-quater (Atti sessuali con minorenni) e 609-octies (Violenza sessuale di gruppo) del codice penale e dall’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
Infine, il comma 1-quater chiude la panoramica delle eccezioni.
I benefìci di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 609-bis (Violenza sessuale), 609-ter (Circostanze aggravanti – minori anni 14 – uso delle armi – persona travisata – pubblico ufficiale – persona detenuta – minori anni 10), 609-quater (Atti sessuali con minorenni) e [, qualora ricorra anche la condizione di cui al medesimo comma 1, ] 609-octies (Violenza sessuale di gruppo) del codice penale solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell’articolo 80 della presente legge. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano in ordine al delitto previsto dall’articolo 609-bis (Violenza sessuale) del codice penale salvo che risulti applicata la circostanza attenuante dallo stesso contemplata (Casi di minore gravità).
Gli altri commi sono di natura procedurale.
È di tutta evidenza la fatica dell’interprete non professionale per districarsi in un coacervo di norme richiamate.
È tuttavia possibile concludere che le eccezioni offerte ai condannati particolarmente pericolosi di cui al comma 1 dell’art. 4-bis O.P. sono disciplinate puntualmente dal legislatore, per cui in un solo caso vi è un solo ostacolo insormontabile alla concessioni dei benefici di cui e della liberazione condizionale per i condannati alla pena dell’ergastolo: il rifiuto di collaborare con la giustizia.
Parlare, scrivere, discettare si ergastolo ostativo in modo generico, strumentale e fazioso appare quindi inutile sotto il profilo del diritto e indifferente sotto il profilo sociologico.
È un dato di fatto: il condannato all’ergastolo che rifiuta di collaborare con la giustifica non otterrà mai alcun beneficio e per lui davvero la pena è perpetua.
Ne consegue che se una battaglia deve essere condotta è per la cancellazione della pena dell’ergastolo, anche se i tempi della politica nazionale sembrano impegnati in altro.

 

  

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