L’Italia dei paesi fantasma è una geografia poco nota, che da Nord a Sud, riguarda bellezze periferiche dimenticate. Lombardia, Sardegna, Toscana, Emilia-Romagna: ogni regione regala villaggi e borghi disabitati, un tempo vivi e vivaci, oggi mete di turisti curiosi e attenti.

E’ il caso di Savogno, borgo della Valchiavenna (in provincia di Sondrio) abitato fino agli anni Sessanta del Novecento, già punto di passaggio in direzione della Val di Lei. L’ultimo residente se ne è andato nel 1968: da allora, solo chi si avventura sul sentiero che parte da Piuro, sotto le cascate dell’Acqua Fraggia (e ha voglia di affrontare qualcosa come 3mila gradini) ha la possibilità di vedere le bellezze di questo spicchio di natura della Val Bregaglia, dove fu parroco anche Don Luigi Guanella.
Non è agevole nemmeno la strada che porta a Consonno, in provincia di Lecco, cittadina distrutta dai sogni del Conte Mario Bagno, imprenditore di Vercelli che all’inizio degli anni Sessanta decise di costruirvi un parco divertimenti enorme: da campagna con cascine, corti, chiesa e tre centinaia di abitanti, si trasformò in un paradiso artificiale impreziosito da minareti, pippibaudi e fuochi d’artificio. Ma il sogno non durò, realizzare una Las Vegas in Brianza fu una velleità esagerata: lo smantellamento fu rapido ma incompleto. E così adesso Consonno è città fantasma dal gusto kitsch e malinconico, tra vetri frantumati, residui di porticati commerciali e ricordi di chi fu costretto ad andare via a causa delle illusioni di quel ricco signore piemontese.

In Emilia-Romagna, praticamente scomparso è il borgo di Durazzo, un tempo frazione di Molinella (provincia di Bologna): là dove un tempo era presente un nucleo abitato (spesso tormentato dalle alluvioni) ora rimane solo un campanile, restaurato agli inizi degli anni Novanta (dopo essere rimasto interrato, a causa dei detriti alluvionali, di quasi tre metri), se si escludono poche case coloniche erette all’inizio del terzo decennio del Novecento.

Scendendo a Sud, il vecchio centro di Craco (in provincia di Matera), abbandonato dopo una frana che cinquant’anni fa lo distrusse in maniera irrimediabile, ha acquisito un fascino tale da attirare l’attenzione di artisti e registi: basti pensare che qui sono state girate scene del film di Francesco Rosi “Cristo si è fermato a Eboli”, ma anche de “La ninfa plebea” di Lina Wertmuller, de “Il sole anche di notte” dei fratelli Taviani e addirittura di grandi produzioni hollywoodiane come “Agente 007-Quantum of Solace” e “La passione di Cristo”, di Mel Gibson (Craco fa da sfondo alla decisione di Giuda di impiccarsi).

Ma la lista di paesi fantasma divenuti set cinematografici tocca anche la Liguria, dove si trova il borgo vecchio di Balestrino (non lontano da Borghetto Santo Spirito, in provincia di Savona), abbandonato all’inizio degli anni Sessanta a causa di un dissesto idrologico: ha intrigato Ian Softley, che vi ha girato il film “Inkheart – La leggenda di cuore d’inchiostro”, con Helen Mirren; senza dimenticare che in Lombardia la già citata Consonno compare nel film di Davide Ferrario “Figli di Annibale”, con Diego Abatantuono e Silvio Orlando.

Territorio per eccellenza di città fantasma è la Toscana: da Formentara, in provincia di Massa Carrara, alla frazione di Poggio Santa Cecilia, appartenente al comune senese di Rapolano Terme, passando per Toiano, sulle colline Pisane, e Bivignano, ad Arezzo, senza dimenticare – naturalmente – l’isola di Pianosa, nell’Arcipelago Toscano, un tempo sede di un carcere ma ormai disabitato come paese, visto che vi vivevano solo i familiari di chi lavorava nella prigione.

Particolare, invece, è la storia di Fabbriche di Careggine, che fu sgomberato a metà del secolo scorso dopo che la costruzione di una diga alta oltre novanta metri fece sì che le 31 fabbriche di careggine 1case che costituivano il villaggio medievale (vi abitavano oltre 140 persone) venissero sommerse. Fabbriche di Careggine, quindi, si trasformò in un paese fantasma vero e proprio, visto che periodicamente ricompariva: accadeva quando, in occasione dei lavori di manutenzione della diga (avvenuti nel 1958, nel 1974, nel 1983 e nel 1994), il lago veniva svuotato, e di conseguenza l’antico borgo riemergeva, mostrandosi in tutto il proprio fascino ai turisti attirati dall’eccezionale occasione di poter vedere (o rivedere) il ponte a tre arcate, il cimitero, il campanile, la chiesa di San Teodoro e quelle poche case in pietra che, poco dopo, sarebbero tornate sott’acqua, come un’Atlantide casereccia. Un evento che la tecnologia odierna ha reso irripetibile, visto che la diga ora viene tenuta sotto controllo tramite sistemi di monitoraggio e sonde moderne.

Merita una citazione, infine, anche la sarda Ingurtusu (dal nome del gurtugiu, avvoltoio tipico di questa zona): un villaggio che oggi appare praticamente deserto, ma che fino a pochi decenni fa accoglieva migliaia di persone. Qui, infatti, vivevano i lavoratori (e i loro familiari) impegnati nella miniera locale e in quella di Gennamari, in quel filone di Montevecchio da cui venivano estratti argento e zinco. Là dove erano presenti una chiesa e addirittura un ospedale, oggi ci sono solo ricordi e riconoscimenti (Ingurtosu fa parte del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna).
Questo, infatti, è quel che chiedono le città fantasma: di non essere ricordate, di essere riconosciute.  Perché lo spettro dell’oblio non gravi su di loro.

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