Il processo di spending review portato avanti dal governo Monti ha toccato anche il mondo delle authority, organi indipendenti di vigilanza e controllo su mercati specifici, con un particolare occhio di riguardo sull’Isvap, istituto deputato alla regolazione delle imprese assicuratrici. L’idea originaria, peraltro già perorata in passato attraverso un cospicuo numero di disegni di legge, riguardava la soppressione dell’ente ed il conseguente accorpamento alla Banca d’Italia ed alla Consob, organi ritenuti idonei allo svolgimento delle medesime funzioni dell’Isvap. Con il decreto legge approvato lo scorso 7 luglio, contenente il pacchetto completo di misure per la riduzione della spesa, tale inglobamento sembra esser stato scongiurato. Il testo prevede “solamente” la fusione tra Isvap e Covip, ovvero il comitato di controllo sui fondi pensione, per un risparmio stimato di circa il 10% dei costi di gestione complessivi. Anche se, di fatto, la neonata Ivarp, figlia di questa fusione, rischia di diventare una “costola” della Banca d’Italia il cui potere di vigilanza sul nuovo organismo sembra poter assumere connotati particolarmente penetranti.

La condizione necessaria per la realizzazione di tale progetto è la trasformazione in legge del decreto, che dovrebbe avvenire entro 60 giorni (anche in questo caso però la fusione sarebbe operativa dal 4 novembre 2012): in caso contrario si potrebbe ancora tornare alla prima proposta, di certo non auspicabile in termini di efficienza e protezione, sia per i consumatori che per le imprese stesse.

La confusione in materia di autorità di vigilanza regna sovrana, soprattutto perché le funzioni svolte dalle diverse istituzioni sono spesso il frutto di “buone” pratiche ed accordi taciti, piuttosto che di un organico quadro legislativo. Questo è vero in particolare per la Banca d’Italia, istituto di diritto pubblico “atipico”: il capitale è partecipato principalmente da istituti di credito, sui quali l’ente è chiamato a vigilare, generando pericolosi rischi di manipolazione. Anche sotto il profilo direzionale, la Banca d’Italia presenta diverse criticità, per cui la dottrina tende a collocarla al di fuori della schiera delle autorità indipendenti di regolazione intese in senso stretto. Il potere di supervisione, infatti, è tutt’ora assegnato al CICR (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio), che approva formalmente le decisioni prese dai direttori e dal governatore della Banca. D’altro canto il CICR non può prendere alcun provvedimento senza una proposta proveniente dall’istituto. L’indipendenza sostanziale della Banca d’Italia è comunque garantita da due fattori: l’elevato tasso tecnico dei provvedimenti e lo stretto collegamento con il SEBC, il Sistema Europeo delle Banche Centrali, che assegna di fatto le funzioni cardine sulla base di un trattato sovranazionale.

Al di là delle differenze strutturali ed ordinamentali, un eventuale inglobamento delle funzioni dell’Isvap nella Banca d’Italia comporterebbe problemi di efficienza tutt’altro che semplici da gestire. Le attività di un istituto di credito, infatti, differiscono in maniera sostanziale rispetto a quelle di una compagnia assicurativa, comportando di conseguenza un diverso trattamento in termini di regolazione e controllo. Se da un lato è vero che le assicurazioni svolgono ormai di fatto anche attività di gestione del risparmio, assimilabili a quelle di qualunque banca sotto l’aspetto finanziario, queste devono essere ancora considerate come collaterali rispetto alle funzioni principali. Il settore bancario necessita soprattutto di norme e controlli finalizzati al raggiungimento di un certo grado di stabilità del sistema nel suo complesso: la Banca d’Italia incide dunque sul valore della riserva obbligatoria, sul rispetto del principio di trasparenza informativa e sulla valutazione del rischio. In altre parole, la Banca non entra nel merito delle scelte allocative, anche perché i tassi d’interesse sono guidati da un mercato certamente più concorrenziale rispetto a quello assicurativo. L’Isvap, d’altro canto, osserva da vicino i comportamenti delle compagnie, soggette a vincoli maggiormente restrittivi, necessari alla luce delle caratteristiche peculiari dell’attività, che incide sulla vita delle persone. I poteri sono dunque più “invasivi” e non potrebbero essere altrimenti, visto anche il profilo di obbligatorietà assicurativa (basti pensare alla RCA), per cui le compagnie possono facilmente adottare pratiche scorrette.

Allo stato attuale, un passaggio di competenze dell’Isvap alla Banca d’Italia comporterebbe una focalizzazione sull’aspetto finanziario dell’attività assicurativa, tralasciando inevitabilmente il profilo della correttezza. Le assicurazioni svolgono infatti un innegabile servizio sociale, strumentale rispetto ad alcuni diritti fondamentali del cittadino, ad esempio in tema di risarcimento del danno. La Banca d’Italia potrebbe senza dubbio vigilare sulla stabilità di una compagnia, impendendone magari il fallimento, ma difficilmente potrebbe far rispettare regole finalizzate alla “giusta” distribuzione dell’onere tra imprese ed utenti. Il medesimo problema, forse addirittura più accentuato, si pone per la Consob, che può interferire solamente sull’ aspetto borsistico e quindi per definizione speculativo.

Il cittadino perderebbe inoltre un interlocutore di riferimento, attraverso il quale è in grado di difendere i propri interessi di fronte ad eventuali pratiche scorrette da parte delle compagnie. Pur mantenendo attiva anche in Banca d’Italia la funzione del ricorso, deterrente essenziale nei confronti delle imprese assicuratrici, sarebbe estremamente complicato riprodurre quel meccanismo di concertazione caratteristico delle autorità indipendenti come l’Isvap, costruito negli anni grazie all’interazione costante tra i soggetti operanti nel mercato. La Banca d’Italia, con riferimento al sistema creditizio, non interagisce direttamente con le associazioni di consumatori, ma si relaziona esclusivamente con organi istituzionali e governativi, in quanto anello di trasmissione della legislazione nazionale.

L’idea di accentrare le funzioni di organismi differenti, in un’ottica di risparmio pubblico, non è di per sé sbagliata: inglobare i poteri dell’Isvap nella struttura della Banca d’Italia non è dunque aprioristicamente impossibile o inefficiente, ma lo diventa considerando lo stato attuale delle relative competenze. Per ottenere risultati efficaci nella gestione del mercato assicurativo, al momento ampiamente riconosciuti visto lo “stato di salute” delle compagnie in relazione al disastrato sistema bancario, sarebbe probabilmente necessaria la creazione di un dipartimento ad hoc interno alla Banca d’Italia, ad immagine e somiglianza dell’Isvap. Occorrerebbe in altre parole “esportare” l’intero modello, attraverso la predisposizione di nuove normative, l’adozione di pratiche differenti, la formazione del personale. Tutto questo ha un costo certamente non trascurabile, che supera potenzialmente il risparmio generato dalla soppressione di un ente “utile” sotto l’aspetto funzionale, in termini di equità e trasparenza, ed “in utile” sotto quello economico, grazie al potere sanzionatorio attribuitogli dal legislatore. Di conseguenza, se l’obiettivo della spending review è tagliare senza compromettere la qualità dei servizi offerti, il superamento della prospettiva di accorpamento appare dunque inevitabile.

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