Quando un adulto non riesce a farsi capire da un minore, che fa? Urla, reagisce in maniera scomposta e spesso anziché essere autorevole diventa autoritario.
Ecco questo è un po’ quello che succede al potere esecutivo quando con molta frustrazione vede il Parlamento andarsene per fatti suoi.
E’ la democrazia, si potrebbe rispondere, però quando un governo ricorre troppo spesso ai decreti legge è perché molto spesso si sente frustrato, e allora si appella all’unica forza coercitiva che conosce: la decretazione d’urgenza.

A dirlo è la Corte costituzionale, o meglio, è il dossier pubblicato da Palazzo Madama su “Decretazione d’urgenza e conversione: la recente giurisprudenza costituzionale” che si aggiunge e completa il dossier 56 pubblicato a settembre del 2013. Ossia, i decreti legge, tra necessità e urgenza, omogeneità della materia: tutte le volte che i principi sono stati disattesi dal legislatore.

Le statistiche
Quale è stato l’anno più prolifico dal punto di vista della decretazione d’urgenza? Il 2001 che con 50 Dl ha raggiunto una media di 4,1 decreti al mese. Praticamente uno a settimana. Il meno prolifico è stato il 2011 con “soli” 16 decreti legge che comunque fanno sempre più di uno al mese. Come dire: un’emergenza straordinaria al mese, che è sempre meglio di averne una a settimana come nel 2001.
Ma è normale ricorrere così spesso alla decretazione d’urgenza?
Per la Corte costituzionale no.
L’ultima pronuncia, in ordine di tempo, è stata quella sulle droghe leggere e, lo sottolineiamo ancora una volta, il punto non fu il merito dell’argomento (droghe leggere si o no) ma il metodo usato dal legislatore, vale a dire una “fuoriuscita della legge di conversione dal nesso funzionale che si concretizza non già in esercizio improprio di un potere ma nella carenza di esso”.
La sentenza 32/2014 ha stabilito la fondatezza della questione di legittimità costituzionale “per difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni del decreto legge e quelle impugnate, introdotte nella legge di conversione”. In poche parole, anche in fase di conversione, se il Parlamento “aggiunge” materie estranee determinano un vizio della legge di conversione nella parte specifica. Ecco perché la sentenza 32/14 ha espunto solo alcune norme.
“Non è da escludere – dice il dossier di Palazzo Madama – che altre disposizioni inserite in diverse leggi di conversione si ritrovino nella medesima condizione”.
Ora il problema è che con tutti i decreti approvati negli ultimi 15 anni, dai contenuti più disparati e dagli emendamenti inseriti più variopinti, c’è da immaginare che la Consulta ne avrà fino al 3014 (se altrettanti magistrati avranno voglia e tempo di sottoporgli le varie questioni).

La prima volta
Se mancano i requisiti costituzionali, il decreto-legge è censurabile anche se convertito. Per la prima volta con la sentenza 171 del 2007, la Corte costituzionale riconosceva che fino a quel momento erano convissuti due distinti orientamenti: uno teso a negare la sindacabilità del decreto convertito perché “sanato” dalla conversione in legge da parte del Parlamento, l’altro volto ad affermare la sindacabilità del decreto anche dopo la conversione perché il vizio originale si “trasmetterebbe” anche alla legge di conversione.
Con la sentenza 171/07 la Consulta scelse la seconda via, ribadita anche nel 2008 con la sentenza 128: il vizio del decreto legge si trasmette alla legge di conversione.

L’omogeneità in un decreto legge “milleproroghe”
Un decreto così chiamato, dice il documento stilato a Palazzo Madama, che omogeneità può avere? Nessuna, è un ossimoro.
Se è vero che un “milleproroghe” interviene con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, la Consulta allora suggerisce: “ove le discipline estranee alla ratio unitaria del decreto presentassero, secondo il giudizio politico del Governo, profili autonomi di necessità e urgenza, le stesse ben potrebbero essere contenute in atti normativi urgenti del potere esecutivo distinti e separati”.
E certo, dirà il potere esecutivo, adesso mi metto a scrivere decine e decine di decreti per ogni proroga. Sarà allora il caso di interrogarsi sul perché di tante proroghe?
“Dagli anni Settanta – dice il documento – i decreti recanti proroga di termini si fanno più numerosi” ma in particolare negli ultimi 15 anni diventa ricorrente e periodica.

L’omogeneità della legge di conversione
Ossia, quando anche il Parlamento ci mette del suo e durante la conversione si aggiungono materia estranee. Ecco perché la Consulta sottolinea un “uso improprio da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge il decreto-legge”. Ecco allora che ricorrono espressioni come “uso improprio” di potere parlamentare e “nesso funzionale”, come nella sentenza 22 del 2012.
Il tutto potrebbe essere risolto tramite regolamenti parlamentari: non a caso al Senato, l’articolo 97 del Regolamento dice testualmente che “sono improponibili emendamenti, proposte e ordini del giorno estranei all’oggetto della discussione”. Ma è vero pure che troppe volte è stata stravolta l’interpretazione dell’articolo in questione: tanti i richiami della Presidenza di Palazzo Madama a commissioni e commissari per evitare di applicare la scura in aula a proposte emendative improponibili anche ad un profano.
Più o meno lo stesso concetto espresso dall’articolo 96-bis del Regolamento Camera che riporta: “Il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto legge”.
Cancelliamo le Province per decreto-legge
Un decreto legge è incostituzionale anche quando si vuole far passare per misure di immediata applicazione riforme ordinamentali del sistema.
E’ stato il caso appunto della cancellazione delle Province, stabilita dal decreto legge 95/2012.
Con la sentenza 220 del 2013 la Corte ha stabilito che la natura del decreto (necessità e urgenza) non è compatibile con l’introduzione di riforme ordinamentali, di lungo periodo, non circoscritte a misure meramente organizzative, così come non è compatibile la formulazione di disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo.
Un concetto molto semplice, che professori universitari e costituzionalisti, tecnici e politici dovrebbero conoscere molto bene oppure, come si diceva un tempo all’Università quando gli esami andavano male, “c’hanno provato”. Perché incidere sull’intelaiatura dell’ordinamento degli enti locali, ha scritto la Consulta, è “incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale”. Non bisognava essere professori per immaginarlo.
Non solo.
Riforme di questa portata, aggiunge il dossier riportando le parole della Consulta, hanno bisogno di tempi congrui per la loro applicazione, mentre “i decreti legge traggono la loro legittimazione generale da casi straordinari e sono destinati ad operare immediatamente”.

Conclusioni
Tutte queste considerazioni, soprattutto il passaggio del dossier sulla possibilità che altre disposizioni inserite in diverse leggi di conversione si ritrovino nella condizione di essere incostituzionali, gettano un ombra sinistra su tutto il nostro pacchetto legislativo.
Quante saranno le disposizioni contenute nelle varie norme ancora incostituzionali?
L’unica speranza che ci resta (diciamo una delle tante, che fa più ottimismo) è che il legislatore, e non solo gli inquilini di Palazzo Madama (tra l’altro in posizione precaria viste le intenzioni del nuovo premier), ma anche quelli di Montecitorio e soprattutto a Palazzo Chigi, si leggano attentamente il dossier (vedi allegato). Che tra l’altro è di veloce consultazione ed allo stesso tempo molto illuminante.
Senato – servizio studi – dossier n. 111 – marzo 2014

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