La Cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sulla legge elettorale, dando seguito alla possibilità alla quale si faceva riferimento – nell’edizione 12 aprile 2013 di questa Rivista – sotto il titolo “Elezioni (ed eletti) sub iudice“. I ricorrenti, tra l’altro, invocavano l’eguaglianza del voto che la persona è chiamata ad esprimere nell’elezione di organi politici, come riflesso dell’eguale dignità di tutti i cittadini e rappresenta una particolare applicazione del principio fondamentale di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.; la sua ricaduta permea anche il criterio della rappresentatività della popolazione, quale derivazione del più alto principio democratico.

Il parametro costituzionale sarebbe violato dalle disposizioni – introdotte con la legge n. 270/2005 – che prevedono l’attribuzione di un premio di maggioranza fino al raggiungimento di 340 seggi della Camera dei deputati (e quelle del Senato che prevedono, mutatis mutandis, il premio regionale del 55%, oggetto della coeva sentenza n. 16/2008), con consequenziale compressione dei seggi cui avrebbero diritto le altre liste, senza che tale premio sia subordinato al superamento di una soglia minima di consistenza dei suffragi conseguiti dalla lista beneficiaria.
Si tratta di normativa che è destinata a alterare profondamente i risultati del voto che esce dalle urne. Occorre evidenziare che il precedente specifico di questa normativa, introdotta con la legge n. 270/2005, si rinviene nella lontanissima legge 18 novembre 1923, n. 2444 (cosiddetta “legge Acerbo”), con la quale venne totalmente modificato il Testo Unico 2 settembre 1919, n. 1495 (T.U. della legge elettorale politica)[1]: precedente viziato da evidente incompatibilità con l’attuale ordinamento democratico. Al contrario, la legge n. 148 del 1953 non incontrava alcuna di tali obiezioni di legittimità costituzionale (al di là dell’opposizione di merito che scatenò, e che le meritarono l’appellativo di “legge truffa”) proprio perché tale soglia conteneva: essa introdusse un premio di maggioranza consistente nell’assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti validi.
Va inoltre ricordato che la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 15 del 2008, pur consapevole di non potere dare in sede di ammissibilità referendaria un giudizio anticipato di incostituzionalità delle norme in questione, rilevò che “l’impossibilità di dare, in questa sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime tuttavia questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi”. Si tratta di argomenti che i ricorrenti avevano ulteriormente sviluppato in rapporto alla legge elettorale per il Senato, il cui premio di maggioranza non solo pone “dubbi di legittimità costituzionale per la mancanza di una soglia minima di voti e/o seggi”, ma appresta anche “un meccanismo irrazionale che di fatto contraddice lo scopo che vuole perseguire”, ovvero assicurare la governabilità: la Cassazione sposa anche questo argomento, ritenendo che il premio di maggioranza – diverso per ogni regione – porta a una sommatoria casuale dei premi regionali che finiscono per elidersi tra loro e possono addirittura rovesciare il risultato ottenuto dalle liste e coalizioni su base nazionale.
Non che la governabilità non rientri negli interessi costituzionalmente protetti, il cui bilanciamento è ammesso e rimesso, in via ordinaria, alla discrezionalità lata del legislatore (v. C.Cost., sentenza 26 marzo-4 aprile 1996, n. 107), e di un legislatore che deve essere quello nazionale (v. Corte europea dei diritti dell’uomo, decisione 13 marzo 2012, di inammissibilità nel caso Saccomanno). Gli è che la normativa denunciata è tacciata ora di illegittimità costituzionale perché consente che le maggioranze non siano genuina espressione del voto espresso dal corpo elettorale, ma che si formino in base all’attribuzione di un premio secondo un meccanismo che l’assenza di una soglia minima di suffragi rende arbitrario, irrazionale e casuale. Si tratta di rilievi che riecheggiano anche nelle parole che il Capo dello Stato ha pronunciato il 22 aprile 2013 dinanzi al Collegio elettorale che lo ha rieletto per il secondo mandato[2].
Alto appare il rischio che – senza che il Parlamento approfitti dell’occasione per modificare la legge elettorale – si addivenga ad una sentenza additiva della Corte, magari fissando una soglia dove il Legislatore non è stato in grado di fissarla[3]: anche se l’efficacia sanante della soglia minima, nei confronti della possibile incostituzionalità della legge, non va sopravvalutata, poiché coglierebbe solo uno dei molteplici aspetti sollevati dall’ordinanza di rimessione. Ven’è sicuramente un altro, assai più di sistema, che ricalca argomenti sollevati da tempo in dottrina[4]: quello secondo cui un meccanismo premiale del genere provoca una alterazione degli equilibri istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria del premio è in grado di eleggere gli organi di garanzia che, tra l’altro, restano in carica per un tempo più lungo della legislatura. La stessa sottrazione all’elettore della facoltà di scegliere l’eletto, con un voto che “è invece spersonalizzato“, è declinata in funzione del “bilanciamento ragionevole e costituzionalmente accettabile tra i diversi valori in gioco”: quando si invoca il parametro dell’articolo 67 della Costituzione, sul divieto di mandato imperativo, è giocoforza concludere che certe letture del “mutamento implicito della forma di governo”[5] non convincano né poco, né punto la Corte di cassazione.
Su quanto siano argomenti persuasivi per il Giudice delle leggi, lo scopriremo alla prossima puntata.



 

[1] Gli articoli dal 40 in poi vennero completamente sostituiti (“Il numero dei deputati per tutto il regno è di 535. Tutto il regno forma un collegio unico nazionale, ……”), e con l’inserimento dell’art. 84/bis venne disposto, al secondo comma, che “(omissis) …. l’ufficio centrale nazionale: “1° procede alla somma. di tutti i voti ottenuti dalle singole liste in tutto il regno; “2° verificata quale sia la lista che abbia raggiunto il venticinque per cento dei voti validi ed abbia ottenuto il maggior numero di voti in tutto il collegio nazionale, attribuisce ad essa i due terzi del numero totale dei deputati, cioè 366, e proclama eletti, in ogni circoscrizione, tutti i candidati contenuti nella lista medesima secondo l’ordine dato dai voti di preferenza ottenuti (omissis)…”.
[2] “Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005. Ancora pochi giorni fa, il Presidente Gallo ha dovuto ricordare come sia rimasta ignorata la raccomandazione della Corte Costituzionale a rivedere in particolare la norma relativa all’attribuzione di un premio di maggioranza senza che sia raggiunta una soglia minima di voti o di seggi. La mancata revisione di quella legge ha prodotto una gara accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di quell’abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare una simile sovra-rappresentanza in Parlamento. Ed è un fatto, non certo imprevedibile, che quella legge ha provocato un risultato elettorale di difficile governabilità, e suscitato nuovamente frustrazione tra i cittadini per non aver potuto scegliere gli eletti”.
[3] Come si ricorderà, in Prima Commissione del Senato ci si baloccò per tutto l’autunno 2012 intorno ad una forchetta 42,5-37,5%, per poi addivenire ad un nulla di fatto.
[4] Riforma della Costituzione, non colpi di mano, di Rino Formica, in Critica Sociale, 12.09.2010: “Le disastrose leggi elettorali hanno stravolto la Legge delle leggi, nel punto più delicato e nel settore essenziale dell’equilibrio democratico che è costituito dai cosiddetti “quorum di garanzia”. Le leggi elettorali maggioritarie che imperversano nel nostro Paese dal ’93 ad oggi, hanno inciso neri meccanismi di garanzia democratica. e potrebbero sfregiare la Carta costituzionale in maniera irreparabile. Per ora provo ad indicare i danni più visibili. Ad esempio, l’articolo 138, posto a tutela di una Carta rigida e in pericolo perché richiede due maggioranze (una maggioranza semplice con una verifica nel referendum e una qualificata per non convocare il referendum) attraverso lo spostamento causato dalla attuale legge maggioritaria, una maggioranza relativa può divenire maggioranza assoluta e pur non rappresentando la maggioranza degli elettori potrebbe riuscire ad evitare lo sbarramento referendario per le modifiche costituzionali. Secondo esempio: da diciassette anni non occorre più la maggioranza assoluta e qualificata della rappresentanza del voto popolare per eleggere il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle Camere, i Giudici Costituzionali, i componenti del Consiglio superiore della Magistratura, e per modificare i regolamenti della Camera. Insomma non c’è più corrispondenza tra maggioranza parlamentare e maggioranza del voto popolare. E beh, questo è uno stravolgimento dell’equilibrio della Costituzione. A cascata sono prive del “quorum qualificato” le nomine di pertinenza del Presidente della Repubblica e dei Presidenti delle Camere. Non sono in corrispondenza con una maggioranza di voto popolare, anche le loro nomine non rispondono più all’esigenza della rappresentanza maggioritaria, e tali nomine riguardano i Giudici Costituzionali, i Senatori a vita, le Authority e perfino le Commissioni parlamentari di controllo (Rai, servizi di sicurezza e inchieste parlamentari). Cioè allo stato attuale abbiamo maggioranze parlamentari che non sono maggioranze di voto popolare”.
[5] Che avrebbe ricadute sia sotto il profilo della disciplina dell’elettorato passivo (V. La reviviscenza della conversione delle cause di ineleggibilità sopravvenute in cause di incompatibilità, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 2012, n. 9, p. 923, nota 13), sia sotto quello immunitario (per il quale si è cercato di far passare un surrettizio mutamento dei rapporti anche tra poteri legislativo ed esecutivo, rintuzzato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 23 del 2011): sulla permanente validità del divieto di mandato imperativo, v. Luigi Principato, Il divieto di mandato imperativo da prerogativa regia a garanzia della sovranità assembleare, Rivista A.I.C. N°: 4/2012, 23/10/2012; sulle opposte visioni in ordine alla sua esistenza, nella XVI legislatura, v. Camera dei deputati, interrogazione a risposta orale 3-02562, e Senato della Repubblica, Disegno di legge costituzionale N. 3246; sulla sua applicazione all’estero, v. CDL-AD(2009)027 Rapport sur le Mandat impératif et les pratiques similaires adopté par le Conseil des élections démocratiques lors de sa 28e réunion (Venise, 14 mars 2009) et par la Commission de Venise lors de sa 79e session plénière (Venise, 12-13 juin 2009), Commission européenne pour la démocratie par le droit (Commission de Venise), Projet d’avis sur le projet de loi “modifiant et amendant la loi relative a l’election des membres du parlement” de la republique de Serbie, 2011 e European commission for democracy through law (Venice commission), Report on democracy, limitation of mandates and incompatibility of political functions adopted by the Venice commission at its 93rd plenary session (Venice, 14-15 december 2012).

s Cassazione, depositata il 17 maggio 2013

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