Dopo i controlli a sorpresa nei capoluoghi di provincia da parte della Guardia di Finanza, la riduzione del limite massimo all’uso dei contanti, il monitoraggio dei movimenti bancari e dei conti correnti, a marzo entrerà in vigore l’ultima misura anti evasione definita dall’ex-governo Monti, il cosiddetto “Redditometro”, di cui manca ancora una circolare tecnica, nonostante la sperimentazione sia iniziata a novembre 2011.

Mario Monti non ha che continuato sul percorso tracciato dal precedente governo Berlusconi: l’approvazione parlamentare del relativo decreto legge infatti risale al 2010. Attraverso il Redditometro si vuole accertare la congruità tra redditi dichiarati e spese effettuate dal contribuente, un procedimento inverso rispetto a quello del vecchio redditometro, nato nel 1993, e utilizzato per stimare se il reddito ipotizzato sulla base dei beni registrati fosse coerente con quello dichiarato. Il nuovo metodo invece sfrutta tutte le banche dati della pubblica amministrazione, specialmente quella comunale, per scandagliare le spese effettuate dal contribuente; ne verranno prese in esame circa 100, divise in sette macro categorie (abitazione, mezzi di trasporto, contributi e assicurazioni, istruzione, attività sportive e ricreative e cura della persona, altre spese significative, investimenti immobiliari e mobiliari netti). Per includere anche le spese non registrate dall’anagrafe tributaria, sarà considerato anche l’indicatore della spesa media per famiglia, calcolato dall’Istat durante l’Indagine annuale sui Consumi, dove si prevedono 55 tipologie familiari di consumo, aggiornate ogni due anni: 11 tipologie di composizione (single, coppie con o senza figli, sotto i 35 anni, over 65, ecc), per 5 macro regioni (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, Isole). In questo modo, per esempio, l’acquisto di un fuoristrada da parte di una famiglia residente in un paese di montagna non peserà ugualmente come l’acquisto dello stesso fuoristrada da parte di un single residente in città. Se viene rilevato uno scostamento significativo (cioè maggiore del 20%) tra il reddito dichiarato e le spese, il contribuente dovrà dimostrare che in quel periodo aveva ottenuto particolari entrate non registrate (un prestito di un amico o un parente, ecc) oppure che è stato schedato in una tipologia familiare sbagliata, presentando qualsiasi ricevuta fiscale non anonima. “Ovviamente la non coerenza non è automaticamente rappresentativa di un’evasione”, ha detto il presidente dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera presentando il meccanismo del Redditometro; resta dubbio però il peso legale assunto dagli scostamenti registrati, tramite l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, un peso forse eccessivo vista la marcata origine statistica del procedimento.

 

Redditometro, istruzioni per l’uso
Il Redditometro si applicherà ai redditi dichiarati a partire dal 2010 (quindi riferiti all’anno fiscale 2009), e controllerà gradualmente i 41 milioni di contribuenti italiani, dalle ditte individuali alle persone fisiche, escludendo solo le imprese di media o grande dimensione. Intanto, sul sito dell’Agenzia delle Entrate è disponibile il sowftare del Redditest (http://redditest.agenziaentrate.it), che permette di testare la propria coerenza tra redditi dichiarati e spese sostenute (meglio avere sottomano fatture, estratto conto e libretti dell’auto). Se il software segnala incongruenze, è il caso di ricontrollare la propria dichiarazione dei redditi.
Il Fisco spera di recuperare da questa operazione circa 815 milioni di euro, non tanto dall’individuazione di scostamenti, quanto per l’effetto deterrente che dovrebbe derivare dalla presenza stessa del redditometro. Nel 2011, grazie a circa due milioni di controlli effettuati dalla Guardia di Finanza sui redditi e l’emissione degli scontrini, sono stati recuperati 12 miliardi di euro evasi; una cifra importante, ma che purtroppo resta una goccia nel mare. Secondo le stime dell’Agenzia per le Entrate, il valore assoluto dell’evasione fiscale per il 2012 si attesta sui 125 miliardi di euro, di cui 28 miliardi solo per il mancato versamento dell’Iva. È il peggior risultato in Europa, anche se precediamo la Germania e la Francia solo di poche decine di miliardi.
Per quanto riguarda la percentuale di evasione sull’entrate totali del fisco, in Italia si raggiunge il 27%: per ogni cento euro di imposte versate, non ne vengono dichiarati quasi 18, una media che sale a quasi 34 euro, se si escludono i redditi che non possono essere evasi per via del sostituto d’imposta (il datore di lavoro trattiene dallo stipendio le tasse dovute allo Stato). Nel 2011, un report dell’Agenzia delle Entrate evidenziava che il tasso di evasione risulta elevato dove il tenore di vita è più basso e maggiore è la presenza di criminalità organizzata: il tasso si attesta sul 65,67% nelle province di Caserta, Salerno, Cosenza, Reggio e Messina, mentre tocca il suo livello minimo (10,93%) nelle provincie di Milano, Torino, Genova, Roma, Lecco, Cremona e Brescia. D’altro canto, proprio dove il tasso di infedeltà fiscale è basso, le somme che non vengono dichiarate sono più elevate e quindi pesano maggiormente sul valore assoluto dell’evasione fiscale.

Paradisi fiscali da 21 trilioni di dollari
Secondo una ricerca fatta dal gruppo Tax justice network, nel 2010, 21 trilioni di dollari sono stati nascosti alle autorità tributarie di tutto il mondo, depositati nei conti correnti anonimi di banche residenti nei paradisi fiscali. Se a questi si aggiungessero le proprietà (immobili ed imbarcazioni) registrate nei paesi off-shore da cittadini stranieri, l’evasione mondiale raggiungerebbe, secondo il calcolo dell’economista James Henry, la cifra di 32 trilioni di dollari, pari alla somma del Pil degli Stati Uniti, della Germania e del Giappone.
È chiaro che la lotta all’evasione fiscale non può essere perseguita solo a livello nazionale. Negli ultimi due anni, complice la crisi che ha ridotto la base impositiva degli Stati nel momento di massimo bisogno, si è cercato di “responsabilizzare” i rifugi più ricercati dagli evasori: la Svizzera e il Liechtenstein.
Proprio con la Svizzera, la Germania e la Gran Bretagna hanno firmato nel 2011 un accordo sui conti cifrati aperti dai propri cittadini. Le banche svizzere, già tenute dalla legge nazionale sull’antiriciclaggio a chiedere la residenza del beneficiario del conto anonimo, da quest’anno provvederanno anche a trattenere e versare allo Stato di provenienza del depositario un’imposta secca, il cui importo varia a seconda del valore del conto: tra il 19% e il 34% per i cittadini tedeschi e tra il 20% e il 25% per quelli inglesi, in linea con le aliquote del carico fiscale nazionale. L’obiettivo è quello di rendere svantaggiosi i conti anonimi e recuperare in parte i capitali sfuggiti al controllo fiscale nazionale. In cambio, la Svizzera ha ottenuto delle agevolazioni all’ingresso di filiali elvetiche nel mercato bancario tedesco e inglese. Un accordo del genere sarebbe stato fortemente vantaggioso per l’Italia: su 4.200 miliardi detenuti presso le banche elvetiche da cittadini stranieri, si stima che circa 150 – 300 miliardi potrebbero essere stati depositati da italiani.

L’Italia, la Svizzera e gli Usa
L’estate scorsa invece l’Italia, assieme ai maggiori Stati europei, alla Svizzera e al Giappone, ha stipulato un accordo per lo scambio bilaterale di informazioni fiscali con gli Stati Uniti, il cosiddetto FACTA (Foreign Account Tax Compliance Act ). In sostanza, gli istituti bancari dei Paesi firmatari dovranno controllare che i propri clienti americani, con attività finanziarie superiori ai 50mila dollari, nonché tutti soggetti stranieri che hanno partecipazioni importanti in società americane, dichiarino tali sostanze al governo statunitense, applicando essi stessi la sanzione in caso di mancata dichiarazione, versando al fisco il 30% del deposito, e denunciando alle autorità americane i dipendenti bancari che hanno assistito gli eventuali evasori. Viceversa, gli istituti bancari americani vigileranno sui clienti europei, giapponesi e svizzeri.
Il FACTA giunge dopo due anni di cause legali tra il governo statunitense e numerose banche svizzere, culminate nella condanna a febbraio 2012 del gruppo bancario Wegelin, che ha patteggiato con la corte distrettuale di Manhattan una multa di 57 milioni di dollari per aver aiutato, tra il 2002 e il 2010, i propri clienti americani ad evadere le tasse per un totale di 1,2 miliardi di dollari. Wegelin, fondato addirittura nel 1741, ha liquidato la sua attività qualche mese dopo la condanna; alla Svizzera non è restato che alzare la bandiera banca e accettare l’abrogazione del segreto bancario, di fatto imposta dal FACTA.
L’evasione fiscale negli Usa è pari al’8,6% del Pil, un risultato che sconfessa l’equazione “pagare poco, pagare tutti” (la pressione fiscale sul Pil è tra le più basse del mondo, pari al 30%); ugualmente in Germania, dove la pressione fiscale è abbastanza bassa ( il 36,6% contro il 44,6% italiano) ma, secondo i calcoli dell’ufficio imposte tedesco, ogni anno vengono evasi 30 miliardi di euro. Colpevoli sono soprattutto le grandi imprese: un report realizzato dal ministero delle Finanze tedesco spiega come la holding, cioè l’impresa a capo del gruppo aziendale, riesca a far figurare i propri profitti nei bilanci delle controllate e sussidiarie residenti in Paesi con regimi impositivi più favorevoli. Questo meccanismo è così diffuso che l’Ocse dovrebbe presentare il 14-15 febbraio prossimo a Mosca, durante il G20 Finanze, alcune proposte per la lotta all’evasione fiscale delle grandi multinazionali. Secondo Le Figaro, il testo verterà su due punti principali: il divieto di utilizzare “scatole vuote”, cioè società che non svolgono nessuna attività ma vengono utilizzate solo per trasferire i profitti, e la doppia nazionalità fiscale. Un esempio: Google Europa figura come società irlandese per gli Stati Uniti, mentre per lo Stato irlandese è domiciliata nelle Isole Bermuda; il risultato? Google paga solo il 4% di imposte in Europa e avrebbe distolto al fisco statunitense circa 3 miliardi di dollari.

La Gran Bretagna e i delatori anonimi
Nel Regno Unito l’anno scorso l’evasione ha creato un buco nella casse dello Stato di ben 18 miliardi di sterline, il 9,3% del Pil. Her Majesty Revenue & Customs, l’Agenzia delle Entrate inglese, si avvale di numerosi strumenti di investigazione che coinvolgono i cittadini, come la linea telefonica per delatori anonimi (in Italia esiste il 117 della Guardia di Finanza, a cui però bisogna fornire le proprie generalità). Dall’agosto del 2012 l’ufficio imposte ha predisposto un account sul famoso sito di photo sharing, Flickr.com, dove vengono pubblicate le foto di chi è fuggito dal Paese durante o dopo il processo per evasione fiscale; si tratta di venti persone, che hanno frodato il fisco inglese in tutto per 765 milioni di sterline: si va dall’idraulico che ne deve 50 mila, al businessman che deve saldare un conto di 200mila sterline, al commerciante che ha “dimenticato” di versare 17 milioni di Iva. In Gran Bretagna l’evasione fiscale è considerata un reato penale e si può rischiare fino a 10 anni di carcere, una pena anzi più leggera rispetto a quella statunitense, che va da 5 a 30 anni di reclusione e fu solo grazie a questa che fu arrestato un gangster come Al Capone. In Cina solo a febbraio 2011 è stata abolita la pena di morte per i grandi evasori fiscali; oggi la legge prevede fino a sette anni di prigione. Grande severità anche in Argentina, dove si può finire in carcere anche per l’evasione di “soli” 100 mila pesos (circa 18mila euro), con pene dai due ai sei anni.

Il Giappone e i commercialisti radiati dall’albo
In Giappone, la polizia tributaria Kensatsu preferisce avvalersi della collaborazione dei commercialisti, a cui viene revocata la licenza in caso di connivenza; solo durante lo scorso biennio sono stati scoperti reati fiscali per un valore totale di 700 milioni di euro. Il caso del Giappone è emblematico. Da una parte, le autorità giapponesi hanno necessità di non deprimere i consumi tassando eccessivamente i redditi, misura che rischierebbe di ritornare nella spirale deflazionistica degli anni Novanta, durata ben un decennio; la pressione fiscale è infatti molto bassa, solo il 25%. Dall’altra, il Giappone ha accumulato il debito pubblico più elevato del mondo (circa il 229% del pil), che va ripagato, e combattere l’evasione sembra un buon modo per farlo.

La Francia e i vincoli bancari sui conti esteri
La polizia tributaria francese non ha nulla da invidiare a quella nipponica: nel 2011 il Bureau des agents du fisc ha recuperato 13.5 miliardi di euro evasi, coniugando “controlli sul posto” ed attività investigativa. Nell’ambito di un’inchiesta del 2010, grazie alle rivelazioni di un ex dipendente della banca svizzera Hsbc, i francesi sono riusciti persino ad identificare duemila evasori fiscali greci, i cui nomi erano stati prontamente inoltrati al governo ellenico; una lista che all’epoca andò “perduta” e che è ricomparsa soltanto ad ottobre scorso sul giornale greco Hot Doc, sollevando uno scandalo nazionale.
Per agevolare l’azione della polizia tributaria, le banche francesi sono state obbligate dalla Direzione generale delle Finanze pubbliche a segnalare i conti che vengono trasferiti fuori dai confini nazionali. Grazie a queste informazioni è stato creato un archivio che raccoglie tutti i dati sulla detenzione, dichiarata o sospettata, di conti bancari all’estero. Il governo vuole evitare la fuga del suo bacino di prelievo fiscale prediletto: per decisione del Presidente François Hollande, l’aumento delle tasse è stato dirottato infatti sul ceto più abbiente della popolazione. L’aliquota marginale sui redditi oltre i 150mila euro è stata portata dal 41 al 45%, e a settembre scorso è stata approvata la “super-tassa” , un contributo straordinario del 75% su redditi superiori al milione di euro, che ha colpito circa 1.500 contribuenti e fatto scappare Gérard Depardieu. Secondo le stime del ministero dell’Economia francese, grazie a queste misure, a fronte dell’aumento delle tasse per 4,1 milioni di famiglie, sarà alleggerito il carico fiscale per altre 8,5 milioni, meno abbienti, nonché per le imprese, sui cui grava una pressione fiscale persino maggiore alla nostra (il 36,6% contro il 31,4%).

Taiwan, lo scontrino e la lotteria fiscale
Se i controlli non sono efficaci, c’è sempre l’alternativa della “lotteria fiscale”. A Taiwan, e da qualche anno anche in alcuni distretti della Cina, su ogni scontrino fiscale viene automaticamente stampato un numero, abbinato ad una lotteria pubblica ad estrazione settimanale, circostanza che vuole incoraggiare i consumatori a richiedere lo scontrino. Il montepremi in palio è basso (dai 5 ai 200 dollari) ma le probabilità di vincita sono molto elevate, e l’anno scorso il 75% delle imposte normalmente evase in questo modo è rientrato nelle casse dello Stato taiwanese. In Cina, secondo uno studio di Junmin Wan, economista giapponese dell’Università di Fukuoka, l’effetto sul gettito fiscale è stato pari ad un incremento delle entrate per un 10,4%. Una tattica che il prossimo governo italiano potrebbe prendere in considerazione, visto che secondo la Guardia di Finanza un esercente su tre di servizi alla ristorazione e al turismo non emette scontrini e ricevute fiscali.

Il settore dei servizi
Buona parte dell’evasione fiscale italiana proviene però dal settore dei servizi, a causa del lavoro in nero e la possibilità da parte dei lavoratori autonomi di autodichiarare il proprio reddito. Il paper (qui in allegato) di Giulio Zanella, docente della facoltà di Economia dell’Università di Bologna, e Roberto Galbiati, ricercatore dell’Observatoire sociologique du changement, ripercorre le esperienze italiane, danesi e americane per arrivare alla conclusione che “anche in contesti socioeconomici diversi, l’evasione fiscale è più diffusa quando il reddito imponibile viene dichiarato dal soggetto tassato invece che da un terzo”. Poiché l’evasione non è possibile in caso di regime di sostituzione d’imposta, non dovrebbe stupire la correlazione positiva tra la percentuale di lavoratori autonomi sul totale della forza lavoro e il valore dell’economia sommersa in un dato Paese, che i due autori riscontrano per l’Italia, il Portogallo, la Grecia e il Messico. In sostanza, è il sistema legislativo che rende il contribuente “ladro”.

In allegato The Tax Evasion Social Multiplier: Evidence from Italy, lo studio realizzato da Roberto Galbiati e Giulio Zanella dal settembre 2008 al gennaio 2012

The Tax Evasion Social Multiplier: Evidence from Italy

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