Elettrosmog, questo sconosciuto. E’ il dark side della tecnologia, il prezzo che paghiamo per essere sempre raggiungibili grazie ai telefonini, sempre connessi alla rete con il wi-fi, per guardare abitualmente la tv e, più in generale, per la nostra dipendenza compulsiva dall’energia elettrica.
Cellulari, ripetitori radio e tv ed elettrodotti sono infatti le principali fonti di elettrosmog che ci circondano e con le quali conviviamo senza quasi accorgercene. In Italia ci sono 25mila antenne tv e radio, 75mila mila ripetitori di telefonia e qualcosa come 1,2 milioni di km di reti elettriche sul tutta la penisola. Mentre funzionano producono onde elettromagnetiche sulle quali il mondo scientifico è spaccato in due. Da un lato quelli che sostengono che non fanno male alla salute, dall’altro c’è chi sostiene per contro che l’elettrosmog è molto dannoso per l’uomo.

In teoria l’Italia – ispirata ad un principio di cautela – avrebbe adottato una normativa garantista che impone di installare impianti a bassa potenza emissiva ma si tratta di una normativa che fa acqua da tutte le parti a cominciare dal sistema delle autorizzazioni e dei controlli degli impianti da parte delle Arpa (Agenzia regionale protezione ambientale). La conseguenza della giungla normativa italiana è che nonostante l’invocato principio di cautela sulla carta rischiamo di trovarci un mega impianto radar statunitense (il Muos) capace di emettere un’onda elettromagnetica di 20 metri in Sicilia, a due passi dalla riserva naturale di Niscemi.

I rischi dell’elettrosmog
Su questo punto il mondo della scienza è spaccato a metà. Da un lato c’è chi sostiene che l’elettrosmog non avrebbe conseguenze dirette sulla salute dell’uomo e dall’altro chi per contro, sulla base di sperimentazioni sugli effetti prodotti direttamente su soggetti esposti alle emissioni per molti anni, afferma esattamente l’opposto. L’elettrosmog è fortemente dannoso.
Questo “doppio binario” su cui si muove il mondo scientifico, di fatto, ha determinato una caos normativo nel mondo. Ogni Paese ha collocato a suo piacimento la soglia che la legge considera tollerabile per le emissioni elettromagnetiche.


L’esperto internazionale e lo scandalo delle mazzette

«Le teorie che minimizzano il rischio – ci spiega il professore Angelo Levis, uno dei massimi esperti al mondo di elettromagnetismo nonché ordinario di mutagenesi ambientale all’Università di Padova – nascono da una specie di dogma, un principio assoluto fissato intorno alla metà del secolo scorso e poi convalidato da un’associazione di scienziati, l’Icnirp, la commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti auto-costituitasi in Germania. Per questi scienziati l’unico effetto che queste emissioni producono è un riscaldamento eccessivo di alcune parti del corpo». Per l’Icnirp il limite di emissioni elettromagnetiche è di 41 V/m, circa 7 volte superiore a quello previsto nel nostro Paese (6 V/m).
Il primo presidente dell’Icnirp (fino al 1996) è stato il cancerologo Michael Repacholi il quale è stato anche responsabile del “progetto internazionale CEM” dell’Oms sull’elettromagnetismo a partire dal 1996, e che ha fatto parte anche del comitato di esperti che ha redatto il “Rapporto Stewart” su questo tema per conto dell’Nrpb, l’autorità inglese che si occupa di protezione dalle radiazioni.
«Non è un caso – continua Levis – che questi tre enti siano stati a lungo allineati sulle medesime pozioni in relazione agli effetti dell’elettromagnetismo sulla salute dell’uomo. Non si può peraltro ignorare che il professor Repacholi è stato coinvolto di recente in uno scandalo, riportato anche dai media italiani, proprio per avere ricevuto delle somme di danaro da alcuni grandi produttori di energia elettrica che sull’installazione di impianti hanno impostato un business mondiale».
Per avere un’idea del giro d’affari che solo la telefonia mobile produce, basti pensare che nel mondo esistono quasi 7 miliardi di cellulari. Una cifra impressionante che fa del business della telefonia uno dei più forti del momento.


Tumori e leucemie: una sentenza della Cassazione

Per contro, la teoria opposta si basa sugli studi basati sull’osservazione di popolazioni – continua il professor Levis – esposte da molti anni alle emissioni di cordless e cellulari. Questi studi hanno evidenziato aumenti consistenti del rischio di contrarre tumori e leucemie dopo un periodo di esposizione che va dai 10 ai 20 anni. In virtù di queste osservazioni, pertanto, la soglia di tollerabilità dovrebbe coincidere con il valore più basso raggiungibile con le migliori tecnologie presenti che si attesterebbe intorno a 0,6 V/m, di molto inferiore ai 41 V/m individuati dall’Icnirp e alla stessa soglia indicata in Italia.
Ciò perché le emissioni elettromagnetiche interferirebbero sulla nostra attività di sintetizzazione della melatonina, un ormone che rappresenta una specie di “spazzino” del corpo umano perché ci permette, fra l’altro, di disattivare tutta una serie di molecole negative, i perossidi, che si formano in condizioni di esposizione che sono molto forti nell’attaccare il dna.
Questa teoria sarebbe stata suffragata anche dalla Corte di Cassazione che, nel 2011, ha pronunciato la prima sentenza al mondo che riconosce un nesso di causa ed effetto tra elettrosmog e tumori, obbligando l’Inail a indennizzare un manager bresciano.
Per il momento questa sentenza che ha fatto storia non ha prodotto obblighi internazionali per cui i Paesi sono liberi di decidere quali limiti imporre alle emissioni elettromagnetiche. Tra quelli più “cauti” figurano la Russia e il Belgio (3 Volt per metro), La Svizzera (che divide tra ripetitori radio Tv, 3 V/m, telefonia, 4 V/m, e ripetitori radio onde medie e lunghe, 8,5 V/m); la Cina (5 V/m) e l’Italia (6 V/m).


Il caos Italia

In realtà nel nostro Paese la situazione è un po’ complessa al limite del paradosso. Se da un lato il legislatore ha voluto invocare un principio di cautela nel fissare i limiti di emissione degli impianti a 6 V/m, dall’altro non esiste una disciplina unitaria e organica ma un susseguirsi di leggi nel tempo mal coordinate tra loro. L’ultima il cosiddetto decreto Passera (il 179 del 2012 meglio conosciuto come decreto-sviluppo del governo Monti poi convertito nella legge 221 dello stesso anno), pur avendo introdotto dei limiti ulteriormente restrittivi abrogando la precedente disciplina, di fatto rimane inapplicato per la mancanza di decreti attuativi che avrebbero dovuto essere varati nei sessanta giorni successivi l’approvazione della legge ma che di fatto, a distanza di un anno, non sono ancora arrivati, lasciando il quadro normativo italiano al più grande caos.
«I decreti attuativi – spiega Alfio Turco, direttore del laboratorio di compatibilità bioelettromagnetica di Pisa – avrebbero fornito alle Arpa le linee guida da seguire nelle procedure di autorizzazione dei nuovi impianti e nei controlli su quelli già esistenti. La mancanza di una norma tecnica da applicare si traduce in un paradosso normativo che lascia alle stesse Arpa carta bianca sulla procedura da adottare con il rischio di effetto macchia di leopardo. In molti casi viene ancora adottata la disciplina abrogata».
Secondo l’Ispra il complesso delle sorgenti elettromagnetiche presenti sul territorio non produce emissioni superiori a 1,5 V/m ma, come ci chiarisce Salvatore Curcuruto, dirigente del servizio agenti fisici di Ispra, «questo è il quadro che emerge dai dati inviati dalle Arpa che controllano il territorio sia in fase di autorizzazione di nuove installazioni sia in fase di funzionamento degli impianti».


Controlli: una voragine normativa

È proprio qui che si apre la voragine normativa dal momento che da un lato le autorizzazioni vengono rilasciate sulla base delle dichiarazioni dell’installatore relative alla potenza emissiva dell’impianto. In pratica i dati in fase di autorizzazione sono quelli forniti dagli stessi gestori di telefonia mobile. Mentre in fase di controllo successivo il problema sono, da un lato le risorse (pochi soldi, poco personale) dall’altro la totale incertezza sul metodo da applicare.
«Se fossero state varate le tanto attese linee guida – continua Turco -, la potenza emissiva degli impianti verrebbe calcolata su una media di 24 ore di esposizione e no più di 6 minuti e questo farebbe andare fuori norma parecchi impianti. Le direttive, inoltre, avrebbero dovuto chiarire come calcolare l’esposizione alle emissioni dentro degli edifici, cioè quello che arriva veramente alle persone, una volta superata la barriera delle pareti. Mentre la vecchia disciplina considerava l’esposizione fino alla superficie esterna degli edifici. C’è un vero e proprio buco in termini di controlli e di verifiche».
Una legge quadro del 2001 dava ai Comuni la possibilità di dotarsi di un piano di localizzazione, ossia di studiare a tavolino con dei tecnici i siti migliori su cui collocare gli impianti di modo da potere coordinare la potenza emissiva. Ma fino ad oggi neanche il 10% degli enti locali lo ha fatto. Tra i più virtuosi Udine, Gemona del Friuli (Ud), San Vito al Tagliamento (Pn), Casalecchio (Bo), Reggio Emilia, Cento (Fe); Cervia (Ra), Arezzo, Massa, Grosseto, Tivoli (Rm), Fermo, San Benedetto del Tronto (Ap), Padova, Venezia e Mestre.
Nel mare magnum di leggi, decreti approvati e attesi, cavilli ed eccezioni, proprio nel nostro Paese che – quantomeno sulla carta – ha imposto il principio di cautela assistiamo alla realizzazione, a Niscemi, in Sicilia, un impianto radar statunitense molto grande che dovrebbe garantire agli americani la copertura di tutto il sud del mondo per le frequenze dei sottomarini.


I rischi militari

«Ci sono molte incongruenze – spiega Cirino Strano, medico di famiglia e una delle voci del movimento No muos che unisce tutti i residenti della zona – nella realizzazione di questo mega radar. Innanzitutto il fatto che i lavori procedano nonostante una sentenza del tar Palermo li abbia già bloccati. Poi, il fatto che le autorità preposte al controllo ignorino gli studi medici e scientifici sugli effetti dannosi che l’impianto avrebbe sulla popolazione. C’è anche il comportamento insolito del presidente della regione Crocetta il quale dopo avere sostenuto per un certo periodo le ragioni dei residenti improvvisamente ha cambiato idea dando l’ok per la realizzazione del Muos nonostante la sentenza ostativa del Tar Sicilia. Non si capisce inoltre perché sull’ok iniziale al progetto americano, trattandosi di un impianto militare straniero, non abbia deliberato il parlamento ma c’è stato un provvedimenti dell’allora ministro alla Difesa Ignazio Larussa, peraltro siciliano. Il sito di Niscemi infine non è neanche quello migliore per il funzionamento ottimale delle parabole. Una collocazione più funzionale sarebbe stata in Spagna o in Grecia».
Abbiamo provato a chiedere chiarimenti su questi punti ai diretti interessati, ossia al presidente Crocetta, all’ex ministro Larussa e all’istituto superiore della sanità ma in nessuno dei tre casi abbiamo ricevuto una risposta.
Questo silenzio pesa come un macigno visto che sul piatto della bilancia da un lato c’è un impianto capace di produrre un onda elettromagnetica di venti metri, un segnale potentissimo capace di disinnescare ordigni militari a distanza e di interferire fortemente con le telecomunicazioni e dall’altro c’è la salute di migliaia di persone che già pagano lo scotto di convivere con la base di trasmissione sempre statunitense Nrtf8 installata all’interno della riserva naturale di Niscemi.
Potrà anche non essere dimostrato un nesso di causa effetto ma secondo una ricerca (K13) condotta dal 2012 dai medici di famiglia di Niscemi sulle condizioni di salute dei residenti l’incidenza di leucemie infantili sul territorio è di 1,8 volte superiore rispetto alla media nazionale mentre quella dei tumori alla tiroide e ai testicoli / ovaie sale a tre volte e mezzo.

In allegato:
Elettromagnetismo. Impianti per regione
Elettromagnetismo. Limiti di emissione per Paese

Elettromagnetismo. Limiti di emissione per Paese
Elettromagnetismo. Limiti di emissione per Paese

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