La Galleria Borghese, il luogo della scultura per eccellenza, ospita per la prima volta l’arte drammatica di Alberto Giacometti, uno dei più grandi artisti del Novecento.  Sino al 25 maggio sarà possibile visitare la mostra Giacometti. La scultura, presentata dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma, diretta da Daniela Porro.

L’iniziativa, promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, è prodotto da Arthemisia Group e curato da Anna Coliva, direttrice della Galleria, e da Christian Klemm, uno dei maggiori studiosi dell’artista. Si è scelto Villa Pinciana come sede dell’esposizione proprio perché, grazie alla sua collezione scultorea permanente, è stata ritenuta adatta al desiderio dei curatori di raccontare la tragicità della scultura moderna a confronto con quella classica antica. Le forme della Femme couchée qui reve ricordano quelle della Paolina di Canova, il pesante passo dell’Homme qui marche riecheggia quello affaticato di Enea che trasporta il padre Anchise, nell’Homme qui chavire ritroviamo l’equilibrio instabile del David di Bernini. Giacometti vive in un secolo ricco di sconvolgimenti non solo politici ma anche sociali e culturali che ne hanno profondamente influenzato le creazioni. Il percorso espositivo, organizzato in dieci sale, mira quindi a raccontare come la visione dell’artista sia una continuazione della rappresentazione dell’uomo nel tempo. E lo fa esponendo 40 opere attraverso le quali l’artista, visionario, onirico e surrealista, mette in risalto l’uomo e il suo fatale fallire, tragica conquista della modernità. Tragicità ottenuta indagando la profondità dei soggetti tanto da “ridurre fino all’osso” la figura umana. Nella prima sala è stata ricostruita figurativamente la Chase Manhattan Plaza con le opere monumentali che Giacometti realizzò, su invito dell’architetto Bunshaft, per lo spazio antistante il grattacielo dell’omonima banca. Nella sala del Canova sono esposte opere che permettono di cogliere il punto di arrivo del percorso di questo artista che partito dal figurativismo, assorbe la lezione cubista per arrivare a scoprire una forma del tutto personale. Troviamo qui esposta la Testa che osserva, opera di estrema essenzialità e la cui pura astrazione evoca la figura e la materialità. La Donna sdraiata che sogna, l’Uomo e la Donna sdraiata ricordano le opere del Canova, ma a differenza della tensione muscolare e della purezza dei contorni del veneto, Giacometti predilige la leggerezza, le forme concave e forate. Nella sala del David il confronto con le opere di Bernini evidenzia l’intensità delle opere dello scultore svizzero: è la staticità del David a fare risaltare il movimento oscillante de L’uomo che vacilla.  Quello che per Bernini può rimanere nella sua posizione solo un attimo, per Giacometti è qualcosa di momentaneo perché in perenne movimento. Il movimento rotatorio diventa condizione universale dell’essere umano. La sala di Apollo e Dafne è dedicata all’evocazione del movimento nell’immobilità: sono i continui movimenti dell’occhio che, immaginando le forme, devono rendere viva la creazione. Il confronto con la rappresentazione di Dafne che si trasforma in albero è evidente e istantaneo. Le Femmes de Venise hanno piedi enormi simili a radici per ancorare le figure alte e esili al suolo, le superfici sono screpolate come cortecce, le teste piccole e assorte, le figure sono spinte verso l’alto da un flusso ininterrotto. La sala degli imperatori mostra come singoli parti del corpo possano essere considerate opere d’arte compiute, concetto diffusosi dopo la riscoperta di antiche sculture tra le rovine di Roma. E’ qui esposta La Mano, un’opera di intensa drammaticità, legata indissolubilmente alla fuga da Parigi (1940) perché fu allora che l’artista vide per caso un braccio staccato dal corpo. Le dita sono allargate, le superfici screpolate rappresentano le ferite. Nella sala dell’Ermafrodito è esposta la Donna cucchiaio. La forma del cucchiaio serve solo ad evocare l’idea della donna ricordata nel titolo. In questa scultura, la prima della lunga serie delle grande femme, Giacometti crea una nuova forma femminile, diversa e unica.  In tutte le sculture di questa serie l’artista unirà il rigore formale del cubismo con la simmetria audace africana a quella d’avanguardia. Il risultato qui è un senso di smarrimento nel non riconoscere il titolo nell’oggetto rappresentato. L’opera ricorda una divinità primitiva della fecondità sebbene i tratti umani siano qui negati, mentre le forme cristalline, il contrasto tra forme concave e convesse sembrano raccontare una frustrazione quasi erotica simile a quella dell’Ermafrodito.  Nella sala di Enea e Anchise è esposta la scultura più celebre: L’Uomo che cammina. Quest’opera racchiude il significato dell’arte di Giacometti. La figura geroglifica è rappresentata mentre esita nel tentare il primo passo mostrando così la sua precarietà. L’inquietudine dell’incedere, la fragilità del suo ergersi e l’umile consistenza della materia ricordano la natura stessa dell’uomo. La Sala egizia permette di mostrare la grande passione dello scultore per l’arte egizia, di cui ammirava perfezione e rigore tanto da ritenerla superiore a quella greca. Arriva a rappresentarsi nel grande autoritratto con i tratti stilizzati tipici del volto di Akhenaton. Il Vestibolo è dedicato al disegno dell’artista, da lui considerato il mezzo per indagare la realtà a catturarne la vera essenza, prima che il ricordo sparisse. Il percorso termina nella Loggia di Lanfranco dove sono esposti i busti più noti, come Lothar III e Il Busto d’uomo, in cui la tradizionale compattezza del corpo è disgregata in un’agitazione vitale.

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