C’è stata un’epoca in cui i cittadini di Lampedusa, disperati, elessero un vicesindaco della Lega Nord, che provocatoriamente propose l’annessione dell’isoletta alla provincia di Bergamo. Questa testata vuole portare la provocazione ad un livello di efficacia maggiore: proponiamo l’annessione direttamente al Land della Bassa Sassonia, che ha la giurisdizione sulle isole Frisone orientali.

Non ci spinge la reminiscenza storica del percorso che in due secoli portò dal Mar del Nord alla Sicilia i normanni, né la propensione dell’indipendentismo siciliano a cercare sempre qualche bandiera in cui far figurare l’intera Trinacria come cinquantunesima stella. È piuttosto uno stremato pragmatismo, quello che ci induce a credere che sotto la bandiera nero-rosso-oro la sorte degli sfortunati lampedusani potrebbe mutare in meglio; se non altro perché peggio di così, per loro, non potrebbe andare.

Sono almeno due decenni che i flussi migratori della globalizzazione si sono andati indirizzando verso le tre penisole della riva mediterranea dell’Europa. Quella più occidentale, l’iberica, nonostante sia la più vicina all’Africa, ha fatto dello stretto di Gibilterra un varco assai difficoltoso: c’è chi sostiene che sia grazie al controllo ipertecnologico dei mezzi satellitari di cui si vale l’odiata base britannica; c’è chi – più praticamente – punta il dito sui possedimenti spagnoli in terra marocchina, le enclaves di Ceuta e Melilla, ridotte a vere e propri ghetti concentrazionari, per tutti coloro che cercano la ventura dall’Africa occidentale verso l’Europa. Come che sia, tra Aznar, Zapatero e Rajoy, sul punto, non si sono registrate dissonanze e, quel che è più importante, nessuna scomunica, in nome dei diritti umani,  è mai venuta dalle sedi europee a Madrid.

Poi ci sono le penisole italica e balcanica: può apparire strano, ma il voto con cui il 23 ottobre 2013 il Parlamento europeo si è occupato della disastrosa situazione lampedusana è solo il secondo atto di un’assemblea rappresentativa sovranazionale sul punto. Il 24 gennaio 2013, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa aveva già adottato la risoluzione n. 1918 per misure urgenti e collettive volte ad allentare la pressione nei Paesi di frontiera nel Mediterraneo, indicando segnatamente la situazione della Grecia. Anche qui, le illazioni si potrebbero sprecare: l’allarme xenofobo destato dal consenso di Alba dorata potrebbe aver giocato un ruolo, nell’attenzione che le sedi europee hanno scelto di dedicare prioritariamente alla rotta migratoria egea; ma a noi non dispiace credere che una certa attenzione “preferenziale” tedesca per la Grecia – che rimonta alla corona ottenuta nel 1931 dal bavarese Ottone di Wittelsbach, ma che potrebbe proseguire per via carsica nei secoli, fino a riemergere con il salvataggio delle dissestate casse nazionali, dopo l’improvvido abbandono della dracma – abbia avuto il suo peso anche in questo “occhio di riguardo”.

Infine, ci siamo arrivati anche noi: dopo le recenti, orribili tragedie del mare, il parlamento europeo ha approvato una risoluzione a larghissima maggioranza, sottolineando che “Lampedusa deve rappresentare un punto di svolta per l’Europa” e “l’unico modo per evitare un’altra tragedia è di adottare un approccio coordinato, basato sulla solidarietà e sulla responsabilità, coadiuvato da strumenti comuni” e coinvolgendo i Paesi terzi nel rispetto del diritto internazionale per salvare vite in mare. Certo, la “guerra per procura” – dei nostri partiti in trasferta a Bruxelles – non si è fatta mancare il solito stucchevole siparietto: tra il centro-sinistra che ha sottolineato i danni della legge Bossi-Fini in termini di ostacolo ai soccorsi, ed il centro-destra che s’è eretto a difensore di quella che, a loro dire, sarebbe una legge di fattura quasi pari al Codex di Giustiniano.

Tra le parti più “operative” della risoluzione europea, c’è invece quella di potenziare il Frontex (Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea) e di sostenere la proposta della commissione UE di “istituire una task force” sui flussi nel Mediterraneo, che costituisca “un primo passo verso un approccio più ambizioso”, valutando la creazione di un corpo di guardia costiera europeo. A dire il vero, quella del rinnovo del mandato di Frontex, disposto solo fino a fine anno, era già stata indicata come una delle criticità dell’attuale (assenza di) approccio europeo al fenomeno migratorio: lo si legge nella mozione n. 1-00155, presentata nel Senato italiano il 8 ottobre 2013 (a firme Buemi, Nencini, Longo Fausto Guilherme, Panizza, Fravezzi, Laniece, Lo Giudice, Casson, Ginetti, Filippin, Cirinnà, Capacchione, Palermo, Mastrangeli, Esposito Stefano), secondo cui “solo dal 1° ottobre 2013 il programma Eurosur prevede uno scambio costante di informazioni ed un coordinamento delle capacità di reazione alle crisi umanitarie con i Paesi membri rivieraschi del Mediterraneo, che nell’ufficio operativo di Frontex finora trovano soltanto un ennesimo passaggio burocratico da esperire, a fronte della sostanziale solitudine in cui vengono lasciati quanto si verificano le crisi migratorie con flussi incontrollati attraverso le frontiere marittime“.

Alcune delle proposte avanzate dai senatori italiani riecheggiano nella successiva risoluzione del Parlamento europeo, la quale ad esempio invita ad “adottare un approccio coordinato, basato sulla solidarietà e sulla responsabilità, coadiuvato da strumenti comuni”, evidenziando che la ricollocazione dei richiedenti asilo “è una delle forme più concrete di solidarietà” e che va attuata mediante “la creazione di un meccanismo fondato su criteri oggettivi” per ridurre la pressione sugli Stati membri che “accolgono un numero più elevato, in termini assoluti o relativi, di richiedenti asilo”. Ma già le posizioni che si affacciano, a livello di esecutivi, sono singolarmente riduttive: il Consiglio europeo sarebbe intenzionato a dilazionare risposte serie a dopo lo svolgimento delle elezioni europee del giugno 2014.

A fronte di questo prevedibile rischio dilatorio, la mozione n. 1-00155 dei senatori italiani si chiudeva con una proposta veramente dirompente: «annunciare che, in assenza di una seria risposta europea entro la fine dell’anno, la situazioni che nella normativa vigente legittimano il trattenimento dei rifugiati nei CIE (centri di identificazione ed espulsione) sarebbero drasticamente ridotte, in via unilaterale, dal Governo italiano, che non può più sostenere il peso di “fare barriera” da solo ad un flusso migratorio eccezionale. La logica punitiva con cui i Governi del passato hanno guadagnato la benevolenza dei partner europei non può più celare l’inconfutabile realtà secondo cui le attività di contrasto dell’immigrazione clandestina in Italia non sono conformi alle norme internazionali consuetudinarie e pattizie, alle norme europee e alle disposizioni costituzionali del nostro Paese».

Rispetto a questa proposta – che equivale a dire “apriamo le frontiere e ve li troverete tutti da voi” – non è molto più dimessa, quasi minimalista, la nostra? Il festone isolano delle Frisone disegna un cerchio immaginario intorno al Continente e riprende il suo corso nel Mediterraneo, includendo Lampedusa nella Repubblica federale tedesca. Siamo certi che il Cancelliere tedesco saprebbe mettere in campo quel sovrappiù di organizzazione che all’inventiva nazionale, purtroppo, difetta.

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