Proviamo ad aprire una discussione sull’articolo 3 del provvedimento che intende riformare le professioni: è vero che le nuove disposizioni saranno a favore dei giovani? Rilanceranno veramente l’economia italiana? Ma soprattutto, quanto è percorribile il binomio professione intellettuale-attività economica? Cosa andrebbe cambiato del testo?

Le norme hanno scatenato polemiche sia a destra che a sinistra e ogni giorno si parla di modifiche e aggiustamenti (il testo, completo di relazione illustrativa e tecnica è leggibile in allegato).
Il decreto però non ha solo sconvolto economisti, enti locali, sindacalisti e politici di ogni schieramento, ma anche i professionisti, dal momento che il Governo è tornato alla ribalta con le liberalizzazioni delle professioni.
In un primo momento, infatti, sembrava dovesse passare un testo ultraliberista che, come già successo per il decreto di luglio, intendeva cancellare completamente gli ordini, poi però, nel passaggio dalle intenzioni ai fatti, c’è stata l’ennesima marcia indietro e il testo pubblicato in Gazzetta all’articolo 3 prevede semplicemente «Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche».
Italiano a parte, che già in molti altri passi mostra qualche problema (ad esempio, cosa potrà significare che «le disposizioni relative all’introduzione di restrizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche devono essere oggetto di interpretazione restrittiva») che saranno solo frutto del caldo ferragostano, il provvedimento innanzitutto accosta le professioni intellettuali all’attività economica.
Nella relazione tecnica e nella relazione illustrativa si parla di disposizioni volte ad «introdurre principi di liberalizzazione e apertura alla concorrenza nell’ambito degli ordinamenti professionali» e di «disposizioni che regolano l’accesso alle attività economiche basandosi sul principio di libertà di impresa». In particolare, dice la relazione tecnica «si prevede che l’esercizio di un’attività economica avvenga senza limitazioni legate al vincolo della popolazione o altri criteri di fabbisogno, ovvero connesse alle distanze minime tra le localizzazioni delle sedi di esercizio».
Ergo, le professioni sono strettamente collegate con le attività economiche. Un binomio che agli avvocati non è mai andato giù, ed è per questo che parlamentari-avvocati come Giuseppe Valentino hanno già promesso modifiche ed emendamenti volti a distinguere la disciplina delle professioni dall’esercizio delle attività economiche.
Comunque sia, prima di passare all’analisi del comma 5 dell’articolo 3 del decreto, la prima domanda che viene spontanea è: perché affidare la riforma delle professioni (tutte le professioni salvo qualche eccezione, nonostante le enormi differenze) ad un comma di un articolo di un decreto legge, dopo aver avuto a disposizione otto anni di legislazione (2001-2006 con maggioranze bulgare e 2008-2011 con maggioranze sempre ampie)?
Perché stringere in poche pagine di decretazione d’urgenza principi che vanno a contrastare con la riforma della professione forense all’esame della Camera e già approvata in prima lettura al Senato?
veniamo alle disposizioni: il comma 5 dell’articolo 3 del Dl 138/2011 stabilisce la riforma delle professioni pur richiamando i vincoli costituzionali, il che significa che i testi degli ordinamenti saranno tutti da scrivere (ulteriore domanda: perché allora la decretazione d’urgenza?).

Comunque sia il testo prevede che l’accesso alla professione sia libero, che il professionista segua una giusta e adeguata formazione, che il tirocinio sia effettivo e soprattutto retribuito, che sia stipulata un’assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività, che siano previsti organi territoriali diversi da quelli amministrativi, per le questioni disciplinari, che la pubblicità informativa sia libera. Infine il comma 6 che recita testualmente: «Fermo quanto previsto dal comma 5 per le professioni, l’accesso alle attività economiche e il loro esercizio si basano sul principio di libertà di impresa». Ancora una volta, dunque, attività professionali ed economiche in una unica concezione.

Alcune osservazioni sui punti: nonostante le affermazioni di esecutivo, confindustria ed altri («finalmente il tirocinio retribuito»), le norme rischiano di non essere a favore dei giovani professionisti ma di privilegiare gli interessi di banche, assicurazioni e grandi gruppi industriali, i maggiori “sfruttatori” di professionisti. Immaginiamo per un attimo la vita del giovane tirocinante che dovrà svolgere il suo compito «in concomitanza al corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica» in una Università italiana.
Per quanto riguarda poi la distinzione tra le funzioni amministrative e disciplinari è già stato scritto che così come è scritta la disposizione non chiarisce la composizione e il funzionamento dei Consigli di disciplina nazionali e territoriali (da qui gli emendamenti promessi dal senatore Valentino).
Concludendo a ritroso sulle linee generali del provvedimento, spero che i professionisti che vorranno contribuire al dibattito potranno illustrare meglio di me che attualmente non è certo la concorrenza che manca ai 220 mila avvocati italiani. Al contrario si potrebbe ragionare sulle incompatibilità, sulla possibilità che avvocati pensionati possano ancora esercitare creando una forte concorrenza al giovane avvocato. Va benissimo la specializzazione e la corretta informazione per i cittadini ma inserire materie così delicate in una decretazione d’urgenza porta quasi sempre a qualche inesattezza (la fretta si sa, non è mai una buona consigliera).
Comunque sia, la prossima settimana il provvedimento verrà esaminato dalla commissione Bilancio al Senato in sede referente, contemporaneamente, in sede consultiva per il parere di rito, da altre dieci commissioni. Quindi la parola passerà all’Aula e poi a Montecitorio. Il tutto entro 60 giorni. Niente ferie quindi per i nostri parlamentari.
I passaggi da cambiare e rivedere sono molti, il tempo poco (decretazione d’urgenza), il rischio è che si crei il solito “inguacchio” all’italiana.

Ddl 2887 di conversione del decreto 138/2011

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