La riforma del lavoro targata Elsa Fornero è stata da poco approvata dalle due Camere del Parlamento, ma le polemiche attorno al delicato tema non accennano a placarsi. Chiamato a cambiare le vecchie consuetudini e le regole a cui buona parte del Paese si era da tempo abituata, il Governo dei tecnici non sempre è riuscito a comunicare bene all’Italia la necessità di riformare il mondo del lavoro. Così, durante questi mesi si sono moltiplicati i fraintendimenti e le gaffe su questo scottante argomento. A dare inizio alle danze fu lo stesso Mario Monti che, con la tanto lapidaria quanto precipitosa affermazione “il posto fisso è monotono”, fece infuriare molti, soprattutto tra le fila dei giovani precari.

Dopo vari chiarimenti, precisazioni e puntualizzazioni è stata la volta del ministro dell’Interno Cancellieri: “Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà”. Nuova levata di scudi contro il presunto attacco al mondo del lavoro. Ed eccoci ad oggi: l’ultima frase incriminata in ordine di tempo è stata estrapolata da un’intervista al The Wall Street Journal, in cui il ministro del lavoro e del welfare Fornero, illustrava, al giornale statunitense, la riforma del lavoro recentemente approvata in Parlamento. “Il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio”: è questa la frase della discordia, grazie alla quale la Fornero si è procurata l’ennesima dose di insulti e maledizioni da tutto il popolo del web italico e lo sdegno, quasi sempre simulato per assecondare la pancia dell’elettorato, di buona parte della classe politica. Spicca, fra tutte le reazioni politiche all’intervista della Fornero, quella del senatore della Lega Nord, Gianvittore Vaccari che ha prontamente dichiarato: “Il lavoro è un diritto. Il ministro Fornero ha giurato sulla Costituzione o su Topolino?”. Se non bastasse al coro di critiche e condanne si è aggiunta anche la mozione di sfiducia al ministro Fornero presentata dall’Idv .

Cosa ha detto la Fornero?
Ma cosa ha detto realmente la Fornero al Wall Street Journal? Possibile che abbia completamente dimenticato gli articoli 1 e 4 della costituzione che recitano rispettivamente: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” e La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”? Ovviamente la risposta a questa domanda è no. La “ministra” non ha fatto, improvvisamente, carta straccia dei dettami costituzionali né si è dimenticata del diritto al lavoro. Mai come in questo caso le sue parole sono state, di proposito o meno, manipolate e male interpretate.
Le parole, si sa, sono importanti, e soprattutto nella nostra lingua possono assumere significati completamente diversi a seconda di come vengono pronunciate o riportate. La lingua inglese, invece, lascia molto meno spazio all’interpretazione e alle sfumature rispetto all’italiano, tant’è vero che ha due termini ben distinti per indicare il Lavoro come categoria filosofica, di pensiero, oggetto del Diritto e “il lavoro” inteso come singola occupazione. La chiave per capire fino in fondo il senso delle parole della Fornero, rinunciando a facili strumentalizzazioni, è tutta qui: nella differenza fra il termine work ,il Lavoro e job, il singolo posto (fisso o meno).

Work o job?
Esistono infatti due versioni dell’intervista incriminata alla ministra del welfare: una, comparsa solo sulla versione cartacea, è il pezzo vero e proprio rielaborato dal giornalista che ha intervistato la Fornero per il WJ ; l’altra è invece la trascrizione integrale di tutto il colloquio intercorso fra il ministro e il giornalista, il transcript che la stampa anglosassone usa, fortunatamente, pubblicare. Proprio da questa versione integrale dell’intervista pubblicata, sul sito del WJ, (http://online.wsj.com/article/SB10001424052702304458604577490980297922276.html), si capisce che la Fornero non ha usato il termine work bensì job. Quindi non ha mai detto, “il lavoro non è un diritto”, bensì :“Everyone, not just workers, have to understand and change. That includes youth, who need to know a job isn’t something you obtain by right but something you conquer, struggle for and for which you may even have to make sacrifices”. Come si vede utilizza il termine job riferendosi al singolo posto di lavoro e non al diritto al lavoro. In italiano si legge: “Tutti, non solo i lavoratori, devono capire e cambiare. Inclusi i giovani, che devono capire che il posto di lavoro (job) non è qualcosa che ottieni per diritto, ma qualcosa che devi conquistare, per la quale devi lottare e per il quale devi addirittura fare sacrifici”.
Difficile non condividere. D’altronde è abbastanza ovvio: se qualcuno vuole diventare astronauta dovrà necessariamente prepararsi adeguatamente e fare dei sacrifici per provare a ottenere quel lavoro, nessuno potrà concederglielo per diritto. Sembra più che ovvio. Ma il linciaggio nei confronti della ministra non si è arrestato, nonostante gli articoli 1 e 4 della Cotituzione non prescrivano affatto, in realtà, di affibbiare ad ogni cittadino un posto di lavoro.

Norma programmatica e norma prescrittiva
Lo Stato non deve “garantire un lavoro” ma deve promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto di ogni cittadino di avere le stesse possibilità di potersi realizzare e contribuire al benessere della collettività secondo le proprie capacità e competenze.
Ovviamente l’applicazione di questo principio è ben lungi dall’essere realizzata, tuttavia garantire un diritto non vuol dire garantire materialmente delle cose come, in questo caso, un posto di lavoro. Anche dal punto di vista della giurisprudenza la “norma programmatica” enuncia le direttive di principio (il diritto al lavoro, il diritto di sciopero, il diritto alla salute), spetta invece alla cosiddetta   “norma prescrittiva” dare un contenuto ai principi enunciati dalla norma programmatica affinché si passi dall’astratto al concreto. La stessa norma prescrittiva assicura però la “potenzialità”
dell’attuazione della norma programmatica non l’”effettività”: tutti hanno il diritto di prendere la patente ma questo non vuol dire che è obbligatorio rilasciarla a tutti senza un preventivo esame. Un esempio lampante è l’accesso a molte facoltà universitarie: il diritto allo studio è garantito dalla Costituzione, tuttavia non è stato ritenuto incostituzionale il numero chiuso alle università (la recente decisione del Tar che ha rimesso alla Consulta la questione del numero chiuso si riferisce al fatto che ogni Università applica parametri di valutazione diversi, ma non discute la legittimità del provvedimento in sé). Il diritto alla salute è garantito ma ciò non obbliga lo Stato a curare tutti in continuazione.

Così, tornando al diritto al lavoro, lo Stato ha l’obbligo di mettere tutti i cittadini nelle condizioni di lavorare in omaggio alla norma programmatica della Costituzione ma spesso il diritto al lavoro, come principio, viene confuso con il diritto ad essere assunti. Se così fosse ad un diritto all’assunzione dovrebbe corrispondere un dovere o un obbligo di assumere da parte di un qualche datore di lavoro. Cosa abbastanza assurda. La polemica nei confronti dell’intervista “incriminata” risulta dunque campata in aria, attaccata pretestuosamente alle singole parole, ignorando la sostanza dei problemi. Forse quest’abitudine di polemizzare un po’ a vanvera su qualsiasi cosa è ormai l’unico “lavoro” che è rimasto in Italia.

Una riforma che scontenta tutti
Al di là dell’intervista al Wall Street Journal è comunque evidente che la Fornero è uno dei pochi ministri, o forse l’unico, che nel Governo Monti “ci sta mettendo la faccia”, con provvedimenti imperfetti e spesso lacunosi, commettendo degli errori, ma tentando di cambiare lo status quo e di dire le cose come stanno, o come crede che stiano: in ogni caso senza nascondersi o fingere. In fondo la missione affidata ai tecnici era quella di fare quelle riforme anche dolorose che i politici, ormai sempre più timorosi di perdere anche quell’ultimo briciolo di consenso che gli è rimasto, non avrebbero avuto la forza e il coraggio di fare. La riforma delle pensioni e la riforma del lavoro, fino ad ora, sono gli unici due provvedimenti concreti che vanno in questa direzione. Sicuramente si può condividere o meno lo spirito di queste due riforme, ma, qualsiasi cosa se ne pensi, la Fornero è, ad oggi, il ministro più “coraggioso” del Governo Monti e questo le va riconosciuto. Quali saranno gli effetti di questa tanto contestata riforma del lavoro? Troppo presto per dirlo, tuttavia non si può che constatare che è una riforma che scontenta tutti: la Cgl e il centro sinistra perché riduce alcune tutele da alcuni ritenute eccessive; dall’altra parte della barricata il segretario della Confindustria ha giudicato senza mezzi termini questa riforma “una boiata” e il centrodestra sembra essere contrario alla minore flessibilità in entrata per i neo assunti che uscirebbero così dalla selva oscura dei mille contratti e contrattini nati dalla riforma Biagi. Bene! Se la riforma scontenta tutte le parti in gioco, ciò potrebbe costituire un indizio della sua bontà. Non molti mesi fa, in concomitanza con la sua nomina (o investitura) a Presidente del Consiglio, Mario Monti aveva promesso che il suo governo avrebbe scontentato tutti a destra come a sinistra, facendo solo l’interesse del Paese e non dando spazio a rendite di posizione di partiti, lobby e corporazioni di qualsiasi natura. Purtroppo fino ad oggi questa promessa non si è ancora avverata e le riforme firmate dalla Fornero rappresentano, in questo senso, l’unica eccezione.

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