Mercoledì il presidente Letta ha partecipato al suo primo vertice europeo, imperniato sui temi fiscali ed energetici. Per la prima volta ormai da diversi anni, la rappresentanza italiana ha preso parte ad un Consiglio senza avvertire il peso del giudizio comunitario: il nuovo governo di coalizione è riuscito a calmare le acque a Bruxelles, nonostante le evidenti problematiche interne.
D’altra parte le questioni sul tavolo erano relativamente “leggere”, dal momento in cui non si parlava di debito pubblico, austerity e controllo del bilancio. Ottenere un largo consenso in merito alla lotta all’evasione fiscale, peraltro senza aver preso alcun provvedimento fondamentale, è stato fin troppo facile. Al pari degli altri capi di governo, Letta si è dichiarato soddisfatto dell’esito di questo vertice interlocutorio, ma le vere sfide arriveranno in futuro, quando decisioni ben più significative dovranno essere prese.
Sul banco degli imputati stavolta c’erano altri paesi, in particolare per quanto riguarda la questione delle tasse all’interno dell’Unione, dove finalmente qualcuno si è accorto dell’esistenza di un drammatico problema di concorrenza fiscale interna. Al di là dell’impegno formale a rafforzare la lotta all’evasione, che si configura come reato, il nodo da sciogliere all’interno dell’UE rimane quello dell’elusione. In questo campo la confusione tra lecito ed illecito regna ancora sovrana, per cui la sovrapposizione dei termini impedisce di chiarire quali siano i poteri in mano ai vari legislatori, in primis quello comunitario.
La discussione ruota intorno ad un fatto tanto semplice quanto conclamato: il regime fiscale di alcuni paesi, quali Irlanda, Lussemburgo e per certi versi Regno Unito ed Austria è eccessivamente basso, per cui in molti (troppi) approfittano del libero mercato per eludere il fisco, nella piena legalità. Il fenomeno genera evidenti squilibri redistributivi, incide sui livelli di welfare e mette in crisi i già dolorosi piani di risanamento dei bilanci pubblici. Sul tavolo ha primeggiato il caso Apple, accusata dal Senato americano di aver “risparmiato” miliardi di dollari, accentrando gli utili in società irlandesi controllate, la cui tassazione si attestava al 2%. Si tratta della celebre punta dell’iceberg, visto che in Europa sono diverse migliaia le società, non ultime le italiane, che stabiliscono la sede legale in paesi differenti dal mercato di riferimento, rimanendo all’interno dei confini comunitari per sfruttare i vantaggi del libero mercato. In questo scenario, il nostro paese ha l’obbligo di perseguire gli evasori, la cui percentuale è certamente tra le più alte d’Europa, ma per combattere l’elusione occorrono misure globali.
Il presidente Letta ha avuto ben poco da dire anche in merito alla questione energica, per cui si auspica il completamento del mercato interno entro il 2014. Il tema più controverso rimane l’utilizzo del cosiddetto shale gas, ovvero il metano proveniente da particolari giacimenti argillosi, la cui estrazione comporta notevoli rischi sismici ed ambientali. Il punto centrale riguarda l’incidenza di questa fonte sui costi energetici medi: nei paesi dove tale tecnologia è ampiamente sfruttata, tra cui gli Stati uniti, la bolletta per aziende e famiglie risulta notevolmente inferiore, generando evidenti vantaggi produttivi. La Francia è l’unico paese che ha formalmente vietato questo tipo di trivellazioni, mentre la Polonia, dove si trovano i giacimenti più ricchi, preme per il mantenimento dello status quo. In questo paese opera tra l’altro l’ENI, azienda leader sul piano tecnologico, per cui gli interessi italiani sarebbero intaccati da un’eventuale decisione.
Se questo vertice può essere considerato, almeno dal punto di vista italiano, un semplice esercizio diplomatico, i prossimi non lo saranno di certo. Letta ha fieramente annunciato di aver chiesto ed ottenuto che al prossimo incontro di giugno si parli di disoccupazione giovanile, piaga che imperversa in mezzo continente e specialmente sulle rive del Mediterraneo. Richiamare l’attenzione è certamente importante, ma ottenere misure concrete non sarà certo una passeggiata. Le proposte relative alle misure di stimolo, siano essi sussidi economici o sgravi fiscali per le aziende che assumono, si andranno a scontrare contro il muro del rigore di bilancio, sul quale verosimilmente la Germania non vorrà cedere. D’altra parte questo problema non è certo rilevante nel paese del Cancelliere Merkel, visto che tra i giovani tedeschi la disoccupazione sta toccando i minimi storici.
Nel complesso, tra le righe della discussione è stato possibile leggere l’approvazione per il nuovo governo italiano da parte dei leader europei, nella fondata convinzione che questo esecutivo non potrà alzare la voce sulle questioni fondamentali. Il delicato equilibrio che lega il PD ed il PDL, infatti, implica necessariamente una sorta di tregua sul fronte europeo, visto che uno scontro con Bruxelles potrebbe rappresentare un pericoloso elemento di rottura. In altre parole, i vertici comunitari sono ben felici della condizione di debolezza e precarietà che caratterizza l’attuale guida del paese, avendo di fatto limitato l’influenza dell’Italia sulle decisioni fondamentali. Sulla base di questi presupposti, è chiaro che le misure più controverse adottate a livello europeo, dl Fiscal Compact al pareggio di bilancio, rimarranno in piedi nonostante i proclami di entrambi i principali partiti in campagna elettorale.
La credibilità di questo governo, sia interna che esterna, rimane insomma tutta da costruire e dalle parole occorre arrivare ai fatti. Letta, intervenendo giovedì all’assemblea annuale di Confindustria, ha parlato di un “ritorno alla leadership industriale”, ma di proposte concrete per il rilancio dello sviluppo non se ne vede ancora l’ombra. Le competizione globale sta lentamente uccidendo il nostro tessuto produttivo, rimasto indietro a causa di una carenza endemica di investimenti, per cui sarebbe opportuno che il governo se ne occupasse seriamente. Il Presidente, tuttavia, ha parlato per l’ennesima volta dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, come se questi fossero al primo posto tra i problemi del paese ed il futuro dipendesse semplicemente da un taglio ai costi della politica.
La mancanza di una seria discussione sul rilancio economico è uno dei fattori che contribuisce alla condanna dell’Italia a svolgere un ruolo del tutto marginale in questa Europa, al pari di Spagna e Grecia, accettando passivamente le condizioni imposte dall’alto. Si tratta senza dubbio di un’occasione persa, poiché il fronte che si sarebbe potuto creare con il presidente francese Hollande avrebbe potuto rappresentare un freno alla deriva rigorista, che sta prolungando inesorabilmente gli strascichi di questa crisi infinita. Diventa dunque difficile accontentarsi del debole tentativo di riportare i temi della crescita economica e dell’occupazione al centro del dibattito, in quanto senza un serio ripensamento delle riforme depressive adottate recentemente sarà difficile ritornare ai livelli pre-crisi.

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