Autodichia fa rima con autarchia, ma no questo è solo populismo. Dopo gli scandali e le notizie di fiumi di danaro pubblico sperperati, Palazzo Chigi corre ai ripari e approva il decreto Taglia-privilegi e per i bilanci dei consigli regionali prevede il controllo della Corte dei Conti. Ma i bilanci interni di Camera e Senato non possono essere sottoposti a nessun controllo per il principio dell’autodichia. 

I vitalizi? No, devono restare, non si può approvare una disposizione retroattiva (a meno che non sia la riforma di tutti i lavoratori italiani). I finanziamenti per la stampa degli atti parlamentari nell’era digitale? No, devono rimanere perché ci sono tanti nostalgici, nonostante vengano comprati Ipad (a spese nostre si intende, mica dei parlamentari). I controlli esterni? Impossibile, vige il principio dell’autodichia.
Ma che cos’è l’Autodichia: sorvolando sull’etimologia de’ noantri, secondo la quale sarebbe “autonomia per chi ha già: auto-di-chi-ha, è il principio grazie al quale il Parlamento non può essere messo sotto controllo da nessuno.
Per noi poveri comuni mortali, che sentiamo per la prima volta questo parolone, interviene per fortuna il prof. Giuliano Amato, nominato dal presidente del Consiglio, Mario Monti, consulente esterno per il finanziamento ai partiti. Dai comunicati di Palazzo Chigi, il premier Monti dichiara: «Il Consiglio dei ministri ha conferito ad Amato l’incarico di fornire al premier analisi e orientamenti sulla disciplina dei partiti per l’attuazione dei principi di cui all’articolo 49 della Costituzione, sul loro finanziamento, nonché sulle forme esistenti di finanziamento pubblico, in via diretta o indiretta, ai sindacati».
Spiega Giuliano Amato sul suo blog: «La chiamano autodichia e in principio si riferisce alla facoltà riconosciuta ai parlamenti di affidare a propri organismi interni (e non ai giudici) le controversie che sorgono, appunto al loro interno». L’autodichia, dice il Professore, viene invocata da tutte le assemblee di rango costituzionale come le Camere, i consigli regionali, per autogestire tutto ciò che attiene alla propria organizzazione, quindi anche i propri bilanci.
Questo però permette di fare del proprio bilancio quello che si vuole, destinare quello che si vuole a quale voce si vuole e soprattutto non avere nessun controllo dei soldi spesi.
Attenzione: non stiamo parlando del finanziamento ai partiti, stiamo parlando dei 992.800 milioni di euro (non c’è errore di battitura, purtroppo) che lo Stato destina alla Camera dei deputati (vedi in allegato il Conto consuntivo per l’anno finanziario 2011). Noi paghiamo quasi un miliardo di euro l’anno per la Camera per il suo funzionamento: sei milioni e mezzo di euro per stampare atti parlamentari e oltre due milioni di euro per “spese per accesso gratuito via internet agli atti parlamentari”. Ma anche di queste cifre si è parlato ampiamente su tutti i giornali, occorre però, come è nello stile di Golem, capire il perché e soprattutto che cosa si può cambiare.
Il perché è facile da capire, basta leggere i resoconti della seduta del 2 ottobre, soprattutto con riferimento agli interventi dei deputati Radicali e dell’Italia dei Valori.
L’esponente dell’IdV, Antonio Borghesi, è ripartito alla carica con l’abolizione dei vitalizi ma per la seconda volta si è visto rispondere la stessa cosa: gli ordini del giorno riguardanti la disciplina della diaria sono inammissibili perché la materia, regolata dalla legge 1261/1965 può essere modificata solo attraverso un intervento legislativo. Ma la speranza è l’ultima a morire perché in Commissione Affari costituzionali è in discussione un provvedimento sul trattamento economico dei parlamentari e tra le modifiche presentate c’è proprio la soppressione del diritto al vitalizio. Ma per arrivare a qualcosa di concreto occorrerà che la commissione approvi gli emendamenti, che l’Aula li confermi e che commissione e Aula del Senato avalli. Tanti passaggi parlamentari per partire, forse dalla prossima legislatura. Sempre che tutto questo riesca a chiudersi prima della fine di questa di legislatura.
Rita Bernardini, dei Radicali, si è soffermata sul principio dell’autodichia, in base al quale la Camera dei deputati non ha alcun controllo esterno della sua attività amministrativa. I radicali chiedono in definitiva (e su questo hanno presentato anche una proposta di legge) di separare il settore amministrativo dall’attività funzionale, legislativa, ispettiva e di controllo che svolgono i parlamentari. Questo per far sì che il principio di autodichia non comprenda la parte amministrativa, come prevede ad esempio l’Assemblea nazionale francese che ha una commissione speciale di 15 membri, presieduta da un deputato dell’opposizione e che è incaricata di verificare ed appurare i conti.
Per la cronaca i radicali, per il quarto anno consecutivo hanno votato contro, per una questione di metodo, per il modo in cui viene discusso il bilancio, per i cambiamenti intervenuti che non danno più la possibilità di emendare il bilancio. «Il principio di autodichia – ha detto Bernardini – può valere per quel che riguarda la funzione istituzionale, ma non possiamo accettare che i conti della Camera siano una riserva inespugnabile, siano qualcosa che non possa essere controllato dal singolo deputato, che non possa essere controllato nemmeno da una commissione esterna, per non parlare poi della Corte dei Conti. È un principio di trasparenza».
Irene Testa e Alessandro Gerardi, componenti del Comitato nazionale dei radicali, sottolineano che nel nostro Paese la Corte dei Conti non può vedere un rendiconto delle spese dei gruppi parlamentari, mentre in Inghilterra la Camera dei Comuni è uscita dallo scandalo dei rimborsi spese con l’attribuzione dei controlli ad un organo esterno dotato di ampi poteri investigativi e reponsabile della pubblicità su Internet di tutte le documentazioni prodotte dai parlamentari per le richieste di rimborso spese. E stiamo parlando dell’Inghilterra, la patria della Privacy.
Testa e Gerardi affermano che «il problema è che in ogni ambito, dalla sicurezza del lavoro, alla gestione del patrimonio immobiliare, alla materia appaltistica, la partitocrazia si fa scudo dietro il concetto dell’autodichia parlamentare per sottrarsi ai rigori della legge esterna; quella stessa legge che invece vale per le province, per i comuni, per le pubbliche amministrazioni e soprattutto per i cittadini. Siamo al paradosso: nel luogo dove si fanno le leggi, occorre il permesso di venti persone (l’ufficio di presidenza) per dare accesso alla legge nell’ambito della presunta autonomia costituzionale delle Camere. Al contrario noi radicali sosteniamo che il concetto di autodichia parlamentare non possa essere impropriamente invocato a tutela di quegli ambiti che esulano dalla funzione propria delle Camere e che sono propri di qualsiasi organo o pubblica amministrazione».
Tornando alle parole di Giuliano Amato, il professore chiarisce ancora meglio questo principio. La nostra Costituzione dice che i parlamentari non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni, sappiamo bene però come nel corso degli anni questa immunità, partita come garanzia per la libertà di critica abbia mostrato più di un limite. La stessa Corte costituzionale ha più volte ribadito che le opinioni per le quali un parlamentare può essere perseguito sono quelle che esprime nell’esercizio delle sue funzioni, «non quelle che va dicendo in giro – dice Amato – magari insultando gli altri o attribuendo loro fatti non veri in una trasmissione televisiva o altrove, così come può fare chiunque altro». Perché se questo fosse, chiarisce il professore, «i giudici possono liberamente perseguirlo».
Per questo motivo Amato si chiede, se i gruppi parlamentari e consiliari ricevono denaro pubblico per la medesima ragione, per l’esercizio delle loro funzioni ma li usano per altri fini, per feste, viaggi di piacere, per pagarsi gli eventi elettorali che, sottolinea, non rientrano nell’esercizio delle loro funzioni, perché tutto deve essere coperto dall’ombrello dell’autodichia?
La vera anomalia italiana è proprio la mancanza di controlli: quella che doveva essere una garanzia, tanto da rivestirla di valore costituzionale è diventata anarchia (in nome dell’autodichia).
Ecco perché, almeno per quanto riguarda il finanziamento a gruppi parlamentari e consiliari, Amato nella sua relazione consegnata settimane fa al Presidente Monti, ha segnalato che «oltre al finanziamento dei partiti, c’è una grossa vena, rivelatasi già in passato emorragica, rappresentata dall’ulteriore e diverso finanziamento interno alle Camere e ai consigli regionali, a beneficio dei gruppi e dei loro componenti. Rimanga pure nell’autonomia parlamentare e consigliare stabilire quanto e a chi deve andare, nei limiti delle risorse assegnate, ma non c’è nessuna violazione dell’autodichia se fatture e rendiconti vengono trasmessi a revisori esterni, abilitati per esempio, a promuovere il giudizio di responsabilità contabile davanti alla Corte dei Conti ogni volta che ritengono improprio l’uso che è stato fatto dei soldi di tutti».
E sembra proprio che Monti abbia recepito con il decreto approvato giovedì qualche buon suggerimento (resta da vedere che cosa succederà in Parlamento in fase di conversione).
La domanda centrale allora è: si può permettere alla Corte dei conti, ad un esterno, seppure con la presidenza di un rappresentante interno, di controllare come spendono i soldi le due Camere?.
In teoria la sentenza della Corte costituzionale 129/1981 lo vieta, però Amato in pratica propone di assoggettare a controllo del giudice esterno tutto ciò che non è esercizio della funzione legislativa, scorporando le funzioni. Tutto è possibile. A quel punto si potrebbe controllare perché per il funzionamento di una sola Camera per un anno serve quasi un miliardo di euro.
Allora sorgerebbe spontanea una seconda domanda: perché la carta igienica alla Camera costa un milione di euro l’anno e nelle scuole pubbliche i bambini devono portarsela da casa?
Di domande gli italiani in questi giorni se ne stanno facendo molte, servono risposte.

Bilancio pluriennale 2012-2014
programma attività amministrativa
Raffronto previsioni 2011 – 2012
Conto consuntivo per l’anno finanziario 2011

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