14 NOVEMBRE 2008 – Peculato, falso ideologico e falso materiale: con queste accuse il governatore della Campania Antonio Bassolino si avvia ad affrontare un nuovo giudizio legato alla gestione dei rifiuti e del commissariato straordinario per l’emergenza.

I carabinieri del comando provinciale di Napoli hanno notificato al presidente della giunta regionale e ad altri quattro ex funzionari del commissariato di governo un avviso di chiusura delle indagini per ordine del pm Giancarlo Novelli.
Un provvedimento che precede la richiesta di rinvio a giudizio e che dà alla difesa la possibilità di presentare memorie e chiedere eventuali ulteriori indagini prima dell’udienza preliminare.
Oltre Bassolino, in qualità di ex commissario di governo per l’emergenza rifiuti, gli altri destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari sono Raffaele Vanoli, ex vice commissario vicario per l’emergenza rifiuti, Giulio Facchi, ex subcommissario, Enrico Soprano, avvocato ed ex consulente esterno della struttura commissariale, e Michele Carta Mantiglia, collaboratore degli uffici di governo.
Al centro dell’inchiesta le consulenze esterne affidate dal commissariato per l’emergenza e, in particolare, i compensi liquidati.
Secondo le conclusioni del pm, il danno erariale complessivo ammonterebbe a circa 300.000 euro.
I fatti contestati vanno dal giugno al settembre del 2001 per quanto riguarda Bassolino, Vanoli e Soprano e dal giugno 2002 al luglio 2003 per lo stesso Vanoli, Facchi e Mantiglia.
Gli inquirenti si soffermano, in particolare, sul rapporto di consulenza tra il commissariato straordinario di governo e l’avvocato Soprano. “Le irregolarità – scrive il pm – attengono soprattutto al dissennato ricorso all’affidamento degli incarichi esterni di consulenza affidati al professionista, anche per questioni che difficilmente possono configurarsi di particolare complessità e importanza”.
In generale il ricorso ai consulenti esterni, secondo l’accusa, è “ingiustificato in considerazione del fatto che la struttura commissariale era dotata di un ufficio legale” composto da professionisti “regolarmente assunti”.
Nonostante la lettera di incarico consegnata all’avvocato Soprano facesse riferimento a compensi calcolati sulla base delle tariffe professionali, secondo il pm invece “veniva sistematicamente riconosciuto un onorario di gran lunga superiore”.
Alla liquidazione di questi compensi si “lega” l’accusa di peculato per Bassolino e Vanoli: avrebbero firmato i decreti di liquidazione per le consulenze. A questo proposito, sottolinea il pubblico ministero, il governatore-commissario straordinario e il suo vice, “chiamati ad esibire la documentazione in base alla quale hanno disposto il pagamento delle somme, non sono stati in grado di produrre gli elaborati prodotti da Soprano ed in base ai quali avrebbero disposto il pagamento”. Insomma l’avvocato ha lavorato molto e per questo è stato pagato ma gli investigatori non sono riusciti a sapere cosa ha fatto.
Inoltre viene contestata “una dispendiosa duplicazione degli incarichi” con il pagamento di due onorari, sempre all’avvocato Soprano, dell’importo di 154 milioni di lire ciascuno per l’assistenza legale prestata in occasione della preparazione di due contratti “praticamente identici nella forma e nella sostanza”, che riguardavano attività del commissariato.
Per giunta, anche in questo caso, si tratta di contratti citati nei decreti di pagamento dei compensi professionali, ma che non sono stati trovati negli uffici della struttura commissariale.
Infine a Bassolino viene contestato il falso ideologico e materiale per avere attestato in due decreti di pagamento (il 396 dell’8 giugno 2001 per un importo di 62.582 euro e il 627 del 21 settembre successivo per un importo di 87.653 euro) che le consulenze professionali dell’avvocato Soprano erano retribuite in modo conforme alle tariffe professionali e che i pareri richiesti erano stati tutti resi mentre in quattro casi (quelli riportati dalle fatture 167, 168 e 169 del 5 giugno 2001 e 212 del 18 giugno) di questi documenti non è stata trovata traccia.
L’inchiesta chiusa oggi dalla Procura di Napoli è la seconda sulla gestione dell’emergenza rifiuti che coinvolge il governatore della Campania. La prima già ha portato Bassolino a giudizio, insieme con altri 27 imputati tra i quali i vertici dell’Impregilo, concessionaria dell’appalto per la costruzione dei termovalorizzatori. Il processo è in corso e riguarda la gestione del ciclo di smaltimento dei rifiuti, da parte del commissariato straordinario per l’emergenza, nel periodo compreso tra il 2000 e il 2004. Le accuse vanno, a seconda delle singole posizioni processuali, dalla truffa alla frode in pubbliche forniture, falso e abuso d’ufficio.
Una terza indagine sui rifiuti, che non coinvolge Bassolino, è quella che portò, nei mesi scorsi, agli arresti domiciliari 25 persone per irregolarità nell’attività di lavorazione e trattamento dei rifiuti e di fabbricazione delle cosiddette “ecoballe” (per questo l’indagine è stata denominata “Operazione Rompiballe”). Per questo filone d’inchiesta, che ha coinvolto anche il prefetto di Napoli Alessandro Pansa la cui posizione è stata però stralciata e sarà valutata dal procuratore della Repubblica Giovandomenico Lepore, è attualmente in corso l’udienza preliminare che dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio.
Intanto i nodi dei rifiuti si moltiplicano e sono diversi quelli che… arrivano al pettine. Parallelamente ai giudizi o alle indagini penali, anche la Corte dei Conti si sta occupando di… spazzatura. E la procura regionale della magistratura contabile ha presentato il conto alla sindaca Rosetta Russo Jervolino, a Riccardo Marone, ex vicesindaco della “prima èra” Bassolino e sindaco di transizione egli stesso, e ad Antonio Bassolino da Afragola. I tre dovrebbero – il condizionale, come si dice, è d’obbligo – risarcire alle casse pubbliche quattro milioni e 225.827 euro. Secondo i giudici contabili è l’ammontare del danno erariale provocato dalla gestione “impropria” (per usare un eufemismo) del consorzio di bacino Napoli 5. Il consorzio di bacino è quell’ente che, con l’obiettivo di razionalizzare risorse umane e finanziarie per affrontare la perenne emergenza, aveva assunto 362 dipendenti per la raccolta differenziata pagandoli per anni ma senza farli lavorare.
Gli accertamenti della procura contabile sono ancora in fase istruttoria, ma è stato già quantificato il danno erariale di cui, secondo gli inquirenti, sarebbero responsabili gli ultimi tre sindaci di Napoli. Il danno, precisano i magistrati, si riferisce non solo all’aver pagato inutilmente gli operai del consorzio, ma anche agli oneri derivanti dal mancato avvio della differenziata. In sostanza il consorzio realizzato per fare la differenziata ha speso i soldi per non farla.

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