Se da un lato l’approvazione della manovra ha portato una ventata di sollievo in ambito internazionale, raccogliendo il parere favorevole della BCE, dall’altro resta da valutare quali saranno gli effetti dei provvedimenti sull’economia reale, sempre più in sofferenza come sottolineano i dati delle maggiori istituzioni finanziarie internazionali

La manovra, come sappiamo, è stata approvata mercoledì sera al Senato con voto di fiducia (165 favorevoli, 141 contrari e 3 astenuti) ed è attualmente alla Camera, per essere approvata definitivamente tra mercoledì e giovedì della prossima settimana. Non è certo un provvedimento indolore per le tasche degli italiani: su un totale di 54 miliardi nel 2013, il 65% (circa 36 miliardi) figura come “maggiori entrate”, determinando un aumento certo della pressione fiscale.
Sotto questo aspetto, gli interventi maggiori riguardano l’aumento di un punto sull’IVA (4,2 mld), le accise su benzina e tabacchi (3,5 mld), l’imposta sul deposito dei titoli (3,8 mld), il ticket sanitario (3,2mld).
Restano poi le incognite sia sui tagli alle agevolazioni fiscali (12 mld), di cui non si conoscono ancora i contenuti, sia sulle norme antievasione (1,2 mld), tra pubblicazione online dei redditi e carcere per i grandi evasori.
Rimane il contributo di solidarietà del 3%, solamente per i redditi oltre i 300.000 euro, che secondo la stima del Tesoro riguarda solamente 34.000 contribuenti: da questa norma arriveranno solamente 100 milioni di euro.
Le vittime sacrificali, anche questa volta, sono le classi medie e meno abbienti, che vedranno aumentare i prezzi di numerosi beni di consumo, mentre i parlamentari si salvano ancora in calcio d’angolo, riducendo in extremis i tagli per chi fa il doppio lavoro.
A nulla, infatti, è servita l’indignazione generale verso i costi della politica, tra indennizzi, esenzioni, super pensioni, sconti e quant’altro.
Sul fronte della spesa, anche in questo caso i tagli colpiscono sempre le stesse categorie. Gli enti locali perdono ulteriori 9 miliardi in trasferimenti, mentre i ministeri ne perdono altri 6, in aggiunta a quanto già deciso con i precedenti provvedimenti.
Si cerca poi di risparmiare sulle pensioni, attraverso due provvedimenti: spostamento dell’età pensionabile per le donne nel settore privato al 65 anni dal 2014 e taglio del 5% per le pensioni pubbliche sopra i 90.000 euro.
Oltre la manovra, giovedì 8 settembre, il consiglio dei ministri ha approvato altre due misure importanti, stavolta riguardanti l’assetto costituzionale.
Si tratta dell’abolizione delle province, che dovrebbero essere assorbite dalle regioni, e della norma relativa al pareggio di bilancio a partire dal 2014, secondo cui il ricorso all’indebitamento non dovrebbe essere consentito “se non nelle fasi avverse del ciclo economico nei limiti degli effetti da esso determinati, o per uno stato di necessità che non può essere sostenuto con le ordinarie decisioni di bilancio”.
La norma, dunque, dovrebbe rappresentare un deterrente contro l’indebitamento del settore pubblico, ma presenta anche una serie di effetti potenzialmente negativi.
Il debito, infatti, non rappresenta di per sé una minaccia: lo diventa in caso di livelli troppo elevati o di crescita repentina.
Nel caso di una forte recessione, è importante aumentare la spesa per mantenere i livelli occupazionali e per sostenere il reddito delle famiglie, al fine di favorire una ripresa più rapida. Se la norma dovesse essere approvata, dunque, i cosiddetti “stabilizzatori sociali” potrebbero essere attivati solamente con voto parlamentare, diventando così merce di scambio per ottenere altro.  
Non è ancora chiaro se questi provvedimenti ci permetteranno di recuperare la credibilità perduta sui mercati finanziari, ma di certo non saranno di stimolo per l’economia.
Aumentare le tasse in un momento di forte stagnazione non può portare che ad un ulteriore calo dei consumi. Come era prevedibile, poi, la manovra non è stata accompagnata da alcuna riforma strutturale: non possiamo considerare tale, infatti, la norma in materia di contrattazione aziendale, che prevede la possibilità di derogare al contratto collettivo con l’approvazione dei sindacati.
D’altra parte l’Europa sembra aver già dimenticato le critiche di questi giorni sulla mancanza di misure per la crescita, ritenendo forse più importante un’iniezione di fiducia nei mercati.
Ieri, infatti, al termine del consiglio direttivo della BCE il governatore Trichet ha espresso parere favorevole nei confronti delle misure adottate dal nostro paese, definendole “confortanti” e sostenendo che “si sta attuando quanto detto e questa è una conferma importante”.
Le parole del governatore sono cariche di significato, in quanto attestano la volontà dell’Europa di non staccare la spina: con tutta probabilità la BCE continuerà ad acquistare i nostri titoli del debito, decisione che dovrebbe portare ad un abbassamento dello spread.
Non a caso usiamo il condizionale: incertezza è la parola d’ordine, poiché nessuno può affermare che le misure adottate siano sufficienti a scongiurare il pericolo di una crisi definitiva, capace di disintegrare l’area Euro in tempi più rapidi di quanto si pensi. L’unica certezza, invece, è data dal sacrificio degli italiani, che pagheranno il conto anche stavolta, incrociando le dita dietro la schiena.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *