La vicenda è singolare, in quanto il Ministro ha tenuto quel corso solamente nel 2009 ed in aula non eravamo più di quindici studenti. Si creò immediatamente un clima positivo, favorito probabilmente dal numero esiguo di persone e dalle scarse dimensioni dell’aula, che sfociò dopo l’esame in una pizza a San Lorenzo, quartiere universitario di Roma.

Durante la cena si parlò principalmente di sistemi scolastici, di prospettive lavorative, di intenzioni future: il Professore teneva banco con la sua dialettica, supportata da una conoscenza rara del sistema Italia nel suo complesso, capace sempre di trovare i nessi causali tra fenomeni apparentemente distanti.
In questa sede non si vuole esaltare un Ministro in quanto tale, ma si cerca di illustrare brevemente quali sono le sue convinzioni rispetto a tematiche che interessano la collettività, dato che ora ricopre un ruolo di governo, di modo che ognuno possa ragionare liberamente.

Il programma del corso era finalizzato alla comprensione delle dinamiche di sviluppo italiane dal dopoguerra ad oggi, alla luce dell’influenza della politica rispetto al sistema produttivo nel suo complesso.
In altre parole si cercava una spiegazione ai modelli economici del tutto peculiari formatisi in Italia, fatti di dirigismo e programmazione economica, di cui ancora vediamo le tracce e che hanno portato alla fossilizzazione di alcune problematiche mai risolte.
Il punto di partenza è che gli uomini sono spinti da motivazioni, interessi personali, ideologie che li portano a perseguire determinate scelte: in questo modo si formano le istituzioni politiche, in cui coesistono la concorrenza, la cooperazione ed il conflitto.
“Il dopoguerra italiano è un misto tra interessi e convincimenti molto diversi tra loro (…) Questo compromesso consente all’Italia di sfruttare le istituzioni già esistenti, ma ne impedisce al tempo stesso l’innovazione”, affermava il professore Barca.
Quello che ne è scaturito, ossia un sistema di ampio controllo statale sull’economia attraverso le grandi aziende pubbliche e la subordinazione della P.A., ha generato quelle inefficienze che scontiamo anche oggi. Solo negli anni ’90, e grazie ad un’altra crisi monetaria europea, si è iniziato un percorso di riforma della pubblica amministrazione e di liberalizzazione dei servizi, che ancora deve essere completato.

In quanto Capo Dipartimento delle politiche di sviluppo al Ministero delle Finanze e presidente del Comitato OCSE per le politiche territoriali, Barca ha smpre avuto idee chiare su cosa significhi utilizzare nel miglior modo possibile i fondi per la coesione.
Per quanto riguarda i finanziamenti europei, ad esempio, basti ricordare che le regioni del Sud ne utilizzano circa il 20% di quelli messi a disposizione: i soldi ci sono, ma non le competenze necessarie ad approvare progetti.
Il problema si estende a tutti gli investimenti eseguiti con fondi pubblici, che nel nostro paese sono spesso fonte di guadagno per pochi e di perdite per molti: “Un investimento pubblico è un progetto che coinvolge un numero talmente elevato di interessi privati, che questi non riescono a coordinarsi sul mercato per realizzarlo (…) Sta allora allo Stato assicurare il coordinamento, a passare da idee-progetto a progetti attuabili”.
Affinché ciò si realizzi, ha sempre sostenuto Barca, è necessario implementare procedure trasparenti, fondate su un procedimento amministrativo di tipo ordinario e non di “emergenza”. Durante le lezioni si discusse di un caso emblematico sotto l’aspetto del mancato sviluppo, ovvero delle politiche per il Mezzogiorno, argomento ancora di grande attualità.
L’errore, secondo il Professore, fu quello di credere che un gruppo di “esperti” fosse in grado di capire di cosa avesse bisogno un’economia depressa senza approfondire il contesto, passando poi per i gangli di una burocrazia in grado di frenare qualunque esperimento progettuale.
Il tentativo fallito di industrializzazione al Sud, con la costruzione delle note “cattedrali del deserto”, ha portato via non solo soldi pubblici, ma anche una buona parte della capacità di innovazione.
Per questo è necessario che il finanziamento non cada a pioggia, ma risponda a necessità specifiche del territorio, che possono emergere solo da idee sviluppate localmente.

Non stupisce la critica della Lega verso la creazione di questo Ministero, a loro dire contrario al perseguimento del federalismo, impostando una polemica sulla nomenclatura che peraltro esisteva già con il Ministro Fitto.
La coesione territoriale sembra invece rappresentare una necessità per questo paese, per il semplice fatto che l’aumento del benessere in una regione non può che giovare a tutte le altre, in termini di crescita economica oltre che per motivi di unità nazionale. E Barca, da professore l’ha sempre pensata così.

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