Le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale della Basilicata si sono svolte il 17 e 18 novembre e hanno visto la decisa affermazione di Marcello Pittella, Pd, fratello di Gianni, in corsa nelle stesse ore per le primarie del partito.

Con quasi il 60% dei voti il candidato del centro sinistra si è affermato riconfermando la forza del Pd nella regione: il governatore uscente, il democratico Vito De Filippo, nel 2010 stravinse con il 60% dei voti, ma, lo scorso 24 aprile, fu costretto a dimettersi per i problemi giudiziari di alcuni assessori della giunta, coinvolti in uno scandalo riguardante i rimborsi elettorali delle elezioni regionali. Se a prima vista sembra dunque che nulla sia cambiato, il dato dell’affluenza sottolinea invece il preoccupante stato di salute della partecipazione democratica, nel nostro Paese. Con il 52,4 % degli aventi diritto che non si è recato ai seggi, il partito degli astenuti risulta essere di gran lunga il vincitore di questa competizione elettorale. A determinare l’affermazione del neoeletto Pittella e della nuova giunta regionale, è stato solo il 47,6% dei votanti (contro il 62,8% delle scorse regionali), meno della metà di quanti avrebbero avuto il diritto di scegliere il Presidente della propria regione. Nelle stesse ore le primarie dei circoli del Pd registravano meno 35% di affluenza ai gazebo rispetto alle precedenti consultazioni.

Partecipazione in caduta libera

Un calo di partecipazione notevole, soprattutto per un Paese, come l’Italia, in cui, storicamente, le competizioni politiche hanno sempre registrato una buona (rispetto agli altri Paesi europei) affluenza al voto. Come si spiega questa vistosa inversione di rotta? Sicuramente la sfiducia in cuna classe politica poco incline a rinnovarsi e quasi del tutto inefficace nel dare risposta ai problemi scatenati dalla crisi economica, può rappresentare una possibile spiegazione. Tuttavia è evidente che non è esaustiva: a perdere consenso non sono soltanto i partiti “storici” che da tempo governano lo Stato e gli Enti Locali, ma anche quei movimenti politici, come il Movimento 5 Stelle, più orientati al cambiamento e nettamente “antagonisti” nei confronti dei partiti tradizionali. Nonostante il successo del tour lucano di Beppe Grillo a pochi giorni dal voto, il Movimento si è fermato attorno al 10 %, come a confermare il famoso detto: “piazze piene, urne vuote”. Smentendo i sondaggi della vigilia, che li davano addirittura secondi, Grillo e compagni hanno perso quasi 15 punti rispetto alle elezioni politiche di febbraio quando ottennero, alla Camera, il 24,3 % dei voti. Nettamente migliore il risultato personale del candidato governatore a 5 stelle che ha superato il 13%, ma è una magra consolazione. Sicuramente i 5 Stelle scontano ingenuità ed errori commessi da quando siedono in Parlamento ma la diserzione di massa dalle urne ha ragioni ben più profonde che vanno oltre le vicende, della contorta politica nostrana.
Il calo della partecipazione democratica non è una novità e non è un fenomeno esclusivamente italiano: a partire dagli anni ‘70, in tutti i Paesi del ricco Occidente si è registrato un calo dei votanti pressoché costante. La diminuzione della partecipazione registrata negli ultimi decenni non sembra legata esclusivamente alle difficoltà economiche come quelle, ormai croniche, dei Paesi mediterranei: se è vero che Grecia, Francia e Spagna registrano livelli di affluenza alle urne inferiori a quelli italiani, nei Paesi del nord Europa la situazione non è molto diversa. Prendendo in considerazione le elezioni politiche (che di solito registrano il massimo dell’affluenza) dal 1994 al 2013 in Italia i votanti sono scesi dall’86% del 1994 al 77% del 2013 mentre in Germania il dato si ferma al 71% , in Gran Bretagna al 65% e in Finlandia al 66%. Siamo dunque di fronte a qualcosa di più di un semplice malcontento se si pensa che per le elezioni Europee l’affluenza alle urne si attesta, da anni, sotto il 50% anche nei Paesi appena entrati nell’U.E.(nonostante si possa supporre che almeno loro abbiano ancora un po’ di entusiasmo).Di fronte al costante calo di partecipazione, comune a tutti i Paesi europei, si può parlare di una vera e propria crisi della democrazia rappresentativa che alla diminuzione del numero dei votanti affianca una generale insoddisfazione per l’operato pubblico e privato dei politici, tutti ormai accomunati nella denominazione collettiva di “casta”. Una crisi della rappresentanza che ha origini profonde e ci ha portati nel pieno dell’”era della sfiducia”.

L’età della sfiducia
Se molti non considerano necessariamente un male il continuo calo della partecipazione nelle consultazioni democratiche, sicuramente esiste un sentimento di sfiducia nei confronti della democrazia rappresentativa che ha più di una spiegazione. Il primo fattore di insoddisfazione nei confronti delle istituzioni democratiche, deriva probabilmente dalla trasformazione del ruolo dello Stato che, da potere capace di distribuire le ricchezze nell’”età dell’oro” (dal 1945 agli anni’70), si è trasformato, di pari passo con il graduale ridimensionamento del welfare state, in un mero organismo amministrativo di gestione (spesso faticosa) dell’esistente. Lo stesso potere politico, un tempo ben visibile nello Stato, oggi si disperde sia verso l’alto, con il moltiplicarsi di organismi sovranazionali (politici ed economici) non elettivi e quindi privi di una responsabilità diretta nei confronti dei cittadini, sia verso il basso con la devoluzione di potere verso gli enti locali. Anche se la dispersione di potere verso il basso è avvenuta con l’intento di aumentare la partecipazione dei cittadini e delle comunità locali, ha dato invece vita a nuove forme di esclusione e a numerosi vuoti istituzionali, spazi per cui non esistono istituzioni democratiche. Se poi, di recente, il  diffondersi del web e delle piattaforme di discussione online ha alimentato le speranze di colmare il vuoto istituzionale con le maglie della rete e della tecnologia, ben presto ci si è resi conto che i nuovi social media riproducevano su internet le solite dinamiche, finendo per diventare nient’altro che un megafono del populismo dilagante. Non più una democrazia del progetto dunque, bensì una democrazia del rigetto in cui, chi ancora va a votare lo fa per mandare a casa i governanti di cui è ormai stufo. Se la democrazia può uscire da questa crisi non è attraverso la partecipazione finta dei sondaggi tv o delle piattaforme web che riproducono gli stessi meccanismi chiusi e oligarchici delle realtà partitiche, ma solo attraverso l’istituzione di nuovi spazi di controllo diretto e democratico dei cittadini sulle leggi e sui governi che le applicano. È evidente che la legittimazione del potere non può più passare per una votazione ogni cinque anni, pena il realizzarsi di una democrazia “a singhiozzo”. D’altro canto un continuo ricorso alle urne provocherebbe instabilità e confusione. Come uscire da questo impasse?

Contro-democrazia
È necessario ridare potere al cittadino: un potere di controllo che si configuri come un’estensione dello spazio democratico anche al di là del semplice diritto di voto. Potere di veto contro leggi giudicate ingiuste e potere di revisione degli atti politico-amministrativi messi in atto da chi governa. C’è chi, come l’intellettuale francese Pierre Rosanvallon, da tempo auspica l’avvento di una “contro democrazia”, una democrazia che si eserciti come un contro-altare nei confronti del potere costituito. Una supervisione costante esercitata per conto dei cittadini al fine di garantirli anche in periodi non elettorali. Una dimensione quella del controllo popolare che, paradossalmente, si è smarrita proprio con l’introduzione della democrazia rappresentativa a suffragio universale. La storia della sovranità popolare infatti non è iniziata di colpo con la nascita dei sistemi rappresentativi moderni, ma è il frutto di un continuo controllo di cui il potere è sempre stato fatto oggetto prima di essere sottoposto ad elezioni. Con la conquista del voto e del suffragio universale fra IXX e XX secolo, si è persa la dimensione del controllo ben presente, invece, nell’antichità. Si pensi agli Efori nell’antica Sparta, all’istituto dell’ostracismo nell’Atene classica o ai Tribuni e al difensor civitatis nell’antica Roma. Oggi lo spazio della democrazia sembra limitato a quello, troppo angusto, della cabina elettorale dove, occasionalmente, ci si reca per esprimere una preferenza. .Dar vita ad Istituzioni capaci di tutelare, costantemente, i cittadini nei confronti di chi amministra il potere è la sfida del futuro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *