Sono 1.808 gli agglomerati urbani italiani, sparsi in tutte le regioni, che stanno facendo rischiare all’Italia una condanna per inadempimento degli impianti di depurazione delle acque reflue. Secondo l’Europa, in pratica, un impianto su 4 sarebbe irregolare. Dopo 13 anni di ritardi sull’obbligo di messa a norma dei depuratori e dei sistemi fognari (la prima scadenza era il 1998) e dopo l’avvio di più procedure di infrazione, sono arrivati gli ultimatum della commissione europea relativi, in particolare, a 143 impianti che scaricano le acque reflue in bacini considerati sensibili e a oltre 1650 che li scaricano in bacini tecnicamente definiti normali.

Sono considerati sensibili quei bacini che hanno un ecosistema già a rischio, oppure che sono destinati alla produzione di acqua potabile, alla balneazione, alla pescicoltura, molluschicoltura o alla conservazione degli uccelli selvatici. Mentre sono normali quelli che non hanno delle gravi criticità.

Le sanzioni
“Per 159 degli agglomerati incriminati – spiega Caterina Sollazzo, dirigente qualità delle acque del ministero ambiente, l’Italia è già stata citata dinnanzi alla Corte di Giustizia – siamo in attesa della pronuncia che se dovesse essere di condanna potrebbe comportare una sanzione che va da un minimo di 11.904 euro ad un massimo di 714.250 euro al giorno per ogni giorno di ritardo oltre che ad un risarcimento forfettario in base al nostro Pil che è quantificabile in 9,9 milioni di euro”. In pratica, se i nostri comuni non si adegueranno negli strettissimi tempi imposti dalle intimazioni l’Italia potrebbe essere condannata al pagamento di sanzioni che vanno da un minimo di 66milioni di euro ad un massimo di 3,4 miliardi di euro. Un colpo durissimo per il nostro paese che potrebbe risultare anche fatale vista e considerata l’attuale situazione di grave crisi economica che stiamo attraversando. I tempi imposti dalla commissione europea per la messa a norma degli impianti sono già scaduti (lo scorso 19 luglio) per i 143 agglomerati che scaricano in aree sensibili. Ma ci sono nuove intimazioni sulla restante parte di agglomerati che scaricano in aree normali. “Per gli oltre 1.500 agglomerati incriminati – continua la Sollazzo – che scaricano in aree normali, la situazione è veramente critica, perché si tratta di piccoli impianti che sono, poi quelli più difficili da gestire perché non beneficiano delle economie di scala dei grandi impianti oltre che quelli in cui si effettuano trattamenti delle acque reflue di carattere primario (semplice asportazione dei corpi solidi) e secondario (trattamento biologico). Mentre l’Europa impone a tutti dei trattamenti più spinti che arrivano al terziario (trattamento chimico). Per migliorare la situazione occorrerebbero ingenti finanziamenti che i gestori non possono permettersi perché significherebbe aumentare parecchio le tariffe. Né è praticabile la strada del credito bancario dal momento che, laddove le regioni possano richiedere prestiti alle banche perché non sono bloccate dai paletti del patto di stabilità, gli istituti di credito hanno bloccato i finanziamenti alla luce dell’incertezza normativa sulla materia derivata dal sovrapporsi dell’esito del referendum sulla privatizzazione dei servizi pubblici, da un lato, e del successivo decreto Calderoli che non consente di individuare agevolmente il fiduciario dei finanziamenti”.

Le 143 aree sensibili
I soli 143 agglomerati della lista nera riferiti ad aree sensibili disegnano una mappa che tocca tutte le regioni italiane. In Depuratori non conformi si trovano in molte delle principali città italiane. A Padova, Rovigo, Vicenza, Gorizia, Pordenone, Udine, Firenze, Brescia, Aosta, Forlì, Milano, Pesaro, Urbino, Perugia, Spoleto, Gubbio, Frosinone. E sono molti di più quelli relativi ai piccoli centri come Fiuggi, ad esempio, Città di Castello, Terrasini (Pa), Legnano (Mi) o Pinerolo (To). Tutti insieme fanno una lista di 143 agglomerati che arriva a ricomprendere più di 300 comuni del Belpaese le cui acque sporche inquinano, per questo sistema di maladepurazione, i nostri bacini. Dall’alto Adriatico, con la laguna di Venezia in prima fila, a tutto il bacino del Po, al bacino dell’Arno, al Golfo di Castellamare in Sicilia, e poi ancora il lago di Alviano in Umbria, il lago di Scanno in Abruzzo, i laghi di Canteno, Nazzano e San Giovanni Incarico nel Lazio, al bacino dei fiumi laziali Tevere, Sacco e Lir, il lago di Iseo in Lombardia, il lago Salti in Puglia, il mar Piccolo di Taranto e infine la laguna di Venezia. In tutte queste aree, la commissione Ue denuncia ritardi ultra decennali: 13 anni di ritardo per il recepimento della direttiva europea di riferimento (a 91/271/CE), recepita con legge italiana numero 152 del 2006; 13 anni per l’adeguamento agli standard europei individuati dalla direttiva che fissava come termine ultimo il 1998 per la messa a norma. “Le regioni – spiega il biologo Giulio Conte, dirigente di Ambiente Italia, società di consulenza aziendale in tema di ambiente – fanno fatica ad investire su questo fronte perché farlo comporterebbe aumentare le tariffe della depurazione. Sono scelte impopolari che nessun politico, allo stato attuale delle cose, si sentirebbe di assumere. Se si facessero gli impianti tutti gli interventi necessari, il costo dell’acqua lieviterebbe dagli attuali 10 centesimi di euro al litro circa a oltre 40. Ma ci sono strade meno costose per migliorare la qualità dei nostri bacini. Innanzitutto basterebbe ridurre i prelievi di acqua dai fiumi, riducendo così il nostro consumo individuale che, a livello nazionale, è di 200 litri/abitante/giorno, 110 litri circa di Spagna o Germania”.

Calabria
In alcuni casi la maladepurazione è frutto di un sistema di mala amministrazione come in Calabria, dove il servizio di depurazione è stato commissariato dal 1998 al 2008 e dove, secondo i dati Ispra, più della metà degli agglomerati non sono conformi agli standard europei. “In questa regione – si legge in un dossier di Legambiente – nel 2008 l’ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) ha aperto, su richiesta della procura della repubblica di Catanzaro, un’indagine amministrativa per verificare la corretta gestione dei finanziamenti ricevuti dall’Ufficio del commissario delegato nell’ambito del Por Calabria 2000-2006. Dalla relazione finale sono emerse gravi irregolarità amministrative, assoluta mancanza di controlli, appalti in deroga alle leggi violando le prescrizioni sul cofinanziamento del programmi comunitari, assenza di collaudi, mancanza di relazioni sulla conclusione o sullo stato dei lavori, varianti e aumenti di spesa non giustificati il tutto nella totale assenza di trasparenza”. Secondo l’inchiesta Poseidone, il giro di denaro pubblico ruotante attorno al business dei depuratori è di circa 900 milioni di euro. Un giro d’affari ricaduto sui corsi d’acqua minori (come il fiume Mesima a Reggio Calabria, ad esempio o i torrenti San Francesco nel cosentino e Sant’Anna, Brace, nel vibonense oltre che buona parte della costa ionica) che ha comportato tra il 2006 ed il 2010 l’accertamento di quasi 1.700 infrazioni, quasi 2mila le persone denunciate o arrestate e 728 sequestri, soprattutto nella provincia di Reggio Calabria.
Il problema principale in Italia, segnalato anche nella lettera di intimazione della commissione europea, riguarda il fatto che i dati sulla depurazione sono spesso incompleti, poco chiari e non permettono di fornire un quadro completo. Facciamo un esempio: i dati più recenti disponibili per l’Unione Europea (e per i cittadini italiani) sono quelli di Ispra, l’istituto superiore pe rla protezione e la ricerca ambientale. Ma risalgono al 2007, 5 anni fa. Questo perché la rilevazione condotta da Ispra avviene a cadenza biennale sul dati relativi al biennio precedente. In pratica, la prossima rilevazione, con i dati aggiornati al 2009, dovrebbe essere disponibile, salvo intoppi di percorso, dall’inizio del 2012.

Umbria
Insomma, secondo i dati del 2007, in Italia circa un quarto dei depuratori non sono conformi. Tra le regioni che guidano la classifica della maladepurazione, dopo la Calabria (al primo posto con il 57% degli impianti non conformi), segue l’Umbria (55%), la Campania (50%), la Sicilia (47%), la Liguria (43%) e le Marche (41%). “Il nostro problema – chiarisce Silvano Rometti, assessore all’ambiente della regione Umbria – è che, a differenza delle altre regioni italiane, sulle nostre aree sensibili abbiamo voluto mettere dei parametri di valutazione più restrittivi. Se, ad esempio, per ottenere la conformità altrove non devono esserci più di 10 mg/l, di fosforo da noi la soglia è fissata in 2 mg/l, in questo senso molti dei nostri impianti tecnicamente non sono conformi ma se si va a guardare la qualità delle nostre acque, sono, proprio per questo, tra le più pulite. Per questo andremo in Europa con tutta la documentazione necessaria a spiegare il nostro caso e chiedere di uscire dalla lista nera”. L’Umbria d’altronde è una delle poche regioni italiane, insieme all’Abbruzzo e alla Sicilia, che ha deciso di destinare una parte dei fondi Fas, i fondi per le aree sottoutilizzate, appena stanziati dal ministero. La spesa preventivata dall’Umbria è di 44 milioni di euro che saranno destinati all’adeguamento degli impianti di depurazione anche se la regione si sta attivando per far togliere dall’elenco delle aree sensibili alcuni siti, come quello del lago di Alviano, per uscire così dalla lista nera.

Liguria
In Liguria, invece, già con la prossima legge finanziaria regionale, dovrebbe essere nominato un commissario straordinario che, fanno sapere dalla regione “porterà a compimento le opere necessarie per superare la perdurante inerzia degli enti locali”.

La prossima scadenza
Ma sull’inquinamento dei bacini, c’è un’altra scadenza importante dietro l’angolo: quella della qualità delle acque imposta dalla direttiva 2000/60/CE in virtù della quale, entro il 2015, tutti i nostri bacini dovranno avere una qualità almeno buona. Si tratta di un processo di ripulitura che, stando ai dati Ispra contenuti nell’annuario 2010, ed emersi a seguito del monitoraggio di 549 siti sparsi sul territorio italiano, riguarderà il 54% dei nostri bacini idrici attualmente classificati come qualità sufficiente (35%) o scarsa (19%).

depurazione_ue_parere_motivato_2034_2009.pdf
DIRETTIVA 2000-60-CE
TABELLA DEPURATORI

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