Agli inizi (solo qualche decennio fa), Internet veniva considerato molto poco, c’era diffidenza e scarsa conoscenza sui possibili sviluppi. Solo l’avvento di pionieri ha permesso di considerare il web come alternativa possibile ai consolidati strumenti informativi di base.

Negli anni ’90 chi scriveva su Internet lo faceva per passione, svago, divertimento. Venti anni dopo lo si fa per lavoro, professionalità, competenze.
La svolta c’è stata quando si è cominciato a capire che in Rete era possibile fare “rete”. Non più parole scollegate, sole, emarginate, ma link di pensieri, foto, video e audio. Il concetto di condivisione non è approdato subito. Arpanet (così come Facebook) era stata progettata per un utilizzo limitato, sia nel tempo che nello spazio. Solo la voglia di far conoscere la bravura e la creatività di programmatori, ha dato il via libera al popolamento del web da parte di tutti, o quasi. Il rischio era quello di sovraccaricare la rete di informazioni, seppur collegate, inesatte, imprecise, inesatte. In fondo Internet è come un piccolo paese del centro-sud italiano. Un piccolo pettegolezzo diventa una caso mondiale, degno della Corte d’appello americana.
Come si poteva qualificare le notizie che apparivano sul web? La risposta venne con il lancio dei primi portali “generalisti”, tra i quali Arianna, Iol, Virgilio. Questi siti non facevano altro che diffondere le agenzie di stampa sulle proprie vetrine, mettendo però un marchio sull’autenticità della notizia. Poi sono arrivati le trasposizioni delle testate cartacee sull’online.
Il pioniere fu il Chicago Tribune, online dal 1992; in Italia il primo a seguirlo fu L’Unione sarda nel 1994.
L’Italia ha capito fin da subito che il web poteva rappresentare un trampolino di lancio per un nuovo assetto economico. Molti media hanno puntato sul formato online, ci sono testate (come La Repubblica) che dichiarano più di 1 milione di lettori unici al giorno.
Il problema è che ancora oggi l’informazione prodotta per Internet è considerata peggiore di quella destinata alle testate tradizionali. Di certo si tratta di un’informazione a basso costo, in cui i rapporti lavorativi raggiungono forme eccessive di precarietà a svantaggio dell’indipendenza dei giornalisti, ma pur sempre di informazione si tratta, con produzione di contenuti originali e settorializzati.
Inoltre il modello di business della stampa digitale si basa molto sulla pubblicità visto che non c’è l’immediata ricerca del consenso dei lettori, a differenza delle vendite delle testate su carta. A qualificare quest’ultimo punto ci penserà, involontariamente, l’avvento dei media sociali (come Facebook) e dei famosi tasti “mi piace” che tradotti, sui siti delle testate nazionali, diventano come copie vendute in edicola in termini di diffusione della notizia e del brand.
A Maggio 2011 l’incremento del fatturato pubblicitario su Internet è del 9,5%, lo dichiara Assointernet nel suo ultimo rapporto.
In particolare, beneficia dell’incremento il settore video e mobile, comprese le web news e short video news, fruite anche in mobilità. L’enorme potenziale introdotto dalla telefonia mobile spinge infatti molte testate ad investire sull’internet via smartphone, che vuol dire notizia ubiquite, sempre e dovunque.
Il fatturato pubblicitario aumenta di pari passo al numero dell’audience del web. Si perché in fondo di questo si tratta: audience, al pari di radio, tv, cinema e stampa. L’audience online nel giorno medio, secondo Audiweb, registra un incremento del 12,8% rispetto al 2010, con 13,2 milioni di utenti attivi che hanno trascorso in media 1 ora e 17 minuti al giorno su internet, consultando 155 pagine per persona. La lotta tra le testate online è nell’accaparrarsi la fetta più ampia di quelle 155 pagine.
Se si considera che la popolazione più attiva online nel giorno medio è rappresentata dai giovani tra i 18 e i 24 anni, non stupisce che anche i siti di news più conservatori, sia in Italia che all’estero, offrano spunti e sezioni ad hoc per tale fascia di pubblico.
L’importante è la creazione di una reputazione in linea con le aspettative di chi legge. Il pubblico del web è talmente variegato che tracciarne un’etnografia, seppur sommaria, risulta complicato. Differenziarsi nella qualità è la scommessa per il futuro che, anche se non sembra, è già nelle nostre mani, tra un pc, un tablet e uno smartphone.

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