Chi avrebbe mai immaginato Anita Garibaldi indossare un capo di Laura Biagiotti o la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso in una splendida mise in piume rosse griffata Roberto Cavalli, o ancora Tonina Masanello in Giorgio Armani. È questa la singolare iniziativa con cui Roma rende omaggio al coraggio delle eroine risorgimentali. Intellettuali, principesse, popolane, religiose, sono queste le donne che hanno contribuito all’Unità d’Italia anche a costo della propria vita.

 

Donne che grazie ai moti risorgimentali hanno avuto il coraggio di uscire dalle proprie case, di liberarsi dai ruoli assegnati loro dalle famiglie e dalla cultura dell’epoca, per conquistare una propria identità pubblica. Senza il loro coraggio il ruolo della donna sarebbe rimasto intrappolato in rigidi stereotipi chissà ancora per quanto tempo. Sono loro le interpreti delle prime manifestazioni dell’emancipazione femminile. Erano tante, erano intelligenti, coraggiose, appassionate. Le donne italiane, senza distinzione di classe sociale, risvegliavano gli animi agli ideali rivoluzionari.
eroine1Carlo Cattaneo, all’indomani delle cinque Giornate di Milano, scrisse: “Grande più che si crederebbe fu il numero delle donne uccise”. Eppure in Italia esistono 18.000 statue celebranti Garibaldi e solo 35 busti a memoria delle eroine risorgimentali, mai inserite nei libri scolastici e ben presto dimenticate, ma oggi, in occasione dell’anniversario dell’unità d’Italia, tornano meritatamente a brillare a Palazzo Altemps di Roma.
Questo museo, in passato sede del circolo intellettuale sorto intorno al conte Primoli e teatro di riunioni segrete, è stato scelto per ospitare la mostra Eroine di stile. La moda italiana veste il Risorgimento. Giuliano Amato, presidente del Comitato dei garanti per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, ha definito l’esposizione stravagante e ha sottolineato come essa rappresenti un recupero di quelle figure femminili che, pur avendo corso gli stessi rischi degli uomini, sono state dimenticate per maschilismo storico. Delle donne si è sempre erroneamente evidenziato il ruolo di madre, dimenticandone quello pubblico e storico. L’intento dell’iniziativa è di illuminare e rendere più popolare una parte di storia, rivivendo le figure femminile che ne hanno fanno parte così come noi le vivremmo oggi.

 

 

Trentadue, le prime della lista
eroine2La mostra rende omaggio alla determinazione e al coraggio di 32 eroine, sebbene il loro numero nella realtà sia di molto superiore, lungo un percorso tra storia e moda che si snoda tra le sale del museo. Tanti i nomi illustri: Anita Garibaldi, la contessa di Castiglione, Cristina di Belgiojoso, Maria Sofia di Borbone, Enrichetta Caracciolo, la brigantessa Michelina di Cesarea, la combattente Giuseppa Bolognara. Tra statue, sarcofagi e reperti antichi sono stati esposti 79 abiti realizzati dai più grandi maestri della moda italiana, ognuno dei quali dedicato a un’eroina. L’attribuzione di un determinato abito a una delle eroine è stata fatta solo dopo averne studiato a fondo la personalità, le manie, i modi di abbigliarsi. Stefano Dominella, curatore della mostra, nell’affrontare questo difficile lavoro si è chiesto in che modo ognuna di queste donne si sarebbe voluta e potuta vestire oggi. Il risultato è un meraviglioso parallelismo tra ieri e oggi: ogni eroina è stata reinterpretata e proiettata nella contemporaneità mediante l’abbinamento con un celebre stilista.
Si sono scelti abiti da grand soirèe per le Salottiere, signore di aristocratici natali ma di educazione liberale: vestono abiti di Pucci, Cavalli, Ferrè, Schubert, Valentino, Gattinoni e Sarli. Diverso l’abbigliamento di Anita Garibaldi, amazzone irriducibile, avvolta in rossi abiti di Laura Biagiotti. Abiti di ispirazione folk e militare per le Popolane e le Combattenti, firmati Max Mara, Luciano Soprani e Moschino. Diverso lo stile delle Intellettuali vestite Missoni e Romeo Gigli. Le Giardiniere, cospiratrici fedelissime di Mazzini e donne di grande coraggio, sono abbigliate alla garçon con abiti di Gattinoni e Ferragamo. Le Religiose, costrette nella realtà ad indossare abiti monacali che per nulla riflettono il loro vero credo, sono vestite da Gattinoni; tra di esse merita di essere menzionata Enrichetta Caracciolo Fiorino. Il Risorgimento vide scendere in campo anche celebri Attrici, Ballerine e Soprani, tra le quali Giuseppina Strepponi moglie di Giuseppe Verdi vestita da Riccardo Tisci. Non mancano le Regine: Sofia di Wittelsbach, sposa di Francesco II, e Ludovica Maria Clotilde di Savoia vestite con elegantissimi abiti neri di Fendi. Sono esposti anche vestiti di Giorgio Armani, Prada e tanti altri stilisti.

 

Codici segreti e scambi al mercato
eroine3Sono in mostra anche sei costumi popolari femminili gentilmente prestati dal Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma diretto ad interim da Daniela Porro: fanno parte delle collezioni raccolte alla fine dell’Ottocento e nei primissimi anni del Novecento dall’etnologo Lamberto Loria; permettono al pubblico di conoscere il modo di abbigliarsi delle donne del periodo risorgimentale. Sono vestiti ingombranti, scomodi per certi versi, soprattutto se si pensa che a indossarli erano anche donne impegnate attivamente nella lotta armata.
Lo scultore Federico Paris ha realizzato per l’occasione i busti raffiguranti alcune di queste signore, che fanno da scenografia alla mostra accompagnati da una galleria di foto di Paolo Belletti. Come potevano farsi spazio le idee politiche nel mondo femminile dell’epoca? Le donne del popolo avevano modo di confrontarsi per strada, al mercato, nei lavatoi. Le aristocratiche avevano istitutrici in casa e quindi la possibilità di procurarsi libri. Grande importanza ebbero i numerosi salotti d’élite, un vero vivaio di idee e propositi rivoluzionari. Le donne ricorsero a particolari e modesti mezzi di propaganda, facendo ricorso ai tradizionali saperi femminili, come ad esempio i ventagli ricamati con frasi patriottiche, confezioni di coccarde e di bandierine patriottiche, capi di abbigliamento particolari come il famoso cappello alla calabrese e, ancora, vestiti che tra le pieghe celavano il tricolore. Fu una battaglia anche sul piano del linguaggio, dei versi e dei suoni. Inventarono un codice per i messaggi segreti. Scrivevano articoli, musicavano inni e componevano poesie per comunicare l’amor patrio e la ribellione allo straniero. Combatterono come soldati. Molte furono imprigionate, molte uccise. Le donne che sapevano leggere trovarono in Manzoni un punto di riferimento: i suoi Promessi Sposi, nella lotta dei poveri contro i ricchi e contro i costumi del tempo, furono il segnale del sopraggiungere di tempi nuovi. Le amanti della lirica, a quel tempo suonata in ogni occasione e in ogni luogo, trovarono in Verdi la voglia di cambiamento: l’acronimo “Viva Verdi” assunse il significato rivoluzionario di “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”. Ma vediamo più da vicino alcune di queste eroine.

 

Le Giardiniere e le aiole
eroine4Le Giardiniere, nate nel 1821, costituiscono il ramo femminile della Carboneria. Così chiamate perché si riunivano nei giardini delle loro ville per parlare di erbe e fiori. Ogni gruppo era chiamato “aiola” ed era costituito da 9 donne. Erano armate di pugnale, nascosto tra la calza e la giarrettiera. In poco tempo arrivarono a costituire una rete segreta in grado di inviare messaggi in tutta Italia, nascosti nei capelli, nei vestiti e nelle loro menti. Si spostavano per l’Italia ma anche all’estero, fingendo da ponte tra gli esuli e la madre patria. Tra di esse ricordiamo Bianca Milesi, ideatrice di un sistema di scrittura clandestina, Bianca De Simoni Rebizzo, Maria Viscontini Dembowski.
Queste donne rivendicano un ruolo nella vita politica in quanto madri, sorelle, mogli, figlie di patrioti. Non rinnegano il loro senso della famiglia, il loro essere madri, ma compiono una vera rivoluzione tra le pareti domestiche.
Organizzano rivolte, partecipano in prima persona ai combattimenti, soccorrono i feriti in veste di crocerossine; compiono gesti e azioni simbolici, come vestirsi a lutto o disertare i teatri a seguito di rappresaglie di patrioti, al fine di indebolire l’autorità delle legge. Molte di loro, tra cui Antonia Masanello, presero parte alla spedizione dei Mille. Alcune sono croniste d’assalto, raccontano gli scontri, i sentimenti le speranze. Nel salotto di Bianca De Simoni Rebizzo si escogitano travestimenti per gli esuli, si raccolgono fondi per la causa, si nascondono le armi. Il giornalismo diventa il mezzo con cui le donne esprimono le prime idee di emancipazione e strutturano le loro richieste.
Finiti i combattimenti le patriote si trasformano in educatrici: a loro adesso spetta il compito di educare una nuova generazione di giovani nel rispetto, nella difesa e nel rafforzamento delle recenti conquiste del Risorgimento. L’istruzione diventa un altro importante strumento di emancipazione femminile.
Purtroppo l’istituzione del nuovo Parlamento, cristallizzato in istituzioni e figure maschili, finisce per seppellire le vittorie e gli slanci delle eroine risorgimentali sotto il peso dell’indifferenza e della resistenza al cambiamento. L’unico riconoscimento ufficiale che ricevono è nel 1866 quando Vittorio Emanuele offre ad alcune di loro, ricevute a Venezia, un anello con la sigla reale. Troppo poco.

 

Anita, la combattente dei due mondi
Rosso. Intenso, vivo, adatto per una rivoluzione ma ancor più adatto ad una donna passionale come Anita. Rosso il colore da lei scelto per confezionare la prima camicia di Garibaldi. Rosso il sangue versato per un ideale. Rosso il mantello che indossava nel momento in cui la morte la raggiunse.
Una vita la sua, seppur breve, dedita alle idee liberali per le quali combatté fino a morire. Nonostante fosse convinta dell’inutilità della guerra e del diritto universale a vivere in pace, era altresì consapevole che solo lottando avrebbe potuto raggiungere i suoi ideali.
anita-garibaldiNata in Brasile, fu proprio nella sua terra che conobbe Garibaldi, rifugiatosi a Rio in seguito alla condanna a morte inflittagli in patria per sovversione contro il re di Sardegna. Qui il patriota era divenuto corsaro e aveva abbracciato la causa della nuova repubblica di Rio Grande. Si dice che la seconda volta che i due si videro, lui le andò vicino e le sussurrò: “Devi essere mia”. Fu l’inizio di un legame che solo la morte sciolse. Un legame contrastato per il fatto che la diciottenne Anita era già sposata, costretta dalla famiglia a un matrimonio non voluto. Anita difese il suo amore dalle maldicenze stando sempre al fianco di Garibaldi, di cui abbracciò ideali e speranze. Prese parte attiva alle sue missioni, in qualità di combattente e di infermiera, prima in giro per il Brasile, poi per l’Uruguay, infine per l’Italia, un Paese che neanche conosceva. E’ noto che sapesse sparare con i cannoni e cavalcasse senza sella meglio di un uomo.
Aveva un temperamento audace. Sembra che quando sospettava di avere delle rivali in amore si presentasse al marito con due pistole, una da scaricare contro di lui, l’altra contro l’eventuale amante. Nel gennaio del 1840, caduta prigioniera delle truppe imperiali brasiliane, essendole stato concesso di cercare il cadavere del marito sul campo di battaglia, approfittò della distrazione delle guardie per afferrare un cavallo e fuggire. Si ricongiungeva ancora una volta con Garibaldi.
Dodici giorni dopo la nascita del primo figlio, il 16 settembre 1840, Anita sfugge a una nuova cattura. I soldati imperiali circondano la sua casa, uccidono gli uomini lasciati da Garibaldi e cercano di catturarla, ma Anita, con il neonato in braccio, esce da una finestra, inforca il cavallo e fugge nel bosco. La sua estrema abilità di cavallerizza e la sua coraggiosa vitalità la salvano ancora una volta: rimane nascosta nel bosco per quattro giorni, senza viveri e con un neonato al petto, finché Garibaldi e i suoi la trovano. È questo l’episodio al quale lo scultore Rutelli si ispirò per il monumento equestre ad Anita inaugurato sul Gianicolo nel 1932.
anita_1Nel 1841 Garibaldi e Anita, trasferitisi in Uruguay, convolano a nozze. Negli anni successivi nascono tre figli. Con forza e dignità supera una forte depressione seguita alla morte della figlia Rosita di soli tre anni.
Al nascere delle prime rivoluzioni europee, nel 1848, Anita e Garibaldi raggiungono il vecchio continente. L’anno successivo, a seguito della proclamazione della Repubblica romana, gli eserciti francese e austriaco attaccano la città eterna per ripristinare il potere papale. I garibaldini danno vita a una eroica resistenza, ma sono costretti a lasciare l’Urbe alla volta di San Marino. Anita, nuovamente incinta e febbricitante, è ancora una volta accanto al marito. Decide di affrontare la fuga vestendosi da uomo. Indossa una casacca verde, pantaloni e un cappello a falde. Si narra che Garibaldi quando la vide le disse sorridendo che sembrava più donna di prima e lei allora si fece tagliare i capelli raccolti in una lunga treccia che, una volta recisa, donò al marito. Le sue condizioni di salute peggiorano, aggravate dai patimenti del lungo viaggio e dal dubbio che il bimbo che porti in grembo sia morto. Nonostante la debolezza ancora una volta monta a cavallo per respingere l’ennesimo attacco degli austriaci. È la sua ultima disperata azione di guerra. Costretti a fuggire, Anita e Garibaldi si imbarcano alla volta di Venezia inseguiti dagli austriaci. La donna sta morendo. Raggiunta la riva di Comacchio è ormai in fin di vita. Anita muore a casa Guiccioli dove Garibaldi l’aveva portata nel disperato tentativo di salvarla.
A ventotto anni si spegneva la donna che aveva incarnato i sogni di libertà del condottiero, lei che aveva combattuto più eroicamente di tanti uomini, lei che non aveva esitato ad imbracciare un fucile e a sparare, lei che aveva lasciato la sua patria per il sogno di libertà e unità di una paese che non era il suo.
Garibaldi riconoscendo l’eroismo e il sacrificio di Anita le fece un’ultima promessa: “Io perdonerò agli italiani la morte di Anita, quando lo straniero non potrà più passeggiare sulla terra che racchiude le ossa di lei”.

  

Cristina Trivulzio di Belgiojoso, una salottiera milanese a Parigi
eroine5“Tengo per certo, essere la donna la creatura più tenace, la più costante, la più irremovibile nei suoi propositi”. La storia di Cristina ruota intorno al senso inviolabile della sua dignità di donna, frutto della sua esperienza personale e linea portante del suo essere nel mondo. È sicuramente tra le figure femminili più interessanti del Risorgimento. La sua vita è un’avventurosa vertigine. Nonostante tutto questo, il suo lavoro conosce anni di oscurità forse motivato dal suo scomodo privato o da alcuni tratti del suo pensiero politico o per quel pericoloso connubio tra cervello e inquietante bellezza.
Cristina , animata da un grande amore per la libertà di espressione, capisce da subito il ruolo della stampa quale strumento di formazione e agitazione politica. Fonda e dirige testate di carattere politico, diffondendo il punto di vista delle donne.
Lotta contro le ingiustizie sociali e ogni forma di condizione minoritaria, prima tra tutte quella che lo stato impone alle donne con il matrimonio.
Discendente di una famiglia di antico lignaggio e ricchissima, a sedici anni sposa Emilio Barbiano principe di Belgiojoso, giovane dalla bellezza sfolgorante e sostenitore del moderno liberalismo di cui è follemente innamorata. Quattro anni dopo, a seguito dei continui tradimenti del marito, lascia il domicilio coniugale con un atto che è rivendicazione della sua dignità di moglie. Non vuole vivere senza il rispetto dell’altro. La parola chiave della sua esistenza è la libertà. Libertà che cerca di ottenere partendo proprio dal suo matrimonio.
Il fatto di essere l’ereditiera più ricca d’Italia le consente di pensare a se stessa e al mondo senza la pressione di ostacoli materiali.
eroine6Cresciuta in ambiente liberale e antiaustriaco, il patrigno fu uno dei cospiratori dell’insurrezione del 1821, è amica dell’artista libertaria Ernesta Bisi che la introduce nelle giardiniere. Viaggia per tutta l’Italia entrando in contatto con i massimi esponenti delle correnti cospirative. Ogni suo spostamento è monitorato dalla polizia austriaca tanto che Cristina decide di fuggire in Francia, dove fervono preparativi insurrezionali. L’Austria le ordina di rientrare a Milano pena il sequestro dei beni. Rifiuta. Inizia così una nuova vita. Per mantenersi dà lezioni di disegno, dipinge, scrive per un giornale articoli sulle questioni italiane sottolineando la cattiva coscienza dei francesi. Si occupa degli esuli italiani in Francia. Nessuno fece più di lei a Parigi per propagandare l’idea italiana. Le consacrò la vita, il patrimonio e il cuore.
La riacquisizione del suo patrimonio, nel 1835, le permette di organizzare un salotto, detto rue d’Anjou, nicchia di cultura e gusto, dove si incontrano i principali attori della causa italiana, come Gioberti e Cavour, e famosi pianisti come Bellini e Listz.
Cristina sconvolge per la grande padronanza di sé, per la forte indipendenza dagli uomini, per la poliedrica intelligenza che le permette di occuparsi di politica, ambito tradizionalmente escluso alle donne. Sconvolge quando mette al mondo una bambina di cui si ignora il padre, affrontandone con coraggio le conseguenti difficoltà giuridiche ed emotive.
Tornata in Italia, nel 1839, attua un programma di miglioramento della qualità di vita dei contadini del feudo di famiglia. Costruisce per loro scuole, mense, istituisce corsi di formazione agraria e per maestre, distribuisce medicine e abiti. I contadini sono per lei il futuro dell’Italia, ed è per questo che bisogna formarli.
Sostiene finanziariamente l’avvio della Gazzetta italiana, di cui è anche direttrice. Per la prima volta le donne possono esprimere e divulgare le proprie idee politiche. Sino a quel momento il giornalismo era sempre stato un ambito prettamente maschile. La sua è una posizione che si discosta da Mazzini, di cui critica i metodi delle spedizioni, ed è altresì avversa al progetto di unità sotto il protettorato del papato proposto dai giobertiani.
All’indomani dello scoppio dei moti, nel 1847, si reca nelle città italiane per tenere comizi. È annunciata come “l’onore delle donne italiane”. Quando scoppia la rivoluzione a Milano, Cristina si trova a Napoli. Qui organizza un battaglione di volontari e parte alla volta della Lombardia. Pur convinta che la repubblica sia la forma più perfetta di governo, sa bene che per raggiungerla è necessario passare attraverso la monarchia: è cioè necessario l’intervento di Carlo Alberto di Savoia per liberare la Lombardia. A Cristina sta il merito di aver reso testimonianza in tempo reale degli avvenimenti sul giornale Il Crociato. Cronista coraggiosa e attrice in gioco allo stesso tempo. La caduta di Milano in mano austriaca e la fuga di Carlo Alberto spingono Cristina a tornare a Parigi. È una donna amareggiata per la fiducia malriposta nei Savoia e in colpa nell’aver fuorviato i suoi concittadini. Si avvicina a Mazzini, di cui trasmette i messaggi attraverso giornali e salotti. Delusa ancora una volta dalla precarietà repubblicana francese, torna a Roma. Si dice che abbia dato l’addio alla Francia presentandosi ad una festa con un abito tricolore, preludio alla sua partenza. A Roma fa parte del comitato di soccorso ai feriti, insieme a Enrichetta di Lorenzo compagna di Pisacane. È nominata direttrice generale delle ambulanze, ruolo che le permette di denunciare gli abusi commessi negli ospedali e di chiedere l’istituzione di un sistema di assistenza ben regolato. Il suo è un atto che precorre la riforma infermieristica moderna. È tra le firmatarie dell’appello rivolto alle donne romane affinché partecipino all’assistenza ai feriti. La risposta al suo appello è forte: la sua voce arriva a tutti gli strati sociali.

eroine7Le sue continua battaglie non le fanno dimenticare il ruolo di madre: la piccola Maria è sempre al suo fianco, anche quando si trova a dover dormire su improvvisati pagliericci. Cuore e tenacia, dolcezza e temperamento la spingono oltre le proprie forze. Si dice che si fermasse anche di notte a confortare i malati negli ospedali, leggendo loro passi di Dickens e che li difendesse quando i francesi, occupata Roma il 3 luglio 1849, cercarono di cacciare i malati dai letti. Il 31 luglio Cristina, avvisata che la si voleva accusare si sentimenti irreligiosi, fugge a Malta. Dal suo esilio trova la forza di rispondere alle parole di Pio IX che ha espresso sdegno nei confronti dei malati infermi che trovano conforto tra le braccia di meretrici. È un momento memorabile della storia dei rapporti tra donne e Chiesa cattolica. Queste le parole di Cristina: “Vi sono degli insulti che si autorizzano quando non si rintuzzano, come vi sono delle colpe che si condividono quando non si denunziano”. È una donna virile che non teme di confrontarsi con la più alta carica politica e religiosa del tempo.

Pugnalata da un attentatore nella sua stessa casa, nel 1853, troverà in se stessa la forza di riprendersi. Si dice che si sia curata da sola con aconitum e sanguisughe, tra i pianti della piccola Maria che la pregava di non morire. Nel 1855 torna in Francia dove regna Napoleone III. Qui si adopera nella raccolta di fondi per i cacciatori delle Alpi di Garibaldi. È una donna segnata nel fisico dall’attentato subito, la testa ormai reclinata di lato, e nell’animo per la recente morte dei suoi fraterni amici. Torna a Milano. La troviamo ancora una volta giornalista, per l’Italie, dove cerca di trovare l’appoggio di francesi e inglesi alla spedizione garibaldina in Sicilia. Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele è proclamato re d’Italia. Per Cristina si avvera il desiderio che ha animato la sua esistenza.

Da questo momento Cristina inizia a scrivere proponendo i modi per costruire la nuova Italia: parla di istruzione, strade, ferrovie, banche. Ma parla soprattutto dell’inferiorità sociale e culturale delle donne. La via della liberazione è una: è la cultura. Solo attraverso la cultura le donne possono emergere tra la moltitudine. L’istruzione superiore e universitaria da questo momento prenderà sempre più piede. Cristina muore il 5 luglio 1871. Al suo funerale un corteo scarno. Queste le parole di cordoglio dell’allora ministro dell’istruzione Cesare Correnti: “…è annunzio di lutto nazionale… poche vite io credo, in questi nostri tempi pieni di dolore e di glorie, possono trovarsi più altamente vissute, più virilmente spese, più nobilmente conchiuse di quella di Cristina Belgiojoso”.

 

Enrichetta Caracciolo Fiorino, la monaca di Napoli
eroine8Una monaca con l’ardire di girare con i giornali dell’opposizione sottobraccio. Nel convento la consideravano rivoluzionaria ed eretica. La sua originalità scandalizzava le consorelle. E ad Enrichetta divertiva molto scandalizzare. Chiusa per venti lunghi anni in un convento contro la sua volontà, Enrichetta non dimenticò mai che oltre quelle grate esisteva un pezzo di cielo. Ed era questa speranza che la manteneva viva. Non c’era grata, non c’erano muro che potesse soffocare i suoi aneliti di libertà. Enrichetta, discendente dei principi Fiorino, fu messa dalla madre nel convento napoletano di S. Gregorio Armeno dopo la morte del padre. All’origine del gesto c’erano ristrettezze finanziarie e il sentimento che univa la giovane a Domenico, osteggiato anche dal padre di lui. La madre le aveva promesso che se si fosse trovata male sarebbe andata a riprenderla dopo due mesi. Ma le cose andarono diversamente e Enrichetta in quel convento ci rimase troppi anni. Fu costretta a prendere i voti solenni. La mamma diventò in seguito sua grande alleata nel cercare una via d’uscita da questo “carcere”, ma trovarono in questo l’opposizione del cardinale di Napoli Sisto Sforza che impedì alla giovane di uscire dal convento persino in occasione della morte della madre. Compra senza nascondersi i giornali dell’opposizione, che legge ad alta voce nel convento, profittando della concessa libertà di stampa. Si procura la fama di “rivoluzionaria, aggregata a segrete società, settaria, eretica”. Il 28 gennaio 1849 ottiene, per disposizione papale, il permesso di trasferirsi nel conservatorio di Costantinopoli con il permesso di uscire durante il giorno e farvi ritorno la sera. Ma Enrichetta rifiuta e, decisa a vivere come una donna libera mantenendosi da sola, fugge. Inizia a leggere le carte rivoluzionare, tanto che tornata a Napoli si occupa di divulgare il carteggio di alcuni patrioti, incurante dei sospetti che la polizia borbonica inizia a nutrire su di lei. Dura poco la sua libertà, nel 1851 viene catturata e rinchiusa nel ritiro di Mondragone per volere del cardinale Sforza. Sono tre anni durissimi, tre anni di isolamento culminati nel tentativo di togliersi la vita. Rilasciata si reca a Castellammare. La situazione politica è in fermento: il Piemonte è una potenza in gradi di dare la decisiva scossa patriottica all’Italia intera. Ormai è entrata a tutti gli effetti nelle reti cospirative. Per sfuggire alle spie cambia, in sei anni, diciotto abitazioni e trentadue donne di servizio. Elabora un sistema di controspionaggio, con persone di sua fiducia incaricate di individuare e depistare i poliziotti in borghese messi alle sue costole.

eroine9I suoi amici le chiedono di unirsi alla battaglia e Enrichetta non si fa pregare. Torna clandestinamente a Napoli. Qui pubblica la sua autobiografia in cui denuncia l’orrore della vita monastica a cui sono costrette le donne. Così l’editore Barbèra definisce il libro: “…opera di donna che ha preso quasi le proporzioni di un avvenimento politico… le nostre laicali immaginazioni erano ancora al di sotto dello stato reale in cui si trovano le infelici condannate ad una vita del tutto innaturale”. Il libro è un successo. Il Vaticano la scomunica. “La mia storia finisce in questo giorno, che per l’Italia è giorno di nuova creazione”: il sette settembre 1860 Garibaldi entra in Italia. Enrichetta lo raggiunge nel Duomo, dove il generale sta assistendo ad una celebrazione di ringraziamento per la fuga di Francesco II e, dopo avergli stretto la mano, depone su un altare il suo nero velo di monaca. È l’inizio della sua nuova vita da cittadina. Nel 1861 sposa con rito evangelico il principe liberale Giovanni Greuther. Un’unione che dura 24 anni e che li vede sempre uno accanto l’altro nella lotta per la libertà. Nei momenti bui, i libri e la scrittura furono la salvezza di Enrichetta. Dei primi si nutriva, lo scrivere le permetteva di sentirsi viva. Le permisero di non impazzire. Per questo sceglie di collaborare con diverse testate politiche, usate per sensibilizzare le donne alla causa patriottica. Nel 1869 prende parte all’Anticoncilio del libero pensiero aderendo al Comitato di Napoli per l’emancipazione delle donne italiane, associazione che godeva dell’appoggio dello stesso Garibaldi. Il Comitato aveva il fine di sostenere l’iniziativa del politico patriota Salvatore Morelli: la presentazione di un disegno di legge per la parità di diritti civili e politici della donna e dell’uomo. Non si fermò mai Enrichetta. Negli ultimi anni di vita fondò la Massoneria femminile, aderì a numerose associazioni, continuò a scrivere. I venti anni passati in convento le avevano insegnato a non sprecare nemmeno un momento dell’esistenza che le era stata donata. La vita è un dono preziosa che vale la pena vivere. Sempre.

 

Patria e orgoglio
Il motivo che spingeva queste donne ad aiutare i rivoltosi contro lo straniero era principalmente uno: l’orgoglio della patria, il sentirsi italiani. La dominazione straniera andava eliminata, così come la povertà e la mancanza di tutele che essa comportava. La libertà andava conquistata ad ogni costo, anche con il sacrificio più grande: il sacrificio della vita. L’anniversario dell’Unità d’Italia è un’occasione per ricordare ancora una volta il coraggio di chi ha contribuito a creare il nostro paese e a sottolineare la dignità che meritano le donne, che purtroppo ancora oggi in molti Paesi si trovano a vivere in condizioni disumane. Salvatore Morelli, patriota carcerato per la sua attività antiborbonica, dalla prigione scrisse: “Care Signore il mondo è di chi se lo sa prendere. Se voi volete la vostra posizione giuridica dovete conquistarvela. Profittate del momento in cui l’Italia volge a migliori destini… propugnate il vostro diritto”. Furono questi i messaggi che scaldarono gli animi delle donne e diedero loro l’entusiasmo e il coraggio di uscire dalla proprie case per mostrarsi in pubblico come messaggere, spie, esiliate, combattenti. Fu un evento senza precedenti destinato a non avere riscontro in altre epoche.

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