La necropoli punica più vasta del Mediterraneo ora è blindata. L’obiettivo finale per Tuvixeddu-Tuvumannu è la nascita di un grande parco paesaggistico-archeologico fruibile dai cittadini. Un traguardo che non sembra più un sogno lontano ma una prefigurabile realtà grazie all’ultima sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Sardegna che potrebbe aver messo, una volta per tutte, la parola fine sulla guerra del mattone che da anni si combatte a colpi di carte bollate e sentenze nei tribunali di Cagliari.

Una battaglia senza esclusione di colpi che vede da una parte la Nuova Iniziative Coimpresa s.rl, il gruppo dell’imprenditore cagliaritano Gaultiero Cualbu, dall’altra Regione, Soprintendenza ai beni paesaggistici e Italia Nostra, che hanno tentato in ogni modo di bloccare la colata di cemento sul colle che domina il capoluogo isolano. Un progetto che prevede la realizzazione di oltre 270 mila metri cubi di volumetrie distribuiti tra edifici e ville, che Coimpresa ha già avviato con la realizzazione di tre nuove palazzine. Il Tar ha respinto l’istanza dei costruttori e accolto quella di Regione Sardegna, Ministero per i Beni e le attività culturali, Soprintendenza per i Beni architettonici paesaggistici, storici artistici etnoantropologici per le Province di Cagliari e Oristano, nonché del Comune di Cagliari e di Italia Nostra, che avevano negato il via libera all’autorizzazione paesaggistica necessaria per portare a termine diverse opere di urbanizzazione primaria.

 

La città fenicia di Krly
Il nucleo paesaggistico-culturale è costituito dalla più grande necropoli con tombe a camera di epoca punica nota al mondo e connessa alla città fenicia di Krly, estesa sulle rive della laguna di Santa Gilla. Sul colle è presente, inoltre, una necropoli romana monumentale, con tombe a camera, un importante sistema insediativo rupestre di età altomedievale e un articolato sistema minerario, attivo dall’epoca antica fino al 1970. Sull’area dei colli di Tuvixeddu-Tuvumannu insistono importanti reperti archeologici di epoca fenicio-punica, nonché rilevanti emergenze di carattere minerario, che hanno reso necessari numerosi provvedimenti di tutela. L’area è attualmente tutelata dal vincolo archeologico del 1996, dal vincolo paesaggistico del 1997, dal Piano paesaggistico regionale del 2006 e dal riconoscimento di bene culturale come attestazione dell’attività mineraria ed è inserita nel Piano Paesaggistico Regionale in applicazione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che ha introdotto il concetto del bene paesaggistico come unità contestuale.
Sotto il profilo paesaggistico intervenne un vincolo già nel 1997, su un’area di circa 120 ettari. Sotto il profilo archeologico, il decreto 2 dicembre 1996 del ministero per i Beni culturali e ambientali sottopose a vincolo una porzione dell’area oggetto del vincolo paesaggistico, per una superficie di oltre 20 ettari. Più di recente ci sono stati altri tre interventi di tutela, due dei quali tuttora in vigore.

I vincoli e la logica del mattone
Un vincolo di inedificabilità assoluta era stato introdotto dai decreti 9 agosto 2006, n. 2323 e 12 ottobre 2006, n. 2836, dell’assessore regionale alla Pubblica istruzione dalla Regione Sardegna, che avevano dichiarato di “notevole interesse pubblico”, vincolo che in seguito a una serie di ricorsi non è ora più in vigore. Ma persiste un vincolo/misura di salvaguardia previsto dal vigente Piano paesaggistico regionale, quello che porta la firma dell’ex governatore Renato Soru, (approvato con delibera della Giunta regionale del 5 settembre 2006, n. 36/7), che interessa una zona sostanzialmente coincidente con quella di circa 120 ettari già sottoposta a vincolo paesaggistico nel 1997 e la inquadra fra le “aree caratterizzate da preesistenze con valenza storico culturale”; tale previsione pianificatoria fu inizialmente annullata con sentenza del Tar nel 2007, poi riformata dal Consiglio di Stato nel 2011, per cui tale regime di tutela è tuttora valido ed efficace. Infine una porzione di circa 12 ettari è assoggettata a vincolo “culturale storico-artistico” per effetto di un decreto del direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna emesso nel 2010; tale decreto era stato impugnato davanti al Tribunale amministrativo regionale, ma il relativo ricorso è stato respinto con sentenza del Tar del 2012, per cui anche questa previsione vincolistica è tuttora valida ed efficace. Nonostante questo articolato sistema di protezione, l’area di Tuvixeddu è da diversi decenni oggetto di una complessa iniziativa edificatoria pubblico-privata, volta al suo recupero ed alla contestuale realizzazione di insediamenti abitativi. Proprio su iniziativa di Coimpresa e su impulso di un Piano integrato d’Area denominato “PIA CA17 Sistema dei Colli”, volto alla creazione di un parco archeologico, già negli anni ’90 del secolo scorso fu predisposto un complessivo “Progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei Colli di S. Avendrace”.

L’accordo (del cemento) annullato
I magistrati amministrativi capeggiati da Antonio Plaisant nella sentenza numero 33 del 2013 hanno ritessuto i fili di tutte le motivazioni che rendono necessaria la tutela del colle e hanno ribadito, replicando la sentenza del Consiglio di Stato del 2011, che il vincolo di inedificabilità su cinquanta ettari, sancito dal Piano paesaggistico del 2006 che porta la firma dell’ex governatore Renato Soru e della sua giunta, è ancora valido. L’impresa ribadiva che il vincolo non annullasse un accordo di programma sottoscritto nel 2000 con amministrazione comunale allora in carica, la giunta di centrodestra di Mariano Delogu, intesa che consentiva di costruire case e palazzine proprio accanto alla necropoli di Tuvixeddu. Le opere oggetto dell’ultima recente disputa fanno parte del “progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei colli di Sant’Avendrace” e comprendono la realizzazione di strade, della viabilità interna al parco di Tuvumannu e ai palazzi già edificati, la zona parcheggi e il posizionamento degli impianti tecnologici. Secondo Soprintendenza e Regione i lavori trasformerebbero “radicalmente l’immagine dell’area, introducendo un elemento di irreversibile degrado, tale da compromettere la qualità dei luoghi e di impedirne la riqualificazione, peraltro prevista e disposta dal vigente Ppr”. I giudici amministrativi hanno accolto queste motivazioni affermando che si tratta di interventi di “notevole rilievo, per cui l’effetto finale della perimetrazione non può che essere quello di una preclusione assoluta alla loro realizzazione”. I 50 ettari interessati dai lavori rientrano nel vincolo paesaggistico di 120 ettari sul quale ha messo il sigillo il Consiglio di Stato l’anno scorso. L’ultima sentenza del Tar dovrebbe chiudere definitivamente la questione. I costruttori possono ancora presentare ricorso al Consiglio di Stato, ma è piuttosto difficile che il tribunale si butti la zappa sui piedi e smentisca una propria precedente decisione.
L’ultimo passaggio per la tutela e la salvaguardia del colle sarebbe l’adeguamento del Puc, Piano urbanistico comunale, alle prescrizione del Ppr targato Soru. Una decisione che per la giunta del sindaco di Sel Massimo Zedda sembra ormai una scelta obbligata. Così la necropoli potrebbe essere una volta per tutte restituita alla città e sottratta al degrado e all’abbandono cui è sottoposta da anni.

In allegato il testo della sentenza del Tar numero 33/2013

Sentenza Tar Sardegna 33 del 2013

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