I blog compiono sedici anni: l’età per prendere la patente, almeno negli Stati Uniti. Ma per quanto tempo ancora saranno presenti sulle strade di Internet?

Era – infatti – il 1997 quando sul web apparve il primo blog (contrazione di web-log, cioè diario in rete): a 16 anni di distanza, oggi viene spontaneo chiedersi quale sia il futuro di questa particolare forma di comunicazione, visto che il ruolo di diario in rete è appannaggio, in maniera sempre più consistente, di Facebook e social network vari.

Secondo Leonardo Tondelli, blogger (leonardo.blogspot.com), insegnante e collaboratore del Post, “i blog ormai sono strumenti maturi, multimediali e integrati con i social network: credo che in futuro la parola ‘blog’ smetterà di colpire l’attenzione, come la parola ‘giornale’ o ‘forum’”. Ma cosa significa avere un blog nel 2013? Tondelli ritiene che “mentre qualche anno fa esisteva una comunità un po’ autoreferenziale – come tutte le comunità – che si autopromuoveva, adesso si ha la sensazione di navigare nel mare grosso: i luoghi di promozione sono i social network, che possono ‘spingere’ i tuoi contenuti – se sono interessanti – molto di più di qualsiasi comunità di blogger. Anche se, il più delle volte, quei contenuti non saranno nemmeno notati”. “Il mio atteggiamento nei confronti del mio blog – prosegue Tondelli – è molto cambiato, perché adesso scrivo in altri posti, e il blog è diventato una specie di indice delle cose che sto scrivendo, che rimanda il più delle volte ad altri siti. Credo che per il lettore medio sia un po’ frustrante, però dopo tanto tempo bisogna cambiare qualcosa, e magari cercare anche di farsi pagare un po’. Di sicuro il mio blog continuerà a raccogliere tutte le cose che scrivo qua e là, anche quando avrà smesso di attirare l’attenzione di chiunque”.

Massimo Mantellini, editorialista di Punto Informatico, esperto di Internet e titolare di Manteblog, sottolinea che “oggi aprire un blog è una scelta in qualche misura controcorrente, ma adattissima a chi desideri offrire punti di vista ed idee in maniera sistematica ed estesa. A differenza di altre piattaforme editoriali, un blog ha due connotazioni peculiari: la prima è che consente di strutturare e rendere organico il proprio pensiero e il collegamento con quello altrui (attraverso link, commenti e trackback), anche in virtù della presenza degli archivi, sempre immediatamente consultabili e linkabili. La seconda connotazione è che, dal punto di vista della forma editoriale, il blog consente di sfuggire all’uniformità di Facebook: è un po’ la differenza che c’è fra un quotidiano ed una fotocopia sbiadita”. A proposito del suo blog, Mantellini spiega che “è sempre stato una estensione molto naturale di me stesso: non c’è mai stato alcun progetto editoriale o alcun tipo forzatura per aggiornarlo. Non escludo che in futuro possa andare diversamente, per ora mi piace continuare così: ho sempre utilizzato il mio blog come un luogo di pensieri e relazioni. Se qualcosa è cambiato è che i pensieri sono rimasti gli stessi, mentre le relazioni si sono – in parte – spostate altrove: negli anni si sono sviluppate piattaforme sociali che hanno dirottato parte delle conversazioni che un tempo avvenivano unicamente nei commenti dei blog”.

Astutillo Smeriglia, blogger (incomaemeglio.blogspot.com) e regista (il suo cortometraggio “Preti” è stato candidato ai David di Donatello di quest’anno), aggiunge che “anni fa avere un blog era una cosa normale, come adesso lo è avere un profilo su Twitter. Oggi, invece, mi pare che l’atteggiamento delle persone verso i blog sia molto cambiato: ne sento spesso parlare in termini spregiativi, come se il semplice fatto di scrivere in un blog senza avere niente da vendere o voti da prendere fosse di per sé una cosa futile. Ecco perché credo che oggi possedere un blog – e averne cura come si ha cura delle cose a cui si tiene – sia un sintomo di coraggio. Rispetto a ‘In coma è meglio’, il mio atteggiamento non è cambiato: continuo a usare il mio blog come un semplice sito dove deposito, organizzo e rendo pubbliche le cose che scrivo, senza possibilità di interazione se non in forma privata. Io sono un abitudinario: ho intenzione di scrivere sul mio finché sarò vivo e, se ci riesco, anche dopo”.

Non la pensa così, invece, Dave, il padre del Daveblog (nato nel lontano 2003): “Il mio approccio verso il blog è cambiato, nel senso che ho meno tempo per aggiornarlo, ma anche meno voglia di cercare i contenuti che mi servono ad aggiornarlo. Quando apri un blog sul cazzeggio e poi i tempi per il cazzeggio si riducono al lumicino, alla fine il blog ne risente. E comunque c’è chi fa tutto questo in maniera migliore e più professionale, quindi poco male. Credo si tratti, comunque, di una normale reazione di fuga nei confronti di una piacevole abitudine che rischia di diventare una doverosa abitudine. E poi non va sottovalutata la forte concorrenza dei nanopublisher (prima) e dei social network (adesso). La conseguenza è che il pubblico è decisamente diminuito, quindi il blog è tornato ad essere un’esperienza più intima, come agli esordi. Non è necessariamente un male: meno aspettative significa meno stress”. Ma allora perché non limitarsi a scrivere su Facebook? Semplice, risponde Dave: “Facebook è di Zuckerberg, il blog è mio”. Lunga vita ai blog, quindi? Non è detto: “Spariranno, probabilmente – ipotizza Dave -. Io il mio lo tengo in vita perché ci sono affezionato e non mi va di cancellare tutto quello che c’è dentro. E poi la voglia di postare più di 140 caratteri periodicamente torna”.

Insomma, l’impressione è che il numero di blog sia destinato a diminuire in maniera significativa, ma che al tempo stesso i superstiti offriranno una qualità sempre migliore.
Un momento: questo non è anche il futuro di quotidiani e giornali?

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